Termine lungo per appellare

Termine lungo per appellare


Processo amministrativo – Appello - Termine lungo - Prescinde dalle scelte processuali degli attori.

 

         Il termine “lungo” per appellare la sentenza del Tar è un termine residuale, che non è determinato dalla volontà delle parti, ed è finalizzato a fare in modo che la pendenza del rapporto processuale abbia termine definitivamente a prescindere dalle scelte processuali degli attori per eliminare ogni incertezza sulla formazione del giudicato; il termine lungo rimane perentorio, insuperabile e sottratto alla volontà ed alle scelte processuali delle parti (1).

 

(1) Ha chiarito il C.g.a. che utilizzo del termine “in difetto” da parte dell’art. 92, comma 3, c.p.a. in luogo del termine “indipendentemente” (usato dall’art. 327, comma 1, c.p.c.) non comporta una totale ed ontologica revisione della disciplina dei termini, che è inspirata a dare certezza al giudicato ed ai suoi effetti.

Se si accedesse alla diversa interpretazione i termini per proporre appello andrebbero così individuati: - un termine “breve” decorrente dalla notifica della sentenza; - un termine “lungo”; - un termine calcolato sommando un ulteriore termine breve al termine lungo, per il solo fatto, del tutto eventuale, che la sentenza sia stata notificata a ridosso dello scadere del termine lungo.

Tale ultimo termine sarebbe dotato di una certa aleatorietà perché è determinato dalla data in cui, avvicinandosi la scadenza del termine lungo, la sentenza viene notificata a cura della parte.

In definitiva la data del termine “ultimo” cui ancorare la definitiva certezza della immodificabilità del giudicato sarebbe lasciata ad una delle parti processuali.

Tale conclusione non è ritenuta condivisibile dal C.g.a.

I termini per proporre impugnazione, per conforme giurisprudenza civile ed amministrativa, sono tutti perentori e previsti, come rileva la migliore dottrina, a pena di estinzione del potere concesso alla parte.

In modo particolare il termine “lungo” è da sempre ritenuto un termine residuale, che non è determinato dalla volontà delle parti, ed è finalizzato a fare in modo che la pendenza del rapporto processuale abbia termine definitivamente a prescindere dalle scelte processuali degli attori per eliminare ogni incertezza sulla formazione del giudicato (Cons. St., sez. VI, 23 giugno 2006, n. 4017).

L’esigenza di certezza di stabilità del giudicato è ancora più rilevante nel processo amministrativo dove, di norma, oggetto dello scrutinio sono gli atti ed i provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione.

Sul piano squisitamente lessicale tra il termine “indipendentemente” (art. 327, comma 1, c.p.c.) ed il termine “in difetto” (art. 92, comma 3, c.p.a.) intercorre il tipico rapporto tra genus species.

Utilizzando il termine “indipendentemente” (genus) si ipotizza che la notifica della sentenza potrebbe esserci come non esserci. Con il termine “in difetto” (species) si considera solo l’ipotesi in cui la notifica non vi sia.

Anche sul piano strettamente linguistico alla species non viene riconosciuta la capacità di modificare l’ontologica essenza del genus.


Anno di pubblicazione:

2020

Materia:

GIUSTIZIA amministrativa, APPELLO

Tipologia:

Focus di giurisprudenza e pareri