Tassatività dei casi di rinvio della causa - Potestà impositiva delle Autorità portuali

Tassatività dei casi di rinvio della causa - Potestà impositiva delle Autorità portuali


Processo amministrativo – Rinvio della trattazione della causa – Diritto – Esclusione. 

Autorità portuali – Diritti portuali – Violazione riserva di legge – Esclusione. 

 

        Non è ravvisabile nel processo amministrativo un diritto del ricorrente ad ottenere il rinvio della trattazione della causa (1). 

        La potestà impositiva di diritti portuali delle Autorità portuali non viola la riserva di legge ex art. 23 Cost. (2). 

 

(1) Nell'ordinamento processuale vigente non esiste norma giuridica o principio ordinamentale che attribuisca alle parti in causa il diritto al rinvio della discussione del ricorso, fuori dai casi tassativi di diritto a rinvio per usufruire dei termini a difesa previsti dalla legge. Al di fuori di tali ipotesi, le parti hanno solo la facoltà di illustrare le ragioni che potrebbero giustificare un eventuale differimento dell'udienza. Ciò in quanto alle parti spetta la disponibilità delle proprie pretese sostanziali e, in funzione di esse, del diritto di difesa in giudizio, ma le stesse non hanno anche la disponibilità dell’organizzazione e dei tempi del processo, che compete al giudice, al fine di conciliare e coordinare l’esercizio del diritto di difesa di tutti coloro che si rivolgono al giudice. La decisione finale sui tempi della decisione della controversia spetta al giudice, e la domanda di rinvio deve fondarsi su “situazioni eccezionali” (come recita il comma 1-bis dell’art. 73 c.p.a.: “Il rinvio della trattazione della causa è disposto solo per casi eccezionali, che sono riportati nel verbale di udienza (…)”). Tali situazioni eccezionali possono essere integrate solo da gravi ragioni idonee a incidere, se non tenute in considerazione, sulle fondamentali esigenze di tutela del diritto di difesa costituzionalmente garantite, atteso che, pur non potendo dubitarsi che anche il processo amministrativo è regolato dal principio dispositivo, in esso non vengono in rilievo esclusivamente interessi privati, ma trovano composizione e soddisfazione anche gli interessi pubblici che vi sono coinvolti. 

Nella specie, la motivazione indicata nella istanza di rinvio (deposito di un documento non ritenuto essenziale ai fini del decidere) non rientra tra quelle che potrebbero giustificare un eventuale differimento. 

 

(2) Ha chiarito la Sezione che tra i proventi di autorizzazioni per operazioni portuali di cui all’art. 16, l. n. 84 del 1994, sulla base del tenore letterale e logico della norma, rientrano i canoni dovuti dalle imprese portuali in ragione dell’autorizzazione a esse rilasciata. 

Ciò posto, va rammentato che la riserva di legge ex art. 23 Cost. ha carattere relativo, e non esige che la prestazione sia imposta "per legge" (da cui risultino espressamente individuati tutti i presupposti e gli elementi), ma richiede soltanto che essa sia istituita "in base alla legge" (v. sentenze nn. 236 e 90 del 1994). Sicché la norma costituzionale deve ritenersi rispettata anche in assenza di un'espressa indicazione legislativa dei criteri, limiti e controlli sufficienti a circoscrivere l'àmbito di discrezionalità della pubblica amministrazione, purché gli stessi siano desumibili dalla destinazione della prestazione, ovvero dalla composizione e dal funzionamento degli organi competenti a determinarne la misura (v. sentenze n. 182 del 1994 e n. 507 del 1988), secondo un modulo procedimentale idoneo ad evitare possibili arbitri (Corte cost., sent. n. 180 del 1996). 

Ancora, la Corte costituzionale, nel delimitare la necessità di una previa definizione di criteri e limiti, anche nei casi di materia sottoposta a riserva relativa di legge, con la sentenza n. 157 del 1996, in riferimento alle prestazioni imposte di cui all'art. 23 Cost., afferma che secondo la giurisprudenza costituzionale, il principio della riserva di legge di cui al menzionato precetto della Costituzione, in tema di prestazioni imposte, va inteso in senso relativo, ponendo l'obbligo per il legislatore di determinare preventivamente e sufficientemente criteri direttivi di base e linee generali di disciplina della discrezionalità amministrativa, tanto che la Corte ha già avuto occasione di affermare che non contrasta con tale principio l'assegnazione ad organi amministrativi non solo di compiti meramente esecutivi, bensì anche di quello di determinare elementi, presupposti o limiti, variamente individuabili, della prestazione stessa, sulla base di dati e valutazioni di ordine tecnico (sentenze n. 129 del 1969 e n. 27 del 1979). Né tale principio può ritenersi violato, anche in assenza di una espressa indicazione legislativa dei criteri, dei limiti e dei controlli che delimitano l'ambito di discrezionalità della pubblica amministrazione, quando gli stessi siano desumibili dalla composizione e dal funzionamento degli organi competenti a determinare la misura della prestazione di cui trattasi (sentenze n. 4 del 1957; n. 51 del 1960; n. 5 del 1963; n. 21 del 1969; e n. 67 del 1973) ovvero quando esista, per l'emanazione dei provvedimenti amministrativi concernenti la prestazione medesima, un modulo procedimentale con il quale venga a realizzarsi la collaborazione di una pluralità di organi al fine di escludere eventuali arbitrii dell'amministrazione (sentenza n. 507 del 1988). Si può aggiungere che l’eventuale indeterminatezza dei contenuti sostanziali della legge può ritenersi in certa misura compensata dalla previsione di talune forme procedurali (sentenza n. 83 del 2015) aperte alla partecipazione di soggetti interessati e di organi tecnici. In questa logica, è stato dato rilievo alla previsione di determinati «elementi o moduli procedimentali» (sentenza n. 435 del 2001) che consentano la collaborazione di più enti o organi (sentenze n. 157 del 1996 e n. 182 del 1994) - specie se connotati da competenze specialistiche e chiamati a operare secondo criteri tecnici, anche di ordine economico (sentenze n. 215 del 1998, n. 90 del 1994 e n. 34 del 1986) - o anche la partecipazione delle categorie interessate (sentenza n. 180 del 1996) (…) (così Corte cost., n. 69 del 2017, p. 7.1., in tema di contributi dovuti alla Autorità per la regolazione dei trasporti-ART).  

Ora, la previsione di cui al citato art. 5, comma 8, in combinato disposto con gli artt. 2 e 3, d.P.R. n. 107 del 2009, regolamento “di delegificazione” emanato sulla base dell’art. 1, comma 989 l. n. 296 del 2006, concernenti l’applicazione delle tasse portuali con riferimento alle operazioni commerciali che si svolgono nell’ambito portuale, nel consentire alle autorità, a copertura dei costi sostenuti –o programmati - per le opere, la imposizione di soprattasse a carico delle merci imbarcate e sbarcate, attribuisce alla Autorità medesima, con il coinvolgimento del comitato portuale, anche la individuazione dei soggetti obbligati, ferma la necessaria correlazione, e commisurazione, tra entità dei diritti aggiuntivi da versare alla Autorità, costi sostenuti o anche solo programmati da quest’ultima per opere specie di infrastrutturazione, e “tipologia” del soggetto obbligato al versamento del tributo aggiuntivo.  

L’applicazione di tasse con riferimento a operazioni commerciali che si svolgono negli àmbiti spaziali portuali comporta, implicitamente, ma non meno univocamente, la facoltà di individuare le imprese terminaliste quali operatori economici in àmbito portuale obbligati al pagamento. 

Ferma rimanendo dunque la connessione tra poste finanziarie in entrata e “costi per opere”, sostenuti o programmati; dal punto di vista del soggetto passivo, come le opere di infrastrutturazione vanno a vantaggio degli utilizzatori dei servizi portuali “ad ampio spettro”, così, in maniera corrispondente, dal contesto normativo che regola la materia emerge come, tra i soggetti tenuti al versamento di tale tributo aggiuntivo, in relazione ad operazioni svolte in ambito portuale, possano farsi rientrare, oltre ai vettori e alle agenzie marittime raccomandatarie, anche le imprese terminaliste. Appare cioè legittimo e corretto che il potere regolamentare dell’Adsp di individuare, tra i soggetti obbligati al pagamento dei diritti portuali, da applicarsi sull’imbarco, sbarco e movimentazione dei containers, anche gli operatori terminalisti, trovi una sua base legislativa nella disposizione di cui all’art. 5, comma 8, l. n. 84 del 1994.  ​​​​​​​


Anno di pubblicazione:

2022

Materia:

GIUSTIZIA amministrativa

Tipologia:

Focus di giurisprudenza e pareri