Verifica della giurisdizione anche in caso di rinuncia al ricorso

Verifica della giurisdizione anche in caso di rinuncia al ricorso


Giurisdizione – Verifica del possesso - Rinuncia al ricorso – Possibilità di effettuare la verifica.

        La rinuncia al ricorso non preclude la verifica del possesso della giurisdizione, trattandosi di questione, in effetti, prioritaria rispetto ad ogni altra, sia di rito che di merito, ma privata di ogni concretezza e incidenza sulla fattispecie sottoposta a giudizio, essendo il giudice vincolato alla pronuncia, di cui ai citati artt. 84 e 35 c.p.a. (1).

(1) Ha chiarito la Sezione che la disciplina comunitaria non contiene una disposizione, analoga a quella dettata nell’art. 99, comma 5, c.p.a., secondo cui – in presenza di questioni controverse, sottoposte al vaglio dell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato, ove il giudice ritenga che la questione sia di particolare importanza – detta adunanza “può comunque pronunciare il principio di diritto nell’interesse della legge”, anche quando dichiara il ricorso irricevibile, inammissibile o improcedibile, o comunque estinto, senza effetto – “in tali casi” – sul provvedimento impugnato.

Deve essere considerata, tuttavia, una significativa evoluzione, intervenuta nella giurisprudenza della Corte di Giustizia, in evidente considerazione della funzione nomofilattica della stessa, in quanto finalizzata ad assicurare l’omogenea applicazione delle disposizioni normative, vigenti nell’Unione Europea.

Nella ripartizione di funzioni fra detta Corte e il giudice del rinvio, pertanto, spetta al secondo la valutazione della necessità di una pronuncia in base al citato art. 267 TFUE, di modo che le questioni pregiudiziali sollevate godono di una “presunzione di pertinenza”, tanto da configurare come eccezionali i casi, in cui la medesima Corte rifiuti di pronunciarsi, per difetto di competenza. Tale difetto appare ravvisabile “soltanto qualora appaia in modo manifesto che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non ha alcun rapporto con la realtà effettiva o con l’oggetto del giudizio principale, qualora la questione sia di tipo teorico o, ancora, qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto e di diritto, necessari per rispondere in modo utile alle questioni che le sono sottoposte” (cfr. Corte giustizia UE, sez. III, n.492 del 27 giugno 2013 – causa C-492/11 – Ciro Di Donna contro Società imballaggi metallici Salerno, punti nn. 24 e 25, nonché giurisprudenza conforme ivi citata; sez. II, 7 febbraio 2019 – causa C-49/18 – Carlos Escribano Vindel contro Ministerio de Justicia, punto n. 25).

Quanto sopra, anche in considerazione di eventuali, successive istanze di risarcimento del danno, ex art. 30 c.p.a., ferma restando, peraltro, la decisione da assumere comunque – con ampia discrezionalità dell’organo giudicante – per la liquidazione delle spese giudiziali, alla cui compensazione lo stesso giudice non è certo vincolato da una mera adesione delle parti resistenti, tenuto conto, in particolare, di quanto disposto dall’art. 84, comma 2, c.p.a. (cfr. anche, a quest’ultimo riguardo, Corte di Giustizia, III sezione, causa C-328/17 - Amt, Azienda Mobilità e Trasporti e altri contro Agenzie regionale ligure per il trasporto pubblico locale - sentenza del 28 novembre 2018; in tale sentenza – in rapporto ad una gara a cui la parte ricorrente non aveva partecipato, per tale ragione con pronuncia di inammissibilità della questione, in un primo tempo sollevata innanzi alla Corte Costituzionale e, per di più, dopo il finale autoannullamento del bando – si afferma quanto segue: “sebbene l’esame della questione…..sia solo intesa a consentire al giudice del rinvio di pronunciarsi sulla ripartizione delle spese nel procedimento principale, non vi è dubbio che si tratta di una questione relativa all’interpretazione del diritto dell’Unione, alla quale la Corte deve rispondere al fine di preservare l’uniformità di applicazione del medesimo”).

La rinuncia non appare, dunque, concettualmente incompatibile con qualsiasi ulteriore apprezzamento del giudice, anche soltanto ai fini dell’eventuale condanna alle spese, che in determinate circostanze – di seguito esaminate – possono comportare una valutazione di sussistenza, o meno, di profili di soccombenza virtuale.

Anche nell’ottica sopra indicata, comunque, la dichiarazione di sopravvenuta carenza di interesse e la rinuncia potrebbero apparire diversamente vincolanti per il giudice, solo nel primo caso chiamato ad acquisire precisi punti di riferimento per una composizione di interessi, correttamente impostata e non lesiva del principio di effettività della tutela, in rapporto al legittimo affidamento determinato dal bando di gara (persistendo per il medesimo giudice il dovere, riconducibile agli articoli 2 e 111 della Costituzione, di valutare in via pregiudiziale la sussistenza della propria giurisdizione, in particolare quando emergano in rapporto alla stessa ragioni di effettività della tutela, nella prospettiva risarcitoria di cui all’art. 34, comma 3, c.p.a.).

La rinuncia al ricorso ritualmente proposta, invece, chiude per volontà della stessa parte ricorrente qualsiasi ulteriore prospettiva, ma non esclude – anche ai soli fini della condanna alle spese – una richiesta di pronuncia chiarificatrice della citata Corte, pur restando virtualmente intangibile il principio dispositivo, implicante poi estinzione del giudizio in corso.

Anche in rapporto a tale intangibilità, in effetti, possono sussistere dubbi, benchè non ancora affrontati dalla giurisprudenza, se non sul piano dei principi generali.

In situazioni come quella in esame, infatti, sopravvenuta carenza di interesse e rinuncia potrebbero equipararsi, in presenza di ravvisabili profili di abuso del diritto e del processo, potenzialmente ostativi per la stessa ammissibilità della rinuncia, tenuto conto della normativa vigente e della disciplina comunitaria, in termini che – come più avanti meglio specificato – stanno progressivamente affermandosi anche nella giurisprudenza nazionale (cfr., sul piano normativo, art. 1175 cod. civ., artt. 37, 88 e 96 c.p.c., art. 26, comma 2 c.p.a., nonché art. 17 CEDU e art. 54 della Carta di Nizza, che, come è noto, con il trattato di Lisbona ha acquistato lo stesso valore giuridico dei Trattati; cfr. anche Corte di Giustizia, causa C-321/05 del 5 luglio 2007 – Kofoed, che pone l’abuso del diritto come principio generale dell’Unione Europea).

 


Anno di pubblicazione:

2020

Materia:

GIURISDIZIONE (in genere, amministrativa)

Tipologia:

Focus di giurisprudenza e pareri