Responsabilità precontrattuale nell'ambito di gara di appalto

Responsabilità precontrattuale nell'ambito di gara di appalto


Risarcimento danni - Contratti della Pubblica amministrazione – Principi di correttezza e buona fede nelle trattative – Art. 1337 cod. civ. – Applicabilità. 

Risarcimento danni - Contratti della Pubblica amministrazione – Conclusione del contratto – Affidamento del concorrente – Sorge solo con l’aggiudicazione definitiva – Conseguenza. 


    Anche ai soggetti pubblici - sia nell’ambito di trattative negoziali condotte senza procedura di evidenza pubblica, sia nell’ambito di vere e proprie procedure di gara – si applica l’obbligo di improntare la propria condotta al canone di buona fede e correttezza sancito nell’art. 1337 cod. civ.; occorre, cioè, evitare di ingenerare nella controparte privata affidamenti ingiustificati ovvero di tradire, senza giusta causa, affidamenti legittimamente ingenerati; la buona fede e la correttezza si specificano in una serie di regole di condotta, tra le quali l’obbligo di valutare diligentemente le concrete possibilità di positiva conclusione della trattativa e di informare tempestivamente la controparte dell’eventuale esistenza di cause ostative rispetto a detto esito  (1).


​​​​​​     Nell’ambito di una procedura di evidenza pubblica, è con l’aggiudicazione definitiva che certamente può sorgere in capo al partecipante alla gara un ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto, tale da legittimarlo a dolersi, facendo valere la responsabilità precontrattuale dell’amministrazione, del “recesso” ingiustificato dalle trattative che la stessa abbia posto in essere attraverso l’esercizio dei poteri di autotutela pubblicistici sugli atti di gara. Beninteso, ogni singolo provvedimento adottato durante la gara può essere astrattamente idoneo - in virtù di specifiche circostanze ricorrenti nel caso concreto - ad ingenerare nel concorrente il legittimo affidamento sulla positiva conclusione del procedimento, ma solo la definitiva individuazione del contraente ne costituisce l’incontestato punto di approdo (2).


 

(1) Cons. Stato, A.P., 5 settembre 2005, n. 6; Cass., S.U., 12 maggio 2008, n. 11656. 

Ha chiarito la Sezione che la lettura necessariamente evolutiva e costituzionalmente orientata dei principi che devono permeare le relazioni tra privati e pubblica amministrazione, ha individuato proprio nella contrattualistica pubblica il terreno più fertile per lo sviluppo della tematica. Secondo la dottrina più evoluta, infatti, esso costituisce un significativo esempio della configurabilità di un sistema istituzionale di diritto comune connotato dalla osmotica utilizzabilità di regole del diritto privato da parte dei titolari di pubblici poteri, dando comunque luogo a rapporti giuridici qualificati tra privato e pubblica amministrazione all’interno dei quali può assumere rilievo l’affidamento, quale situazione di aspettativa giuridica a sua volta qualificata. Nel suo ambito, dunque, le regole pubblicistiche e regole privatistiche non operano in sequenza temporale, ma in maniera contemporanea e sinergica, sia pure con diverso oggetto e con diverse conseguenze in caso di rispettiva violazione. Ciò comporta che anche quelle di correttezza non possono essere relegate soltanto ad una o più delle singole fasi in cui si suddivide una gara, in quanto ognuna di esse, proprio perché astrattamente permeata di aspetti pubblicistici e privatistici, necessita di una lettura unitaria e consequenziale. Ciascuna singola fase, cioè, seppur distinta da quella successiva e da quella precedente, è accomunata alle altre in chiave teleologica, in quanto comunque mirata all’unico fine della stipulazione del contratto, prima della quale il rispetto dei principi della buona fede e correttezza non può che riguardare le “trattative”, più o meno intense che esse siano state. 
​​​​​​L’applicabilità delle disposizioni civilistiche, dunque, deriva dalla possibilità di equiparazione dell’amministrazione che agisce nella procedura volta alla conclusione di un contratto ad un contraente privato: tutte le fasi della procedura, infatti, si pongono quale strumento di formazione progressiva del consenso contrattuale e, pertanto, il rispetto dei principi di cui agli artt. 1337 e 1338 cod. civ. non può essere circoscritto al singolo periodo successivo alla determinazione del contraente.  

La differenza tra le due tipologie di regole, comunque intersecanti il bagaglio operativo della stazione appaltante, risiede nel fatto che la violazione delle prime, in quanto hanno ad oggetto il provvedimento - id est, l’esercizio diretto ed immediato del potere - ne determina, di regola, l’invalidità; le altre, invece, si riferiscono al comportamento, seppur collegato in via indiretta e mediata all’esercizio del potere, complessivamente tenuto dalla stazione appaltante o dall’amministrazione aggiudicatrice nel corso della gara e la loro violazione non dà vita ad invalidità provvedimentale, ma a responsabilità. 
Non diversamente da quanto accade nei rapporti tra privati, anche per la P.A., dunque, le regole di correttezza e buona fede, che non necessariamente inficiano la validità del provvedimento, trasmodano in canoni di valutazione del comportamento complessivamente tenuto, quale fondamento della conseguente responsabilità. Nel caso in cui l’aggiudicazione, quale momento tipico fondante l’aspettativa di concludere il contratto, venga annullato per causa non imputabile all’aggiudicatario, si realizza una sorta di situazione intermedia che attinge ai profili di responsabilità da provvedimento illegittimo, ma non si esaurisce né si compendia nella stessa.  

D’altro canto, come è stato ben evidenziato nei più recenti arresti della giurisprudenza sul punto (v. ancora A.P. n. 5 del 2018) il dovere di correttezza ha nel tempo conquistato una funzione (ed un conseguente ambito applicativo) certamente più ampia rispetto a quella concepita dal codice civile del 1942, che lo collocava nella visione economica corporativistica dell’epoca e in tale ridotta accezione imponeva di leggere anche la susseguente solidarietà. Esso, cioè, non è più considerato strumentale solo alla conclusione di un contratto valido e socialmente utile; bensì, alla «tutela della libertà di autodeterminazione negoziale, cioè di quel diritto (espressione a sua volta del principio costituzionale che tutela la libertà di iniziativa economica) di autodeterminarsi liberamente nelle proprie scelte negoziali, senza subire interferenza illecite derivante da condotte di terzi connotate da slealtà e scorrettezza». Ciò ha portato la discussione sull’intensità e pregnanza del momento relazionale e della forza dell’affidamento da esso ingenerato necessari a dare rilievo al canone della correttezza come mera modalità comportamentale, distinguendosi altresì i casi in cui la violazione dà vita ad un illecito riconducibile al generale dovere del neminen laedere di cui all’art. 2043 cod. civ. da quelli in cui pare affiorare una vera e propria obbligazione nascente dal “contatto sociale” qualificato.  

Di recente il giudice di legittimità, proprio muovendosi nell’alveo di tali sviluppi di pensiero, pronunciandosi peraltro sulla giurisdizione, ha inteso riconoscere la risarcibilità del danno all’affidamento che il privato abbia riposto nella condotta procedimentale dell’amministrazione, la quale si sia poi determinata in senso sfavorevole, indipendentemente da ogni connessione con l’invalidità provvedimentale o, come precisato, dalla stessa esistenza di un provvedimento (Cass., S.U., ord., 28 aprile 2020, n. 8236).  

 

 

(2) Nonostante, dunque, ogni singolo provvedimento adottato durante la gara sia astrattamente idoneo - in virtù di specifiche circostanze ricorrenti nel caso concreto - ad ingenerare nel concorrente il legittimo affidamento sulla positiva conclusione del procedimento, solo la definitiva individuazione del contraente ne costituisce l’incontestato punto di approdo. Ciò ha indotto, al contrario, a non riconoscere la stessa portata potenzialmente “affidante” all’aggiudicazione provvisoria in quanto «un atto endoprocedimentale ad effetti ancora instabili e del tutto interinali» che si inserisce nell’ambito della scelta del contraente come momento necessario ma non decisivo (Cons. Stato, sez. V, 7 luglio 2014, n. 3449). 
D’altro canto, secondo un recente orientamento giurisprudenziale delle Sezioni Unite della Corte di cassazione la responsabilità dell’amministrazione sarebbe astrattamente configurabile, anche al di fuori dall’ambito dei procedimenti amministrativi finalizzati alla conclusione di un contratto, in conseguenza dell’avvenuto annullamento, in via giurisdizionale o per autotutela, di un provvedimento favorevole al privato (Cass. civ., S.U., ordinanze “gemelle” 23 maggio 2011, nn. 6594, 6595 e 6596; id. 22 gennaio 2015, n. 1162; id. 4 settembre 2015, n. 17586). Nei casi in cui, cioè, successivamente alla rimozione del provvedimento favorevole, il privato beneficiario prospetti di aver subito un danno ingiusto per avere confidato nella legittimità dello stesso ed aver regolato la sua azione in base ad esso, la relativa responsabilità dell’amministrazione si connota come responsabilità da comportamento in violazione del diritto soggettivo all’integrità patrimoniale (rectius, secondo quanto sopra detto, alla libertà di autodeterminazione negoziale). Il privato, infatti, lamenta che l’agire scorretto dell’amministrazione ha ingenerato un affidamento incolpevole sulla legittimità del provvedimento attributivo del beneficio e, quindi, sulla legittimità della conseguente attività negoziale (onerosa per il suo patrimonio) posta in essere in base allo stesso. Attività che, invece, una volta venuto meno il provvedimento, si rivela, perché anch’essa travolta dalla sua illegittimità, come inutile, conseguentemente fonte – in quanto onerosa – di perdite o mancati guadagni. Il che, rileva ancora la Sezione, rende inconsistenti anche le critiche avanzate dalla difesa erariale circa la riconducibilità del danno rivendicato all’annullamento di un provvedimento, quale l’aggiudicazione, comunque vantaggioso per la parte ricorrente. In questi casi, al contrario, come precisato dalle Sezioni Unite della Cassazione, il provvedimento viene in considerazione come elemento di una più complessa fattispecie (di natura comportamentale) che è fonte di responsabilità solo se e nella misura in cui risulti oggettivamente idonea ad ingenerare un affidamento incolpevole, sì da indurre il privato a compiere attività e a sostenere costi incidenti sul suo patrimonio nel positivo convincimento della legittimità dell’atto. Affidamento tutelato sub specie di responsabilità precontrattuale finanche laddove si sia addivenuti ad un contratto valido, ma svantaggioso (cfr. sul punto Cass., S.U., 19 dicembre 2017, n. 26725, nel quale si è ritenuto che il comportamento sleale non ha reso la trattativa inutile, ma il contraente ha comunque subito la scorrettezza, economicamente pregiudizievole, come ad esempio per una reticenza informativa antidoverosa).  

In sintesi, la sussistenza di un legittimo affidamento ingenerato nel concorrente di una procedura ad evidenza pubblica è costituita dall’atteggiamento complessivamente tenuto della pubblica amministrazione nel corso delle trattative: infatti «ai fini della configurabilità della responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione, non si deve tener conto della legittimità dell’esercizio della funzione pubblica cristallizzato nel provvedimento amministrativo, ma della correttezza del comportamento complessivo tenuto dall’amministrazione durante il corso delle trattative e della formazione del contratto, alla luce dell’obbligo delle parti di comportarsi secondo buona fede» (Cons. Stato, sez. IV, 16 gennaio 2014, n. 142).  

 


Anno di pubblicazione:

2020

Materia:

DANNI (in materia civile, penale, amministrativa, contabile, alternativi)

Tipologia:

Focus di giurisprudenza e pareri