Caratteri dell'azione popolare elettore da parte del cittadino elettore - Obbligo (flessibile) di rinvio pregiudiziale da parte del giudice di ultima istanza

Caratteri dell'azione popolare elettore da parte del cittadino elettore - Obbligo (flessibile) di rinvio pregiudiziale da parte del giudice di ultima istanza


Processo amministrativo – Ricorsi elettorali – Elezioni parlamento europeo - Proposto in qualità di cittadini elettori – Operazioni per i tre seggi supplementari – Motivo incidente sul risultato elettorale dell’intero collegio nazionale – Inammissibilità del ricorso.

Processo amministrativo – Ricorsi elettorali – Elezioni parlamento europeo - Proposto in qualità di cittadini elettori – Operazioni per i tre seggi supplementari – Motivo incidente sul risultato elettorale dell’intero collegio nazionale – Inammissibilità del ricorso – Art. 130, comma 1, lett. b), c.p.a. – Rimessione alla Corte di Giustizia Ue - Esclusione – Ratio.


 

        É inammissibile il ricorso, proposto in qualità di cittadini elettori, avverso i risultati delle elezioni per il rinnovo dei rappresentanti italiani del Parlamento europeo tenutesi in Italia il 26 maggio 2019, lamentando l’illegittimità della procedura elettorale nella parte in cui è stata applicata, in attuazione della normativa interna, la soglia di sbarramento del 4% e limitando la domanda alle sole operazioni elettorali relative ai seggi di cui alla decisione del Consiglio europeo 2018/937/UE del 28 giugno 2018, nella sostanza concernenti i tre seggi supplementari, vale a dire i seggi derivanti dalla ripartizione di quelli spettanti al Regno Unito, per i quali la decisione (UE) 2018/937 del 28 giugno 2018 ha previsto un insediamento differito, con conseguente richiesta di una correzione del risultato elettorale attraverso la proclamazione a parlamentari europei eletti dei tre candidati specificamente indicati in sostituzione dei controinteressati; la censura proposta incide, infatti, sul risultato elettorale dell’intero collegio nazionale, sicché il relativo interesse non è declinabile o frazionabile con riferimento ad alcune circoscrizioni soltanto, diversamente dalla diversa fattispecie in cui l’interesse legittimante si radica in capo al candidato in una specifica circoscrizione  (1).

        Il giudice di ultima istanza non è tenuto a rimettere alla Corte di Giustizia Ue la questione relativa alla conformità con il diritto europeo dell’art. 130, comma 1, lett. b), c.p.a., interpretato nel senso che la posizione dell’elettore non può specificare, con l'azione popolare, una frazione determinata dell’interesse generale al rispetto della legge, proprio perché colui che sperimenta l’azione popolare agisce uti cives e non uti singulus; ed invero, la statuizione di inammissibilità della pretesa di esercitare uti cives un interesse che in realtà si manifesta in modo difforme non costituisce una forma di limitazione dell’accesso alla giustizia, o della pienezza del suo sindacato: ma rappresenta la sanzione della distorsione dello strumento processuale, rispetto alla quale non vi è questione di protezione di un diritto di matrice comunitaria da devolvere con rinvio pregiudiziale (2).
 

(1) Ha ricordato la Sezione che le consultazioni elettorali per il rinnovo del Parlamento europeo sono incentrate sul collegio unico nazionale, suddiviso in cinque circoscrizioni elettorali.
Tale rilievo comporta che l’interesse legittimante il ricorso giurisdizionale del cittadino elettore si appunta sulla contestazione dell’intero risultato elettorale (nella misura in cui è stato determinato dall’applicazione dei provvedimenti censurati), e non solo su una parte di esso.
Detto interesse si identifica infatti nella “realizzazione dell'interesse collettivo al corretto svolgimento delle operazioni elettorali” (Cons. St., sez. V, n. 1661 del 2008).
Al che consegue, sul piano processuale, che “il giudicato formatosi acquista autorità ed efficacia erga omnes, non essendo compatibile con la
natura popolare dell'azione, con il suo carattere fungibile e con le sue funzioni e finalità, che gli effetti della pronuncia rimangano limitati alle sole parti del giudizio”(Cons. St., sez. V, n. 2500 del 2013).
Il fondamento teorico di tale indirizzo giurisprudenziale risiede nella risalente ed autorevole teorizzazione secondo la quale l’azione popolare elettorale si fonda su di una legittimazione speciale del singolo elettore, che l’ordinamento investe della cura dell’interesse pubblico alla salvaguardia della regolarità delle operazioni elettorali: in tale prospettiva l’interesse tutelato è imputabile allo Stato (o alla comunità territoriale di riferimento), e non al singolo cittadino titolare della legittimazione ad agire a tutela di tale interesse.
Anche la dottrina più recente, aderendo a questa impostazione, precisa che la posizione dell’elettore non può specificare una frazione determinata dell’interesse generale al rispetto della legge.
Nel caso di specie i ricorrenti in primo grado hanno esercitato l’azione in parola allo scopo di censurare l’applicazione della c.d. soglia di sbarramento.
L’individuazione del preteso vizio si pone in relazione d’incompatibilità logica con la delimitazione del gravame ad alcune circoscrizioni soltanto e in relazione all’attribuzione dei tre seggi assegnati all’Italia in conseguenza della definitiva uscita del Regno Unito dall’Unione europea.
È infatti evidente che la censura proposta incide sul risultato elettorale dell’intero collegio nazionale, sicché il relativo interesse non è declinabile o frazionabile con riferimento ad alcune circoscrizioni soltanto, diversamente dalla diversa fattispecie in cui l’interesse legittimante si radica in capo al candidato in una specifica circoscrizione.
La prospettazione di parte ricorrente, ove fondata, avrebbe infatti conseguenze invalidanti sull’intero collegio nazionale, ed è la stessa configurazione ontologica della legittimazione del cittadino elettore ad impedire che essa venga esercitata per sollecitare una correzione solo parziale dei risultati elettorali in tesi viziati.



(2) Ha ricordato la Sezione che il giudice nazionale di ultima istanza può omettere il rinvio alla Corte di Giustizia Ue se “la corretta applicazione del diritto comunitario può imporsi con tale evidenza da non lasciar adito ad alcun ragionevole dubbio sulla soluzione da dare alla questione sollevata”.
La giurisprudenza della Corte E.D.U., in particolare, impone al giudice interno un onere motivazionale specifico sul punto, che può essere assolto anche in forma implicita (Corte europea dei diritti umani, sentenza del 21 luglio 2015, n. 38369/09, Schipani, che pure in concreto non ha ravvisato nel caso di specie tale implicita motivazione).
Il richiamato indirizzo giurisprudenziale risponde ai segnalati – da più parti – fattori di irrigidimento del rimedio, suscettibili di produrre rischi di abuso del diritto di difesa che possono snaturare la funzione di un importante strumento di cooperazione diretta tra i giudici nazionali e le corti europee.
Date le superiori premesse, la Sezione ha escluso che sussistano i presupposti per la Rimessione della causa alla Corte di Giustizia.
Non sussiste infatti un plausibile dubbio circa il contrasto fra il diritto vivente censurato e le disposizioni indicate come parametro comunitario e convenzionale.
L’indirizzo giurisprudenziale che ha indotto il primo giudice a dichiarare inammissibile il ricorso introduttivo non impedisce l’effettività dell’accesso alla giustizia, nei termini garantiti dai parametri evocati: ma distingue le condizioni di accesso in funzione delle posizioni soggettive oggetto di tutela e delle finalità della stessa, trattando in modo diseguale situazioni diseguali.
Le garanzie di accesso alla giustizia implicate dai richiamati parametri, e in particolare le conseguenze della positivizzazione del principio di effettività della tutela giurisdizionale nell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, non giungono infatti a negare l’autonomia processuale degli ordinamento degli Stati membri, in punto non solo di disciplina non irragionevole delle condizioni di accesso alla giustizia, ma di differenziazione dei rimedi in funzione di una piena tutela delle situazioni soggettive azionate.
Nel caso di specie, è pacifico che l’interpretazione praticata dal primo giudice non avrebbe comunque impedito agli odierni appellanti di proporre e di vedere esaminata la loro domanda di tutela giurisdizionale, e non avrebbe pertanto pregiudicato una protezione effettiva del loro diritto correlato alla condizione di cittadini-elettori: se solo gli stessi avessero proposto il ricorso in termini tecnicamente compatibili proprio con l’oggetto della tutela.
Non si può infatti dilatare il diritto garantito dall’art. 47 della Carta fino ad includervi la sanatoria del mancato rispetto delle non irragionevoli regole processuali che nel diritto processuale interno disciplinano non già una limitazione all’accesso, ma anzi l’effettività della tutela e la sua corrispondenza funzionale alla posizione d’interesse che ne costituisce l’oggetto.
Nel caso di specie, paradossalmente, la sentenza appellata ha escluso la legittimazione dei ricorrenti per avere essi formulato una domanda di tutela insufficientemente ampia, come tale incompatibile con la posizione soggettiva fatta valere; e non, al contrario, eccessivamente ampia (il che avrebbe, in tesi, sul piano strutturale, legittimato la prospettazione di una compressione del diritto di difesa).
È proprio la considerazione della natura del diritto tutelato che ispira la regola processuale interna applicata, e che consente di ritenere tale regola assolutamente proporzionata allo scopo (di corrispondenza fra posizione azionata e rimedio processuale) che essa si prefigge.
D’altra parte, la ragionevolezza di tale regola processuale risiede nella sua coerenza proprio con la protezione dell’interesse fatto valere dagli odierni appellanti, come definito in precedenza: se si consentisse una impugnazione circoscritta, tale da consentire al ricorrente di calibrare gli effetti del (giudicato di annullamento conseguente al) vizio denunciato, non si darebbe tutela all’interesse – ampio – sotteso all’azione popolare, ma a un diverso e più circoscritto interesse, più simile a quello del candidato che intenda (contestare e) riformare il risultato elettorale relativo ad uno specifico ambito territoriale.
La statuizione di inammissibilità della pretesa di esercitare uti cives un interesse che in realtà si manifesta in modo difforme non costituisce una forma di limitazione dell’accesso alla giustizia, o della pienezza del suo sindacato: ma rappresenta la sanzione della distorsione dello strumento processuale (che non trova garanzia nelle disposizioni invocate).
La questione posta, in altre parole, sconta un difetto d’impostazione sul piano strutturale che impedisce che vi sia materia di rinvio pregiudiziale.
La statuizione della sentenza di primo grado, che trova conferma con il rigetto della censura in esame, non implica affatto che rispetto all’interesse dei ricorrenti in primo grado non vi sia azione (o comunque non vi sia una garanzia di effettività della tutela giurisdizionale come delineata dal citato art. 47): implica, al contrario, che la possibilità di un ricorso vi sia, ma che gli odierni appellanti non abbiano inteso esercitarla, optando per un diverso tipo di domanda rispetto al quale essi sono però carenti di interesse.
Gli invocati parametri comunitari e convenzionali si riferiscono al rapporto fra la titolarità di un interesse e l’esistenza di un’azione a tutela dello stesso: qui si controverte di altro, vale a dire della pretesa di un soggetto ad una correzione parziale del risultato elettorale che non è logicamente, prima che giuridicamente, compatibile con l’interesse di cui tale soggetto si afferma portatore (e che, lo si ribadisce, ove correttamente azionato troverebbe strumenti di tutela piena ed effettiva).
Tale considerazione esclude che vi sia materia di rinvio pregiudiziale, anche solo sul piano meramente dubitativo, difettando il fondamentale presupposto dell’esistenza di un possibile contrasto fra la garanzia comunitaria del diritto di difesa, e la disciplina italiana dell’accesso alla giustizia in materia di sindacato sui risultati delle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo nel collegio unico nazionale italiano.
La statuizione di inammissibilità consegue infatti non all’inesistenza di rimedi, o alla loro insufficienza rispetto al parametro invocato, ma a una libera scelta processuale della parte (incompatibile con il tipo di interesse fatto valere).

 


Anno di pubblicazione:

2020

Materia:

GIUSTIZIA amministrativa, RITO speciale (elettorale)

Tipologia:

Focus di giurisprudenza e pareri