L’Adunanza plenaria pronuncia sugli effetti della nomina del Commissario ad acta, in relazione alla permanenza del potere di provvedere in capo all’Amministrazione

L’Adunanza plenaria pronuncia sugli effetti della nomina del Commissario ad acta, in relazione alla permanenza del potere di provvedere in capo all’Amministrazione


Processo amministrativo - Giudizio di ottemperanza – Commissario ad acta – Nomina – Residuo potere dell’Amministrazione – Differenza con il Commissario nominato nel giudizio sul silenzio. 

          Gli atti emanati dall’amministrazione, pur in presenza della nomina e dell’insediamento del commissario ad acta, non possono essere considerati affetti da nullità, poiché essi sono adottati da un soggetto nella pienezza dei propri poteri, a nulla rilevando a tal fine la nomina o l’insediamento del commissario medesimo; tali atti potranno essere, ricorrendone le condizioni, dichiarati nulli dal giudice per la diversa ipotesi di violazione o elusione del giudicato (art. 21-septies, l. n. 241 del 1990), ovvero annullati perché ritenuti illegittimi all’esito di domanda di annullamento in un ordinario giudizio di cognizione, ma non possono in ogni caso essere considerati emanati in difetto assoluto di attribuzione e, per questa ragione, ritenuti affetti da nullità; b) il commissario ad acta nominato dal giudice potrà esercitare il proprio potere fintanto che l’amministrazione non abbia eventualmente provveduto; qualora persista il dubbio del commissario in ordine all’esaurimento del proprio potere per intervenuta attuazione della decisione (poiché, ad esempio, questa è reputata dal commissario parziale o incompleta), lo stesso potrà rivolgersi al giudice che lo ha nominato, ai sensi dell’art. 114, comma 7, c.p.a.; c) gli atti emanati dal commissario ad acta, non essendo espressione di potere amministrativo, non sono annullabili dall’amministrazione in esercizio del proprio potere di autotutela; qualora l’amministrazione intenda dolersi di tali atti (ritenendoli illegittimi ovvero non coerenti con il comando contenuto nella decisione del giudice), potrà esclusivamente rivolgersi al giudice dell’ottemperanza, ai sensi dell’art. 114, comma 6, c.p.a., ovvero al giudice del silenzio, ai sensi dell’art. 117, comma 4, c.p.a.; d) qualora il commissario ad acta adotti atti dopo che l’amministrazione abbia già provveduto a dare attuazione alla decisione, gli stessi sono da considerarsi inefficaci e, ove necessario, la loro rimozione può essere richiesta da chi vi abbia interesse al giudice dell’ottemperanza o del giudizio sul silenzio; allo stesso modo deve concludersi per la speculare ipotesi di atti adottati dall’amministrazione dopo che il commissario abbia provveduto (1). 

 

 

(1) La questione era stata rimessa dalla sez. IV con ord. 10 novembre 2020, n. 6925

Ha chiarito l’Alto Consesso che l’amministrazione, che è risultata soccombente in sede giurisdizionale, non perda il proprio potere di provvedere, pur in presenza della nomina e dell’insediamento di un commissario ad acta al quale è conferito il potere di provvedere per il caso di sua inerzia nell’ottemperanza al giudicato (ovvero nell’adempimento di quanto nascente da sentenza provvisoriamente esecutiva ovvero da ordinanza cautelare), e fino a quando lo stesso non abbia provveduto. 

Fino a tale momento, si verifica, dunque, una situazione di esercizio concorrente del potere da parte dell’amministrazione, che ne è titolare ex lege, e da parte del commissario, che, per ordine del giudice, deve provvedere in sua vece. 

Anche l’Adunanza Plenaria, con decisone 14 luglio 1978, n. 23 - precisato che il giudizio di ottemperanza risponde all’esigenza “del completamento della tutela giurisdizionale nella fase esecutiva della decisione” - afferma che con tale giudizio “il giudice amministrativo si sostituisce all’amministrazione inadempiente ponendo in essere l’attività che questa avrebbe dovuto compiere per realizzare concretamente gli effetti scaturenti dalla sentenza da eseguire, conformando la realtà alle relative statuizioni”. 

In definitiva, può affermarsi che il commissario ad acta è, sul piano della qualificazione soggettiva, ausiliario del giudice e ritrae i propri poteri dall’atto di nomina al fine di rendere effettiva la tutela giurisdizionale, adeguando la realtà giuridica e fattuale al comando contenuto nella pronuncia. Tale comando costituisce il contenuto ed il limite del potere del commissario ad acta, che ad esso (solo ad esso e nei limiti di quanto prescritto) deve dare attuazione. 

Sul piano oggettivo dell’attività concretamente posta in essere, esso agisce in virtù di un potere, normativamente previsto, fondato sull’esigenza dell’attuazione delle decisioni giurisdizionali in quanto funzionali a rendere concreta ed effettiva della tutela giurisdizionale delle situazioni soggettive. 

Ciò comporta che la fonte del potere del commissario ad acta è riconducibile, quanto all’investitura, all’atto di nomina e, quanto al contenuto, alla sentenza (o comunque al provvedimento giurisdizionale della cui esecuzione si tratta). 

In conclusione, non può essere riconosciuta al commissario ad acta, nemmeno in via “aggiuntiva”, la natura di organo straordinario dell’amministrazione (dovendosi, in tal senso, precisare quanto – peraltro incidentalmente - affermato da Cons. Stato, Ad. Plen., 9 maggio 2019, n. 7, che riconosce invece al commissario una “duplice veste di ausiliario del giudice e di organo straordinario dell’amministrazione”), e ciò in quanto; per un verso, la natura di ausiliario del giudice del commissario ad acta è l’unica normativamente riconosciuta e definita;  per altro verso, gli organi amministrativi, quanto alla loro esistenza, natura e competenza (poteri) sono istituiti dalla legge, mentre, diversamente opinando, ricorrerebbe in questo caso l’ipotesi di un organo amministrativo di fonte giurisdizionale; per altro verso ancora, il compito del commissario ad acta non è quello di esercitare poteri amministrativi funzionalizzati alla cura dell’interesse pubblico, bensì quello di dare attuazione alla pronuncia del giudice, anche eventualmente attraverso l’esercizio di poteri amministrativi non esercitati, dei quali il comando contenuto in sentenza (o nell’ordinanza) costituisce il fondamento genetico e l’approdo funzionale; da ultimo, non è necessario ipotizzare la natura di organo straordinario dell’amministrazione per giustificare l’imputazione alla sua sfera giuridica degli effetti dell’agire del commissario, trovando questi fonte e giustificazione direttamente nel provvedimento giurisdizionale. 

L’Adunanza plenaria ha poi richiamato la sentenza della sez. IV, 10 maggio 2011, n. 2764 che, con riferimento alla conservazione del potere in capo all’Amministrazione dopo la nomina del commissario ad acta, ha chiarito che la stessa non determina di per sé l’esaurimento della competenza della p.a. sostituita a provvedere all’ottemperanza al giudicato, in quanto il venir meno dell’inerzia della p.a. stessa, pur dopo la scadenza del termine assegnatole, rende priva di causa la nomina e la funzione del commissario, secondo i principi di economicità e buon andamento dell’azione amministrativa, non smentiti dalla legge o dalla pronuncia del giudice dell’ottemperanza ed essendo indifferente per il privato che il giudicato sia eseguito dall’Amministrazione, piuttosto che dal Commissario, perché l’attività di entrambi resta comunque egualmente soggetta al controllo del giudice (Cons. Stato, sez. VI, 29 dicembre 2008, n. 6585; id., sez. IV, 10 aprile 2006, n. 1947; id., sez. V, 3 febbraio 1999, n. 109).

Può ulteriormente aggiungersi che la duplice possibilità di ottenere l’ottemperanza alla decisione sia da parte dell’amministrazione, sia da parte del commissario ad acta, rafforza la posizione della parte già vittoriosa in sede di cognizione. 

E la concorrenza della competenza del commissario ad acta e dell’amministrazione ha termine allorché uno dei due soggetti dà attuazione alla decisione del giudice. 

Infine, chiarito il rapporto intercorrente tra commissario ad acta ed amministrazione soccombente, l’Adunanza plenaria ha ricordato che resta ovviamente fermo il potere della parte vittoriosa di rivolgersi al giudice per ogni doglianza o chiarimento nei confronti degli atti adottati.


Anno di pubblicazione:

2021

Materia:

GIUSTIZIA amministrativa, GIUDIZIO di ottemperanza

Tipologia:

Focus di giurisprudenza e pareri