L’Adunanza plenaria pronuncia sulla sanatoria della notifica del ricorso privo di firma digitale e sulla decorrenza del termine per il nuovo deposito

L’Adunanza plenaria pronuncia sulla sanatoria della notifica del ricorso privo di firma digitale e sulla decorrenza del termine per il nuovo deposito


Processo amministrativo – Notifica del ricorso – Ricorso privo di firma digitale – Mera irregolarità sanabile – Ordine del giudice – Necessità – Esclusione – Termine per il deposito – Dies a quo – Individuazione. 

    E’ configurabile mera irregolarità sanabile, con conseguente applicabilità del regime di cui all’art. 44, comma 2, c.p.a., nel caso di un ricorso notificato privo di firma digitale; in tal caso il ricorrente ben può, in applicazione dei principi di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale amministrativa (art. 1 c.p.a.) e di ragionevole durata del processo (art. 2, comma 2, c.p.a.), provvedere direttamente a rinotificare l’atto con firma digitale, ancor prima che il giudice ordini la rinnovazione della notifica; il termine per il deposito del ricorso, di cui al combinato disposto degli artt. 94, comma primo, e 45 c.p.a., andrà fatto decorrere dalla data dell’effettiva notifica dello specifico atto concretamente depositato (1). 



 

(1) La questione era stata rimessa dalla sez. IV con ord. 25 ottobre 2021, n. 7138.

 

Ha chiarito l’Alto consesso che, ai sensi dell’art. 358 c.p.c., “L'appello dichiarato inammissibile o improcedibile non può essere riproposto, anche se non è decorso il termine fissato dalla legge”: detta consumazione, dunque, ai sensi del chiaro tenore della legge consegue solamente alla dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell'appello e presuppone che l'impugnazione sia stata rivolta contro un provvedimento idoneo a costituire giudicato in senso formale. 

In termini più ampi, Cons. Stato, sez. IV, 3 giugno 2021, n. 4266 rileva che ove l’atto invalido sia oggettivamente inidoneo a consumare il diritto di impugnazione è consentito alla parte di proporre una nuova impugnazione sostitutiva della precedente, seppur a due condizioni: la prima è che i termini per l’appello non siano già decorsi e la seconda è che non sia stata già emessa una sentenza dichiarativa dell'inammissibilità o dell’improcedibilità della prima impugnazione proposta. 

Il principio in esame trova un presupposto logico nel divieto di frazionamento delle impugnazioni (ex multis, Cons. Stato, sez. IV, n. 4266 del 2021) ed è affermato da costante giurisprudenza di legittimità nell’ambito del processo civile: comporta, in estrema sintesi, che l’impugnazione di una parte, una volta ritualmente proposta, preclude alla stessa di formulare in un successivo momento degli altri profili di gravame o di riproporre le stesse censure, anche se il relativo termine non sia ancora scaduto, attraverso un nuovo atto di impugnazione. 

Quest’ultimo, quindi, se proposto, andrà dichiarato inammissibile e della validità o invalidità dell’impugnazione si dovrà giudicare avuto riguardo esclusivamente al primo atto. 

A tale regola si farebbe eccezione in un solo caso, ossia quando il primo atto di impugnazione notificato presenti dei vizi che lo rendano addirittura inammissibile o improcedibile: in questo caso l’atto sarebbe oggettivamente inidoneo a consumare il diritto di impugnazione, ragione per cui sarebbe possibile per la parte proporre una nuova impugnazione sostitutiva della precedente, a condizione ovviamente che i relativi termini non siano decorsi e non sia nel frattempo intervenuta una sentenza dichiarativa dell'inammissibilità o improcedibilità della prima impugnazione proposta. 

In questi termini si pone la costante giurisprudenza di legittimità (ex multis, Cass. civ., sez. III, 16 novembre 2005, n. 23220; id. 22 marzo 2005, n. 1197, secondo cui, anche nell’ottica di salvaguardia di fondamentali esigenze processuali legate all'attuazione dei principi di cui agli artt. 24 e 113 Cost., “deve ritenersi che fino a quando non sia intervenuta una declaratoria di improcedibilità o di inammissibilità del gravame, può sempre essere proposto un secondo atto di appello, sempre che la seconda impugnazione risulti tempestiva e si sia svolto regolare contraddittorio tra le parti”). 

Quanto alla giurisprudenza amministrativa, già Cons. Stato, sez. IV, 15 settembre 2009, n. 5523 rileva che “costituisce principio giurisprudenziale pacifico che ai sensi dell'art. 358 c.p.c. (disposizione applicabile anche al processo amministrativo) la consumazione del potere di impugnazione presuppone necessariamente l'intervenuta declaratoria di inammissibilità del primo gravame, essendo l'impugnazione riproponibile nel rispetto dei termini in mancanza di detta declaratoria; ne deriva che il mancato rispetto del termine di deposito del ricorso comporta la irritualità dell'appello, ma non ne impedisce la reiterazione nel rispetto del termine di legge nelle more della declaratoria di irritualità. […] Nel caso di specie, il secondo appello è stato pacificamente proposto e depositato nei termini di legge, e per altro verso il primo atto di impugnazione – ancorché notificato non è mai stato depositato, sicché giammai avrebbe potuto esserne dichiarata l’inammissibilità: pertanto, si applicano “a fortiori” i principi appena richiamati”. 

In effetti, condicio sine qua non affinché un giudice possa dichiarare l’inammissibilità o improcedibilità del gravame – o, più in generale, pronunciarsi su di esso – è che quest’ultimo venga iscritto a ruolo, ossia depositato presso la Segreteria (o Cancelleria) del giudice medesimo. 

Deposito che, nel caso del processo amministrativo, ai sensi dell’art. 45 c.p.a. segue la notifica alle controparti e solo successivamente al quale può parlarsi di litispendenza (dovendo trovare conferma il principio – su cui Cons. Stato Ad. plen., 28 luglio 1980, n. 35 e valevole anche alla luce del sopravvenuto d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 – secondo cui la litispendenza nel processo amministrativo è l’effetto di una fattispecie complessa, i cui co-elementi possono ritenersi costituiti dalla notifica e dal deposito: la sola notifica quindi, non seguita dal tempestivo deposito del ricorso, è inidonea a provocare la litispendenza. In termini, anche Cons. Stato, sez. IV, 21 dicembre 2001, n. 6333; id. 7 gennaio 2013 n. 22; id. 19 dicembre 2016, n. 5363).

Presupposto imprescindibile – in primis di carattere logico – perché possa in ipotesi configurarsi la fattispecie su cui si verte è dunque che un’impugnazione in senso tecnico sia stata effettivamente proposta, nei termini in precedenza evidenziati. 

Soddisfatta tale ineludibile premessa, in tanto può parlarsi di “consumazione” del potere di impugnazione, in quanto alla proposizione del (primo) gravame la medesima parte processuale ne abbia fatti seguire degli altri, ossia uno o più ulteriori gravami non solo – ovviamente – successivi al primo, ma in tutto o in parte diversi da questo, quanto a petitum o a causa petendi

Diversamente argomentando non potrebbe parlarsi di nuovi atti di appello – solo relativamente ai quali può posi il problema della persistenza o meno, in capo all’appellante, del potere di proporli in aggiunta al primo – ma solo, quanto ad effetti concreti, di rinnovazione degli incombenti processuali (notifica e deposito) relativi al medesimo atto, idonei non certo a modificare l’oggetto del giudizio – aspetto che il principio in esame mira in qualche modo a regolamentare – bensì, al più, a sanare eventuali vizi di carattere formale e/o processuale degli stessi. 

Alla luce dei rilevi che precedono deve dunque escludersi che la vicenda sottoposta all’esame della  Adunanza plenaria sia riconducibile al paradigma della consumazione del potere di impugnazione, difettandone entrambi i presupposti. 

Da un lato, infatti, alla prima notifica dell’atto non era seguito il deposito dello stesso presso la Segreteria del giudice, ragion per cui, non essendo sorta alcuna litispendenza, non poteva ancora ritenersi esercitata – e quindi, in ipotesi, “consumata” – la facoltà di impugnazione. 

Dall’altro, l’identità testuale – quanto al petitum ed alla causa petendi – degli atti notificati non consentiva di configurare una successione di diversi mezzi di gravame, essendosi semplicemente in presenza di una reiterata notifica del medesimo atto, irrilevante ai fini su cui si controverte. 

Deve quindi concludersi che nel caso attualmente controverso il giudizio sulla correttezza o meno del comportamento processuale tenuto dalla parte appellante – e, quindi, sulla tempestività o meno della proposizione del relativo gravame – esula dal contesto della cd. consumazione del potere di impugnazione delle parti del processo. 

Nella specie, risulta dagli atti che la seconda notifica dell’atto, effettuata allorché era ancora pendente il termine di legge per la proposizione dell’appello, era dipesa dall’intento delle amministrazioni appellanti di regolarizzare l’atto introduttivo del giudizio, atteso che la copia originariamente notificata a mezzo PEC, per evidente refuso, non era stata sottoscritta con firma digitale mediante l’utilizzo del formato PAdES, in violazione del combinato disposto degli artt. 136, comma 2-bis, c.p.a. (a tenore del quale “[…] tutti gli atti e i provvedimenti del giudice, dei suoi ausiliari, del personale degli uffici giudiziari e delle parti sono sottoscritti con firma digitale”) e 9 (Atti delle parti e degli ausiliari del giudice), comma primo, d.P.C.M. 16 febbraio 2016, n. 40 (Regolamento recante le regole tecnico-operative per l’attuazione del processo amministrativo telematico, in base al quale gli atti processuali “sono redatti in formato di documento informatico sottoscritto con firma digitale conforme ai requisiti di cui all’articolo 24 del CAD”). 

Al riguardo, va ribadito (in termini, Cons. Stato, sez. V, ord. 24 novembre 2017, n. 5490; id., sez. IV, 4 aprile 2017 n. 1541) che, ancorché non conforme alle predette disposizioni, purtuttavia la predisposizione ed il deposito del ricorso in formato non digitale non incorre in espressa comminatoria legale di nullità (ex art. 156, comma primo, c.p.c.), tanto più che lo stesso avrebbe comunque raggiunto il suo scopo tipico (ex art. 156, comma 3, c.p.c.), essendone certa l’attribuibilità ad un soggetto determinato e la natura di strumento deputato alla chiamata in causa ed alla articolazione delle proprie difese: ne consegue la sola oggettiva esigenza della regolarizzazione, anche laddove sia avvenuta la costituzione in giudizio della parte cui l’atto era indirizzato (Cons. Stato, sez. III, 11 settembre 2017, n. 4286; id., sez. V, ord., n. 5490 del 2017; id., sez. IV, n. 1541 del 2017).

In ragione delle considerazioni che precedono, va pertanto condiviso l’orientamento che qualifica il vizio del ricorso depositato pur privo di firma digitale come un’ipotesi di mera irregolarità sanabile, con conseguente applicabilità del regime di cui all’art. 44, comma 2, c.p.a. (che prevede la fissazione, da parte del giudice, di un termine perentorio entro il quale la parte deve provvedere alla regolarizzazione dell’atto, nelle forme di legge). 

Nel caso in esame, dunque, una volta preso atto della irregolarità dell’atto (laddove, ovviamente, si fosse provveduto al suo deposito), la sua regolarizzazione avrebbe dovuto essere ordinata dal giudice ed eseguita dalla parte nel termine ad essa assegnato; nondimeno l’autonoma regolarizzazione dell’atto da parte dell’appellante (evitando il deposito del primo atto notificato e procedendo direttamente ad una nuova notifica, con successivo deposito di quest’ultima) rende inutile – superandola – la ripetizione di ciò che è stato già spontaneamente eseguito, in pacifica applicazione dei principi di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale amministrativa (art. 1 c.p.a.) e di ragionevole durata del processo (art. 2, comma 2, c.p.a.). 

Ha aggiunto l’Alto consesso che nel caso di plurime notifiche dell’atto volte ad emendare vizi dello stesso, il termine per il deposito decorre dalla data dell’effettiva notifica dello specifico atto concretamente depositato 


Anno di pubblicazione:

2022

Materia:

GIUSTIZIA amministrativa, RICORSO primo grado

GIUSTIZIA amministrativa

Tipologia:

Focus di giurisprudenza e pareri