Riparametrazione, da parte di Roma Capitale, degli importi delle misure di assistenza indiretta conseguente a carenze finanziarie e conseguente logica redistributiva basata su ragioni di equità sociale

Riparametrazione, da parte di Roma Capitale, degli importi delle misure di assistenza indiretta conseguente a carenze finanziarie e conseguente logica redistributiva basata su ragioni di equità sociale


Sanità pubblica – Assistenza indiretta – Disabili – Assegno – Roma Capitale – Riparametrazione per insufficienza di fondi – Illegittimità – Ratio.

Sanità pubblica – Assistenza indiretta – Disabili – Assegno – Roma Capitale – Riparametrazione per insufficienza di fondi – Violazione principi di ragionevolezza, di proporzionalità, di ragionevolezza, di sussidiarietà dell’intervento pubblico.  



       È illegittima, per violazione delle previsioni della l. n. 104 del 1992, nonché degli artt. 2, 3, secondo comma, e 32, Cost., la riduzione dell’assegno per assistenza indiretta, erogato da Roma Capitale e disposta a seguito di una riparametrazione degli importi delle misure di assistenza indiretta, resasi necessaria per incapacità delle somme disponibili a coprire l’intero fabbisogno, nel caso di riscontrata irragionevolezza, e quindi somma ingiustizia, del sostanziale dimezzamento dell’assegno, in precedenza considerato necessario ed adeguato rispetto ai bisogni di assistenza; è, infatti, illegittima la motivazione esclusiva della variazione delle risorse finanziarie disponibili per la singola voce di spesa, a seguito di una valutazione astratta, disancorata sia dalle effettive complessive esigenze finanziarie pubbliche dell’Ente tenuto all’erogazione, sia dalla considerazione dei bisogni e dei diritti dell’invalida, in contrasto con il precedente accertamento dei medesimi bisogni compiuto dalla stessa Amministrazione (1).

     La decisione della Amministrazione di riparametrare gli imposti dell’assegno mensile per assistenza indiretta, adottata a seguito della riscontrata incapienza della somma destinata a tali scopi a fronte della crescente domanda, deve essere vagliata dal giudice amministrativo non solo sotto il profilo della “violazione di legge”, “incompetenza” ed “eccesso di potere” (art. 29 c.p.a.) - vizi di legittimità degli atti amministrativi – ma anche per violazione dei principi, di derivazione euro unitaria (peraltro già compresi nei generalissimi principi di imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97 Cost.), di ragionevolezza dell’azione amministrativa e, quindi, di adeguatezza dei mezzi giuridici utilizzati e dei loro contenuti rispetto alle finalità perseguite, di proporzionalità rispetto alla ponderazione fra i diversi interessi pubblici e privati coinvolti (con riferimento, in questo caso, alle plurime necessità di interventi sociali) e di sussidiarietà dell’intervento pubblico rispetto al generalissimo principio di libertà (comprendente, in questo caso, gli effettivi ambiti di autodeterminazione della persona non autosufficiente)  (2).

 

(1) In punto di fatto la questione riguarda l’attribuzione e rimodulazione del servizio Saish (Servizio per l’autonomia e l’integrazione della persona disabile) erogato da Roma Capitale nei confronti della ricorrente affetta dal 1954 da poliomielite. Gli esiti della malattia hanno comportato paraplegia agli arti inferiori e paresi addominali. La patologia che l’ha colpita l’ha dunque resa dall’età di otto anni, invalida al 100%. Nonostante la disabilità, anche grazie all’assistenza dei famigliari la ricorrente è riuscita a laurearsi ed a vivere un’esistenza dignitosa e, a seguito della morte della madre e del fratello che l’avevano assistita, ha trascorso gli ultimi anni di vita nella casa di proprietà dei genitori, sempre accudita e supportata dalla medesima badante, nominata erede universale (e che ha riassunto il giudizio in appello, alla morte della ricorrente). 
A partire dall’anno 2001 la ricorrente ha ottenuto, dal Comune di Roma, l’assegno per assistenza indiretta (Saish), progressivamente elevato fino a circa 2.150 euro mensili. Nel 2012 la Giunta comunale, per motivi di riorganizzazione dei servizi di assistenza domiciliare e di diminuzione del budget, ha rideterminato gli importi delle misure di assistenza indiretta e, conseguentemente, con il provvedimento l’assegno attribuito alla ricorrente è stato ridotto a circa 1.250 euro mensili.
Il giudice di primo grado ha respinto il ricorso sull’assunto che la riduzione dei contributi economici destinati alle misure di assistenza indiretta trovasse origine e spiegazione nella necessaria rimodulazione del budget nel senso dell’equità, a fronte della scarsità di risorse in relazione alle nuove domande ed al conseguente formarsi di una lista di attesa di possibili nuovi beneficiari. Ha aggiunto che la ricorrente non era meritevole di un supplemento del servizio irrogato a fronte di una situazione economica agevolata, in quanto proprietaria di un immobile ad uso abitativo, e pertanto esonerata da costi di locazione impiegabili nella cura della persona e nel pagamento dell’assegno alla sua badante.  

 

Nel merito il Tar ha affermato che non vi è dubbio che l’attribuzione di un beneficio economico continuativo nel tempo e senza limiti di durata, legato all’accertamento di una situazione di particolare necessità dell’interessato, sia soggetta alla possibile revisione, migliorativa o come in questo caso peggiorativa, del beneficio a seguito della periodica verifica della sussistenza e della variazione delle condizioni previste, senza che una tale rideterminazione nel tempo debba necessariamente assumere i caratteri di una revoca, e quindi necessariamente comportare il rispetto degli stringenti presupposti ed oneri motivazionali previsti dalla l. n. 241 del 1990 per tale istituto.
Ha aggiunto il Tar che la riparametrazione degli importi dell’assegno per assistenza indiretta si inquadra in un quadro di riforma volto essenzialmente, a parità di stanziamenti e mediante un percorso di sperimentazione ormai concluso, a valorizzare l’operato del personale delle strutture private accreditate erogatrici ed a ridurre le crescenti liste di attesa e che privilegia i non autosufficienti rispetto agli anziani ed ai minori privi di assistenza.
Quanto al rapporto fra la riduzione disposta e le esigenze assistenziali della ricorrente in primo grado a fronte dei servizi diretti offerti dall’Amministrazione, e quindi la non manifesta irragionevolezza e grave ingiustizia dei criteri applicati ai fini della impugnata riduzione dell’assegno, emerge pertanto una non univoca correlazione fra le effettive condizioni e le necessità del soggetto ’interessato, i parametri di valutazione prefissati e gli importi conseguentemente riconosciuti. 
Ad avviso della Sezione la riduzione dell’assegno di assistenza individuale per persone disabili attribuito alla originaria ricorrente sulla base dei nuovi parametri - che peraltro non risultano univocamente riferiti all’accertamento dei bisogni e delle esigenze di assistenza dell’interessata, che avevano in precedenza determinato un più alto importo interamente utilizzato per farvi fronte – è stato disposto senza che l’Amministrazione abbia potuto apprezzare, dovendo applicare i predetti parametri, alcun mutamento della situazione dei fatti idoneo a giustificare la disposta riduzione dell’aiuto, non risultando una mitigazione, ma casomai una maggiore severità, delle esigenze di assistenza, in ragione dell’età e delle condizioni di salute che hanno poi portato alla morte della stessa ricorrente. 

 

(2) Ha chiarito la Sezione che, con la propria decisione non intende impingere in ambiti di discrezionalità amministrativa o, a maggior ragione, di apprezzamento politico circa le scelte in materia di assistenza sociale adottate dell’Ente esponenziale della Comunità locale secondo un principio di rappresentanza democratica, ma al contrario resta confinato ad un criterio di stretta legittimità, concernente la non manifesta irragionevolezza ed ingiustizia ed il mancato sviamento dei due atti impugnati rispetto alle finalità dalla medesima dichiarate, criterio a propria volta parametrato non a valori soggettivi, bensì alle vigenti previsioni normative di cui alla l. n. 104 del 1992, a propria volta ricognitive dei diritti di tutela sanitaria e sociale, che cospirano a definire lo “status di cittadinanza” di tutti i componenti la Comunità nazionale, sanciti dagli artt. 2, 3, secondo comma e 32 Cost..
In particolare, il “tradizionale” decalogo dei vizi di legittimità degli atti amministrativi per “violazione di legge”, “incompetenza” ed “eccesso di potere” (art. 29 c.p.a.) deve essere arricchito ed ulteriormente articolato alla luce dei principi di derivazione euro unitaria (peraltro già compresi nei generalissimi principi di imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97 Cost.) di ragionevolezza dell’azione amministrativa e, quindi, di adeguatezza dei mezzi giuridici utilizzati e dei loro contenuti rispetto alle finalità perseguite (che in questo caso riguardano la tutela della persona non autosufficiente), di proporzionalità rispetto alla ponderazione fra i diversi interessi pubblici e privati coinvolti (con riferimento, in questo caso, alle plurime necessità di interventi sociali) e di sussidiarietà dell’intervento pubblico rispetto al generalissimo principio di libertà (comprendente, in questo caso, gli effettivi ambiti di autodeterminazione della persona non autosufficiente).
Pertanto, posto che ai sensi dell’art. 1 c.p.a. la “giurisdizione amministrativa” è chiamata ad assicurare “una tutela piena ed effettiva” attraverso i principi del “diritto europeo”, che assumono rilevanza diretta anche nelle materie non rientranti nelle competenze dell’Unione (artt. 3, 4, 5, TUE) e che sono stati nel tempo declinati dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia, che, nell’ambito della progressiva formazione pretoria di una sorta di “diritto comune europeo” ha delineato (anche) i predetti principi di ragionevolezza, adeguatezza, proporzionalità e sussidiarietà, è alla luce di tali principi che dovrà essere valutata la conformità della potestà discrezionale, esercitata dall’Amministrazione comunale con l’impugnata delibera del 2012, rispetto alle invocate disposizioni della l.n. 104 del 1992 e degli artt. 2, 3, secondo comma, e 32 Cost.

​​​​​​​Ad avviso dei giudici di appello la riparametrazione, disposta nel 2012, appare intrinsecamente contraddittoria rispetto alle finalità dichiarate quanto al soddisfacimento dei bisogni dei disabili, e quindi in conflitto con la garanzia di tutela dei diritti dei disabili secondo il loro bisogno personale in conformità alle indicate previsioni della Costituzione e della l. n. 104 del 1992. D’altro canto, alla stregua della disposta istruttoria la sopravvenuta limitazione non trova compensazione in maggiori servizi di assistenza diretta, né può essere giustificata dalle contingenti limitazioni finanziarie alla stregua della giurisprudenza costituzionale sul punto, posto che l’Amministrazione ha adottato scelte, anche riferite alla riduzione della spesa sociale e alla preminenza dei servizi di assistenza diretta ed al conseguente supporto delle strutture private esterne, del tutto legittime nell’ambito della propria discrezionalità, ma non idonee a consentire di giustificare la contemporanea riduzione dell’assistenza indiretta ai disabili, che è stata indebitamente parametrata al variare del numero dei richiedenti e non alla diversa entità dei bisogni di ogni singola persona colpita da disabilità, concretando sotto tale profilo un evidente difetto di adeguatezza (rispetto alla duplice esigenza di ottimizzare le risorse disponibili e garantire un’efficace assistenza della ricorrente) di proporzionalità (rispetto alla mancata valutazione delle reali esigenze della ricorrente e di ogni altro richiedente) e di sussidiarietà (ledendo la sfera privata e familiare della ricorrente e aumentando anziché riducendo il suo gap di sofferenza fisica ed emotiva derivante dall’infermità), risultandone la illegittimità, sotto il profilo della irragionevolezza, della decisione di ridurre il livello di assistenza in ragione del maggior numero di richiedenti senza considerare le esigenze derivanti dalla situazione familiare, personale e fisica degli interessati, come se la coperta che in precedenza aveva offerto riparo all’interessata fosse stata tagliata, all’arrivo di altri bisognosi, in più pezzi troppo piccoli per riparare dal freddo né lei né gli altri, e quindi non utili allo scopo (nel caso della coperta, di riparare da freddo, qui, di garantire il pieno rispetto della dignità umana e i diritti di libertà e di autonomia della persona handicappata e promuoverne la piena integrazione, secondo i “princìpi dell’ordinamento” sanciti dalla l. n. 104 del 1992). 


Anno di pubblicazione:

2021

Materia:

SANITÀ pubblica e sanitari

Tipologia:

Focus di giurisprudenza e pareri