Nomina da parte del C.S.M. di componenti del Consiglio direttivo della Scuola Superiore della Magistratura

Nomina da parte del C.S.M. di componenti del Consiglio direttivo della Scuola Superiore della Magistratura


Processo amministrativo – Appello – Eccezioni sollevate per la prima volta in appello – Legittimazione passiva - Sostanziale cointeressenza dal lato passivo, che consolida il litisconsorzio processuale facoltativo per accettazione del contraddittorio – Costituzione in primo grado senza sollevare eccezione – Eccezione in appello – Limiti. 

Magistrati - Scuola Superiore della Magistratura – Consiglio direttivo – Nomina componenti – Procedura selettiva – Conseguenza. 


   
Nel caso di situazione di sostanziale cointeressenza dal lato passivo, che consolida il litisconsorzio processuale facoltativo per accettazione del contraddittorio, quando l’Amministrazione intimata si sia costituita in giudizio ed abbia resistito, nel merito, al ricorso del privato senza formulare eccezioni sulla propria posizione sostanziale legittimante, deve ritenersi preclusa, pur in assenza di giudicato interno, l’eccezione che viene formulata per la prima volta in appello, che si colorerebbe (pur non confliggendo, sul piano formale, con il divieto di ius novorum) dell’abusività che connota l’esercizio di facoltà processuali contra factum proprium (1). 


     La nomina, da parte del Consiglio superiore della magistratura di componenti del Consiglio direttivo della Scuola Superiore della Magistratura avviene a seguito di una procedura selettiva al fine di  individuare, nella pluralità di candidati, i migliori tra essi, mediante una attività tecnico-valutativa e di corrispondente giudizio, strettamente legata al “principio meritocratico”, secondo quanto indicato nello stesso “bando-interpello”, volta a una scelta motivata e leggibile e non già, per così dire “politica” o comunque partitamente “fiduciaria” (2). 


 

(1) Vale rammentare che, nel processo amministrativo impugnatorio (cfr. art. 29 c.p.a.) la legitimatio ad causam spetta, in via esclusiva, “alla pubblica amministrazione che ha emesso l’atto impugnato”, alla quale, perciò, il ricorso introduttivo (con cui è “proposta l’azione di annullamento”) deve essere notificato, a pena di inammissibilità, ai fini della corretta instaurazione del contraddittorio processuale (art. 41, comma e 35, comma 1, lettera b, c.p.a.).
​​​​​​Ne discende che, trattandosi di una condizione dell’azione, il cui difetto concreta “ragione ostativa ad una pronuncia di merito”, essa è, per un verso, suscettibile di rilievo officioso in ogni stato e grado del processo e, per altro verso e in termini generali – con la sola preclusione del c.d. giudicato interno – eccepibile, anche per la prima volta, in appello, non ostandovi il divieto di ius novorum ex art. 104, comma 1, c.p.a. (Cons. Stato, Ad. plen., 26 aprile 2018, n. 4; C.g.a.13 maggio 2019, n. 428).

Ciò detto, importa, osservare che la natura multipla degli interessi (pubblici, privati, collettivi o diffusi) coinvolti dall’azione amministrativa e, per altro verso, le frequenti ragioni di connessione funzionale tra soggetti pubblici a vario titolo coinvolti (artt. 9 e 14, l. n. 241 del 1990), danno conto della legittimazione passiva spettante – oltre che ai controinteressati, pubblici o privati (i quali ultimi, a determinate condizioni, rivestono la posizione di parti necessarie del giudizio: cfr. art. 41, comma 2, e 49 c.p.a.) – a varie figure di (passivamente) cointeressati.  

Ne discende che, quando il ricorso introduttivo della lite sia stato notificato, oltreché all’Amministrazione che ha formalmente adottato il provvedimento impugnato, anche ad altra Amministrazione la quale, quand’anche non sia parte necessaria del processo (perché il provvedimento impugnato non le è soggettivamente e formalmente imputabile), ha – per ragioni di ordine funzionale, di intreccio di competenze ovvero di connessione tra procedimenti – obiettivo interesse all’esito della lite, l’atto introduttivo va inteso come acquisito in termini di denunciatio litis, che la pone in condizione di curare il proprio cointeresse (nel senso precipuo di interesse connesso) nella controversia  

Ciò non impedisce, naturalmente, con la rituale formalizzazione dell’eccezione di difetto di legittimazione passiva, la facoltà di chiedere la propria estromissione dalla lite, non trattandosi di parte necessaria del giudizio e potendo la denunciatio non correlarsi ad interessi stimati concretamente apprezzabili o meritevoli di essere tutelati. Cionondimeno, quando l’Amministrazione intimata si sia costituita in giudizio ed abbia resistito, nel merito, al ricorso del privato senza formulare eccezioni sulla propria posizione sostanziale legittimante, deve ritenersi preclusa, pur in assenza di giudicato interno, l’eccezione che viene formulata per la prima volta in appello, che si colorerebbe (pur non confliggendo, sul piano formale, con il divieto di ius novorum) dell’abusività che connota l’esercizio di facoltà processuali contra factum proprium (Cons. Stato, sez. V, 30 agosto 2004, n. 5645).

Si deve, perciò, tenere distinta l’ipotesi della obiettiva e formale estraneità alla controversia del soggetto pubblico passivamente non legittimato (per la quale la rilevabilità officiosa e l’assenza di preclusione ex novis alla deduzione di parte, in ogni stato e grado del giudizio, non soffrono eccezioni) dalla situazione di sostanziale cointeressenza dal lato passivo, che consolida il litisconsorzio processuale facoltativo per accettazione del contraddittorio, in assenza di tempestiva richiesta di estromissione ex denuntiata lite

Nel caso di specie, l’interesse del Ministero della giustizia non è dubbio e, segnatamente, si declina: a) sul piano funzionale dei compiti del Comitato direttivo della Scuola della Magistratura, responsabile della “programmazione annuale dell’attività didattica”, che deve tenere conto delle “linee programmatiche” proposte annualmente non solo dal C.S.M., ma anche dal Ministero (art. 5, comma 2, d.lgs. n. 26 del 2006), cui è trasmessa anche, all’esito della approvazione, la “relazione annuale” sulla organizzazione dell’attività didattica; b) sul piano strutturale della composizione soggettiva del Comitato direttivo, che vede il concorso del C.S.M. e del Ministero nella nomina della quota dei componenti di rispettiva competenza, pur destinati ad esercitare le loro funzioni in condizioni di indipendenza dall’organo che li ha nominati (art. 7, d.lgs. cit.).  

 

(2) Ha ricordato la Sezione che l’art. 6, comma 1, d.lgs. n. 26 del 2006 disciplina la “nomina” dei «componenti» del Comitato direttivo della Scuola per la Magistratura, prevedendo che essi siano «scelti»” – nella misura di sette dei dodici complessivi – «fra magistrati, anche in quiescenza, che abbiano conseguito almeno la terza valutazione di professionalità», sei dei quali designati dal Consiglio Superiore della Magistratura ed uno dal Ministro della giustizia. Dei residui cinque componenti, tre sono scelti «fra professori universitari, anche in quiescenza» (uno dei quali designato dal C.S.M., gli altri due dal Ministro) e due «fra avvocati che abbiano esercitato la professione per almeno dieci anni» (entrambi nominati dal Ministro). 

L’ordinamento parla di “nomina” per individuare due fenomeni giuridici ben distinguibili: a) il primo consiste nel potere sostanziale di scegliere i soggetti da preporre ad un ufficio, da destinare ad una carica o cui conferire un incarico (c.d. nomina-scelta); b) il secondo si riferisce al potere formale di investitura nella titolarità di un ufficio (c.d. nomina-investitura). 

Nel primo caso, si tratta di un atto sostanziale, espressione del potere discrezionale di scelta di soggetti destinati alla carica, che, come tale, si distingue (e contrappone) ad altre forme di individuazione della persona che deve ricoprire un determinato ufficio, come l’elezione, il concorso, la designazione, la cooptazione ovvero, in ipotesi residuali, l’estrazione a sorte. 

Nel secondo caso, si tratta di un atto formale con cui una persona, previamente individuata mediante uno dei suddetti modi, viene preposta all’ufficio o investita dell’incarico: come tale, si contrappone a modalità alternative di preposizione, come la proclamazione, l’investitura ope legis, l’assunzione, l’accettazione, la presa di possesso, l’insediamento. 

Con evidenza – per quanto sia possibile che i due momenti si sintetizzino in un’unica fattispecie – il primo profilo ha carattere strumentale (mira ad individuare il destinatario della scelta), il secondo ha carattere formale (viene a renderla definitiva, perfezionando il relativo procedimento).

​​​​​​​Ciò posto, nel caso in esame viene in considerazione (come fatto palese anche dall’uso delle parole all’interno della disposizione normativa) una ipotesi di nomina-scelta.  Mentre, però, relativamente alla competenza del Ministro, la discrezionalità selettiva che la connota può arrivare ad assumere, per la natura strettamente amministrativa dell’organo e la responsabilità politica del Ministro, il tratto di una individuazione intuitu personae (cioè di una nomina ‘a scelta’, dove l’apprezzamento del merito professionale e della capacità rispetto all’ufficio ad quem sono rimessi all’autonomo apprezzamento discrezionale ministeriale), nel caso del Consiglio Superiore della Magistratura (che non è organo politico ma organo di alta amministrazione di rilievo costituzionale: Cons. Stato, sez. V, 7 gennaio 2021, n. 215), la scelta va connessa non solo all’ufficio di destinazione, ma prima ancora alla particolare natura a struttura del CSM. E proprio in ragione del suo carattere di organo di governo autonomo a base composta ed essenzialmente elettiva, la valutazione tecnico-discrezionale orientata ad una tale selezione va condotta secondo canoni di trasparenza, di verificabilità, di idoneità e di razionalità che accentuino – rapportandoli alle caratteristiche di questo particolare organo di rilievo costituzionale – i connotati già propri di ogni attività amministrativa (cfr. artt. 97 Cost. e 1, l. n. 241 del 1990), emancipandoli dai caratteri di una ripartita nomina ‘a scelta’. Sicché, nel rispetto dell’alta funzione propria dell’organo di governo autonomo, costituzionalmente ben distinta da quella ministeriale, e anche ad evitare che l’occasionale formula di rappresentatività del selettore prevalga sull’obiettiva valutazione comparata delle attitudini dei selezionandi, il vaglio della professionalità - in termini di merito e di attitudini - va svolto e congruamente motivato secondo rigorosi ed obiettivi parametri, strettamente professionali e non mai di altra natura o ordine.  

Del resto, lo stesso C.S.M. bene ha ritenuto di (almeno) procedimentalizzare la selezione, attraverso la diramazione di un interpello fra i magistrati in possesso dei requisiti, preordinato ad acquisire le manifestazioni “disponibilità” degli “aspiranti”, accompagnate da una “autorelazione” strumentale a “fornire […] elementi di valutazione”, in ordine alla “idoneità specifica a ricoprire l’incarico”, avuto riguardo alle “esperienze maturate nella giurisdizione sia di merito, nei differenti settori di competenza”, alle “pregresse specifiche esperienze nell'attività di formazione e in attività di rilevanza organizzativa”, alla “comprovata attitudine all'approccio multidisciplinare”, alle “attività di studio e di ricerca scientifica, connesse all'attività di formazione”; al “possesso di specifiche attitudini tecniche, culturali e organizzative”, alla “comprovata conoscenza delle problematiche della didattica e della formazione professionale”, alla “conoscenza di una o più lingue straniere, attestate da idonea documentazione o da autocertificazione”. 

Si tratta, all’evidenza, già di una prefigurazione di criteri e di modalità di esercizio dell’attività selettiva che, operando nella logica dell’autovincolo, mira, in assenza di criteri normativi già fissati dal precetto primario o trasfusi in atti programmatici generali, a orientare la facoltà di scelta lungo il giusto crinale di una discrezionalità tecnica, che esclude – obbligando alla coerenza e imponendo adeguata e congrua motivazione – sia nomine arbitrarie (in quanto affidate a logiche non verificabili) sia designazioni meramente fiduciarie (che prescindono da profili meritocratici, e incardinate invece su criteri estranei alla funzione propria del governo autonomo della magistratura, come costituzionalmente configurato). 

Se, allora, è vero che la procedura per cui è causa non può essere sovrapposta a quella, normativamente regolata sulla base di specifici indicatori, stabilita per la selezione di magistrati per incarichi direttivi o semidirettivi, è vero anche – se quod differtur non aufertur – che la stessa deve considerarsi (se non “necessariamente concorsuale”, come con impropria ma innocua terminologia ha sancito il primo giudice) comunque “selettiva”. Ne consegue, per naturale coerenza dell’ordinamento anche in rapporto all’immanente principio di legalità e a quello di razionalità amministrativa ex art. 97 Cost., l’obbligo di individuare, nella pluralità di candidati, i migliori tra essi, mediante una attività tecnico-valutativa e di corrispondente giudizio, strettamente legata al “principio meritocratico”, secondo quanto indicato nello stesso “bando-interpello”, volta a una scelta motivata e leggibile e non già, per così dire “politica” o comunque partitamente “fiduciaria”. 

A tal fine, gli indici predeterminati e ritenuti rilevanti (essenzialmente correlati all’esperienza maturata nell’esercizio della giurisdizione e alla attività dedicata alla formazione), dovevano ritenersi idonei a vincolare il C.S.M. a prenderli espressamente in considerazione e a motivare sulla loro concreta utilizzazione ai fini delle valutazioni comparative. 

Bene, perciò, il primo giudice ha stigmatizzato la circostanza che nella delibera impugnata si rinvenga solo un breve cenno alle figure e alle esperienze professionali dei magistrati pretermessi, a fronte di un approfondito excursus su quelle dei sei prescelti: difetta una valutazione comparativa, sia pure sintetica, tale da consentire di riscontrare che le scelte effettuate siano rispondenti alla logica seguita; dal che una decisiva (e ben ritenuta dal primo giudice) carenza di motivazione.   


Anno di pubblicazione:

2021

Materia:

GIUSTIZIA amministrativa, APPELLO

ORDINAMENTO giudiziario

Tipologia:

Focus di giurisprudenza e pareri