Alla Corte di giustizia Ue la qualificazione giuridica di Poste Italiane s.p.a. e l’estensione dell’obbligo di svolgere procedure contrattuali ad evidenza pubblica

Alla Corte di giustizia Ue la qualificazione giuridica di Poste Italiane s.p.a. e l’estensione dell’obbligo di svolgere procedure contrattuali ad evidenza pubblica


Contratti della Pubblica amministrazione – Stazioni appaltanti e soggetti aggiudicatori - Poste Italiane s.p.a. – Natura giuridica e estensione dell’obbligo di svolgere procedure contrattuali ad evidenza pubblica – Rimessione alla Corte di giustizia Ue.

   Vanno rimesse alla Corte di Giustizia Ue le questioni: 1) se la società Poste Italiane s.p.a., in base alle caratteristiche in precedenza indicate, debba essere qualificata “organismo di diritto pubblico”, ai sensi dell’art 3, comma 1, lett. d), d.lgs. n. 50 del 2016 e delle direttive comunitarie di riferimento (2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE); 2) se detta società sia tenuta a svolgere procedure contrattuali ad evidenza pubblica solo per l’aggiudicazione degli appalti, che siano direttamente riferibili all’attività propria dei settori speciali, di cui alla direttiva 2014/25/UE, in applicazione della quale la stessa natura di organismo di diritto pubblico dovrebbe ritenersi assorbita nelle regole della parte II° del Codice degli appalti, con piena autonomia negoziale – e regole esclusivamente privatistiche – per l’attività contrattuale non attinente, in senso stretto, a tali settori, tenuto conto dei principi dettati dalla direttiva 2014/23/UE, punto n. 21 delle premesse e art. 16; 3) se la medesima società, per i contratti da ritenere estranei alla materia, propria dei settori speciali, resti invece – ove in possesso dei requisiti di organismo di diritto pubblico – soggetta alla direttiva generale 2014/24/UE (e quindi alle regole contrattuali ad evidenza pubblica), anche ove svolgente – in via evolutiva rispetto all’originaria istituzione – attività prevalentemente di stampo imprenditoriale e in regime di concorrenza, come desumibile dalla ricordata pronuncia n. C-393/06 del 10 aprile 2008 – Ing. Aigner, ostando ad una diversa lettura la direttiva 2014/24/UE, per contratti conclusi da Amministrazioni aggiudicatrici; il “considerando” n. 21 e l’art. 16 della citata direttiva 2014/23/UE, d’altra parte, pongono solo un parametro presuntivo, per escludere la natura di organismo di diritto pubblico per le imprese, che operino in condizioni normali di mercato, essendo comunque chiaro, in base al combinato disposte delle medesime disposizioni, il prioritario riferimento alla fase istitutiva dell’Ente, ove quest’ultimo sia destinato a soddisfare “esigenze di interesse generale” (nel caso di specie sussistenti e non ancora cessate); 4) se comunque, in presenza di uffici in cui si svolgono, promiscuamente, attività inerenti al settore speciale e attività diverse, il concetto di “strumentalità” – rispetto al servizio di specifico interesse pubblico – debba essere inteso in modo non restrittivo, ostando, a quest’ultimo riguardo, i principi di cui al “considerando” n. 16, nonché gli artt. 6 e 13 della direttiva 2014/25/UE, che richiamano – per l’individuazione della disciplina applicabile, il concetto di “destinazione” ad una delle attività, disciplinate dal Codice dei contratti pubblici. Deve essere chiarito, pertanto, se possano essere “destinate” al settore speciale di riferimento – anche con le modalità vincolistiche attenuate, proprie dei settori esclusi – tutte le attività funzionali al settore stesso, secondo le intenzioni della stazione appaltante (ivi compresi, pertanto, i contratti inerenti la manutenzione sia ordinaria che straordinaria, la pulizia, gli arredi, nonché i servizi di portierato e di custodia degli uffici, o altre forme di utilizzo di questi ultimi, se intese come servizio per la clientela), restando effettivamente privatizzate solo le attività “estranee”, che il soggetto pubblico o privato può esercitare liberamente in ambiti del tutto diversi, con disciplina esclusivamente riconducibile al codice civile e giurisdizione propria del giudice ordinario (di quest’ultimo tipo ad esempio, per quanto qui interessa, è certamente il servizio bancario svolto da Poste Italiane, ma non altrettanto potrebbe dirsi con riferimento alla fornitura e all’utilizzo degli strumenti di comunicazione elettronica, se posti al servizio dell’intero ambito di attività del Gruppo, pur essendo particolarmente necessari appunto per l’attività bancaria). Non sembra peraltro inutile sottolineare lo “sbilanciamento”, indotto dall’interpretazione restrittiva attualmente prevalente, introducendosi nella gestione di settori assimilabili o contigui regole totalmente diverse, per l’affidamento di lavori o servizi: da una parte, le minuziose garanzie imposte dal Codice dei contratti per l’individuazione dell’altro contraente, dall’altra la piena autonomia negoziale dell’imprenditore, libero di operare contrattazioni in funzione esclusiva dei propri interessi economici, senza alcuna delle garanzie di trasparenza, richieste per i settori speciali e per quelli esclusi; 5) se infine l’indizione – con le forme di pubblicità previste a livello sia nazionale che comunitario – di una procedura di gara ad evidenza pubblica, a norma del codice degli appalti, possa rilevare ai fini dell’individuazione dell’area di destinazione dell’appalto, ovvero dell’attinenza di quest’ultimo al settore speciale di riferimento, in senso conforme all’ampliata nozione di “strumentalità”, di cui al precedente quesito n. 4), ovvero – in via subordinata – se l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, sollevata dallo stesso soggetto che abbia indetto tale procedura di gara, o da soggetti che a detta procedura abbiano vittoriosamente partecipato, possa considerarsi abuso del diritto ai sensi dell’art. 54 della Carta di Nizza, quale comportamento che – pur non potendo incidere, di per sé, sul riparto di giurisdizione – rileva quanto meno ai fini risarcitori e delle spese di giudizio, poichè lesivo del legittimo affidamento dei partecipanti alla gara stessa, ove non vincitori e ricorrenti in sede giurisdizionale. (1)

 

(1) Altra rimessione, sempre con riferimento alla natura di Poste Italiane s.p.a. e all’obbligo di svolgere procedure contrattuali ad evidenza pubblica, era stata disposta dal Tar Lazio, sez. III, con ord. 12 luglio 2018, n. 7778  

 

 

(1) Il Tar ha ribadito il carattere generale – e dunque l’applicabilità – della direttiva 2004/18/CE (ora 2014/24/UE), riferita ai settori ordinari, a tutti gli organismi di diritto pubblico, anche ove operanti nei settori speciali, quando l’attività contrattuale posta in essere abbia oggetto estraneo a detti settori.

In nessun caso pertanto, per gli organismi in questione, verrebbe meno in materia contrattuale la giurisdizione del giudice amministrativo, prevista per le procedure ad evidenza pubblica, prescritte sia per il settore ordinario che per quello speciale.

Contrariamente a quanto affermato dalla Corte di Cassazione, nel paragrafo dell’ordinanza n. 4899 del 2018, sintetizzato al precedente punto d), dovrebbe quindi ritenersi non irrilevante, ma fondamentale, la qualificazione giuridica di Poste Italiane s.p.a in base ai precisi parametri enunciati nell’art. 3, comma 1, lett. d), d.lgs. n. 50 del 2016 (parametri immutati rispetto a quelli recepiti – sempre in conformità alle direttive comunitarie di rispettivo riferimento – dal d.lgs. n. 163 del 2006).

Non sembra inutile precisare, inoltre, che le argomentazioni della stessa Suprema Corte, riportate al precedente punto b), non trovano sicuro riscontro nei testi normativi richiamati: quanto alla direttiva 2004/18/CE (ora 2014/24/UE), infatti, è vero che sono ricomprese tra gli enti aggiudicatori le amministrazioni aggiudicatrici e, fra queste ultime, gli organismi di diritto pubblico, definiti nei precisi termini di cui al citato art. 3, comma 1, lett. d), d.lgs. 50 (in precedenza art. 3, comma 26, d.lgs. n. 163 del 2006, di identica formulazione), ma ciò implica soltanto che tra gli enti aggiudicatori rientrino appunto anche gli organismi di diritto pubblico, senza per questo essere “espunti” dal novero delle amministrazioni aggiudicatrici, di cui al medesimo art. 3, comma 1, lett. a), pacificamente soggette alle disposizioni del Codice per i settori ordinari. Non derogatoria, ma solo implicante un più ampio spettro soggettivo per i settori speciali, inoltre, è la qualificazione degli enti aggiudicatori, di cui all’art. 3, comma 29, d.lgs. n. 163 del 2006 (ora art. 3, comma 1, lett. “e”, d.lgs. n. 50 del 2016), mentre l’allegato VI al medesimo d.lgs. n. 163 contiene solo una mera elencazione non tassativa degli Enti, cui sono affidate funzioni nei settori speciali, di modo che non acquista ugualmente rilevanza derogatoria il fatto che si indichi come ente aggiudicatore, in tale ambito, la società Poste Italiane.

La Sezione ha affermato di non ignorare, tuttavia, l’ampia liberalizzazione e apertura alla concorrenza, intervenuti nel settore di cui trattasi, apertura che trova coronamento nella recente l. n. 124 del 4 agosto 2017 (legge annuale per il mercato e la concorrenza), che ha soppresso la precedente esclusiva di Poste Italiane per i servizi di notificazione degli atti giudiziari e delle infrazioni del codice della strada.

Già con decisione della Commissione europea n. 1642 del 30 aprile 2008, inoltre, era stata stabilita l’esenzione degli appalti di Poste Italiane, relativi a servizi nazionali e internazionali di corriere espresso, mentre con successiva decisione 2010/12/UE del 5 gennaio 2010 è stata esclusa l’applicazione della direttiva 2004/17/CE sui settori speciali per i servizi finanziari, gestiti da Bancoposta (raccolta del risparmio, prestiti per conto di banche e altri intermediari finanziari abilitati, attività di investimento e previdenza complementare, servizi di pagamento e trasferimento di denaro).

Come sottolineato in particolare dall’AGCOM, tuttavia, l’operatività dell’ente in ambito concorrenziale rappresenta solo un indice dell’assenza del requisito teleologico, dovendosi riscontrare – per escludere del tutto tale requisito – anche il perseguimento di finalità schiettamente economiche, con piena assunzione del rischio di impresa: circostanze, queste ultime, che non si ravvisano per il cosiddetto servizio postale universale, assegnato a Poste Italiane s.p.a. fino al 30 aprile 2026, ai sensi dell’art. 23, comma 2, d.lgs. n. 261 del 1999. La medesima normativa, all’art. 3, comma 12, dispone che l’onere per la fornitura del servizio universale sia finanziato attraverso trasferimenti posti a carico del bilancio dello Stato e mediante il Fondo di compensazione (non ancora attivato), di cui all’art. 10 dello stesso d.lgs. n. 261 del 1999.

In sede di valutazione del costo netto del servizio universale, in effetti, l’Autorità di norma non si attiene a quanto richiesto e contabilizzato dall’Ente, ma quantifica l’ammontare in base ai costi stimabili per un’impresa “efficiente”, come dovrebbe ritenersi quella operante nel settore: pur in presenza di tale richiamo a criteri di efficienza imprenditoriale, in ogni caso, il rischio di impresa appare chiaramente, se non escluso, attenuato.

Può dunque ritenersi delineato, anche ai sensi dell’art. 14, comma 2, del Codice degli appalti, l’ambito dei settori, in cui Poste italiane può operare con modalità derogatorie, rispetto alle regole generali vigenti in tema di appalti: regole, in base alle quali si è sinora ritenuto che la teoria del contagio fosse superata per le imprese pubbliche, ma non anche per gli organismi di diritto pubblico, essendo questi ultimi tenuti – ove operanti nei settori speciali – a seguire la relativa disciplina solo per le attività strumentali ai settori stessi, senza però sfuggire alla disciplina dei settori ordinari per ogni altra attività, in funzione degli interessi di rilievo per la collettività, comunque ai medesimi affidati.

Nonostante i principi da ultimo esposti, la Sezione non può comunque sottrarsi ad una duplice problematica: la prima, da riferire al carattere vincolante delle pronunce della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, in tema di giurisdizione, nel diritto processuale italiano; la seconda, attinente a possibili profili evolutivi della giurisprudenza comunitaria, in presenza della progressiva trasformazione di alcuni soggetti giuridici, istituiti come organismi di diritto pubblico, in vere e proprie imprese, la cui attività sia svolta, in modo ampiamente preponderante, in regime di concorrenza, come appunto rappresentato per Poste Italiane s.p.a. (cfr. al riguardo direttiva 2014/23/UE, punto n. 21 delle premesse e art. 16, riferiti agli organismi che operano in condizioni normali di mercato, perseguendo profitti e sostenendo le perdite, con riferimento ad attività – ormai maggioritarie nel caso di specie – direttamente esposte alla concorrenza).

Con riferimento al primo quesito, il Collegio rileva che la Corte di Cassazione è in effetti chiamata ad accertare, in via definitiva e vincolante per la pronuncia di merito, ex art. 382 cod. proc. civ., la giurisdizione del giudice investito della causa nel sistema processuale italiano (anche in via di regolamento preventivo); la Corte di Giustizia UE, tuttavia, ha espresso il principio generale, secondo cui il diritto dell’Unione europea impedisce che un giudice nazionale sia vincolato da una norma di procedura interna, in base alla quale lo stesso dovrebbe attenersi alle valutazioni svolte da un giudice nazionale di grado superiore, qualora risulti che le valutazioni di quest’ultimo non siano conformi al diritto dell’Unione, come interpretato dalla predetta Corte (cfr. Corte di Giustizia, sentenza in data 20 ottobre 2011, causa C-396/09 - Interedil s.r.l. in liquidazione).

Può dunque essere affermata la facoltà (o l’obbligo, per i giudici di ultima istanza) di rivolgersi alla Corte di Giustizia, ogni qual volta sussista un “ragionevole dubbio”, circa la corretta applicazione del diritto dell’Unione europea, indipendentemente da qualsiasi contrastante pronuncia della Corte di Cassazione, anche a Sezioni Unite in tema di giurisdizione, o dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, vincolante per le sezioni semplici del medesimo Consiglio di Stato (cfr. anche Corte di Giustizia, Grande Sezione, sentenza del 5 aprile 2016 – causa C-689/13 – Puligienica Facility; Corte di Giustizia, sentenza del 6 ottobre 1982 – causa 283/81 – Cilfit).

Premesso quanto sopra, quale fattore legittimante della presente ordinanza (come già dell’ordinanza n. 7778/2018, di cui viene in parte ripreso il contenuto), si pone l’ulteriore questione – pregiudiziale per la decisione della controversia in esame – della compatibilità con la normativa comunitaria (direttive nn. 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE) della disciplina nazionale di cui all’art. 3, comma 1, lettera “e” del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici) ove tale norma sia intesa, in conformità all’interpretazione fornita dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite nella citata ordinanza n.4899/2018 (vincolante nel diritto interno per le questioni di giurisdizione), come derogatoria per le imprese, che operano nei settori speciali, di cui alla parte II del Codice, dei principi generali enunciati nell’art. 1 e nel medesimo art. 3, comma 1 lettera a) del Codice stesso, per quanto riguarda l’obbligo di procedure contrattuali ad evidenza pubblica, ove il contratto da concludere non sia attinente alle attività proprie dei settori speciali. In altri termini, si tratta di verificare se i principi, recepiti nella citata pronuncia Aigner, siano o meno suscettibili di superamento, in funzione di una spiccata prevalenza degli interessi di natura industriale e commerciale su quelli, di interesse per la collettività, giustificativi dell’originaria istituzione dell’organismo di diritto pubblico, ovvero se il riferimento a detta istituzione – formalmente presente nel citato art. 3, comma 1, lett. d), punto n. 1, d.lgs. n. 50 del 2016 – debba essere ritenuto non superabile, anche per imprese operanti in ampio regime di concorrenza.


Anno di pubblicazione:

2019

Materia:

CONTRATTI pubblici e obbligazioni della pubblica amministrazione, SETTORI speciali

Tipologia:

Focus di giurisprudenza e pareri