Regolazione delle tariffe ferroviarie

Regolazione delle tariffe ferroviarie


Autorità amministrative indipendenti - Autorità di regolazione dei trasporti - Regolazione dell’infrastruttura – Criterio ispiratore. 

Autorità amministrative indipendenti - Autorità di regolazione dei trasporti – Ferrovie - Canone per l’utilizzo dell’infrastruttura ferroviaria ‒ Determinazione. 


        
Nella regolazione dell’infrastruttura, la determinazione dei criteri di accesso e utilizzo dell’infrastruttura ferroviaria assume un rilievo centrale: da una parte, infatti, il pedaggio deve consentire al gestore dell’infrastruttura di coprire (in tutto o in parte) dei costi per la gestione, la manutenzione e lo sviluppo della rete; d’altra parte, esso deve garantire un accesso equo e indiscriminato a tutte gli le imprese che volessero intraprendere un’iniziativa commerciale di offerta di servizi ferroviari, passeggeri e merci (1).

         Il canone per l’utilizzo dell’infrastruttura ferroviaria ‒ in quanto, per legge, strettamente correlato ai costi di infrastruttura ‒ è per sua stessa natura soggetto a variazioni nel corso del tempo, non potendosi pretendere la cristallizzazione del relativo costo, trattandosi invece di una variabile insita della specifica attività imprenditoriale in questione, rispetto alla quale, per le ragioni già esposte, l’Autorità si è mostrata sensibile e della quale l’impresa ferroviaria deve inevitabilmente tenere conto nella proprie scelte aziendali; pertanto, se da un lato non può sussistere un diritto dell’impresa esercente il trasporto ferroviario alla immodificabilità del sistema tariffario, dall’altro deve ritenersi sussistente una legittima pretesa dell’impresa a che il passaggio tra due regimi tariffari tenga conto degli effetti che ciò potenzialmente esplica sull’equilibrio finanziario della stessa, attraverso misure quali la previsione di un regime transitorio, tempistiche dilazionate nel tempo, ed eventuali oneri spalmati su più anni (2). 

 

 

(1) La Sezione ha premesso una breve ricostruzione del quadro normativo. 

In Italia, il settore ferroviario è stato per quasi un secolo sotto il controllo dell’Azienda autonoma Ferrovie dello Stato, costituita nel 1905 in seguito alla nazionalizzazione del settore. 

Con la Direttiva del Consiglio delle Comunità Europee del 29 luglio 1991 relativa allo sviluppo delle ferrovie comunitarie (91/440/CEE) è stato avviato in Europa il processo di liberalizzazione del trasporto ferroviario, che si è andato definendo nel corso degli anni successivi (2011-2013) attraverso l’emanazione di direttive, regolamenti e comunicazioni raccolte nei cosiddetti quattro “pacchetti ferroviari”, attraverso i quali, si è inteso sviluppare il pieno potenziale del trasporto ferroviario, passeggeri e merci, introducendo la competitività tra le imprese, promuovendo l’affidabilità dei servizi offerti, riducendo le inefficienze delle gestioni governative, con l’obiettivo ultimo di spostare quote di domanda verso la ferrovia che rappresenta una modalità di trasporto più sostenibile, sicura e meno inquinante del trasporto stradale e del trasporto aereo. 

 

Tale evoluzione si colloca nel quadro dell’ampio processo di privatizzazione, aziendalizzazione (l’implementazione cioè di criteri gestori economico-aziendali) e liberalizzazione (mediante l’introduzione della forma di concorrenza più adatta allo specifico settore) che ha interessato la quasi totalità delle aziende pubbliche italiane, a partire dagli anni novanta del secolo scorso. 

Nel trasporto ferroviario, la leva della concorrenza (al fine di determinare un incremento nei servizi in termini di qualità ed anche una riduzione dei costi) trova un limite nel fatto che i sistemi ferroviari sono caratterizzati da economie di densità di traffico, con la conseguenza che, a parità di ogni altra condizione, un particolare livello di produzione su una certa linea può essere più economicamente realizzato da un singolo operatore ferroviario che non nel caso di operatori ferroviari multipli. 

In presenza di una domanda di mercato troppo esigua per supportare un cospicuo numero di operatori, la forma di mercato più ricorrente risulta essere la concorrenza oligopolistica. 

Ecco le ragioni per cui il processo di riforma è stato per lo più attuato mediante l’implementazione di modelli intermedi, come il c.d. third party access, dove un operatore integrato verticalmente con il gestore dell’infrastruttura viene costretto ad accettare sulla linea anche altri operatori. 

Ai fini regolatori, va pure considerata la c.d. concorrenza intermodale: le imprese di trasporto ferroviario sono cioè in competizione anche con altre modalità di trasporto, come quello aereo, privato automobilistico o tramite pullman o autobus. 

 

Ha aggiunto la Sezione che il punto nodale della funzione di regolazione delle network industries (quali, per l’appunto, i trasporti in generale, e quelli ferroviari in particolare) concerne la rete. In presenza di infrastrutture non replicabili (dove cioè le condizioni di monopolio naturale rendono non economicamente conveniente la realizzazione di forme concorrenziali dirette nella produzione o nella gestione), la teoria economica della regolazione impone due tipi di correttivi: a) quelli necessari a garantire l’uso efficiente della rete, attraverso dispositivi in grado di simulare pressioni concorrenziali, incentivando l’innovazione ed il contenimento dei costi; b) quelli finalizzati a garantire “l’uso comune della rete”, in funzione della libera competizione degli operatori, attraverso l’adozione di meccanismi di “neutralità”. 

La Sezione ha quindi chiarito che quest’ultimo profilo è assai delicato: le modalità tecniche ed economiche della messa a disposizione dell’infrastruttura dal proprietario (e dal gestore) ai diversi operatori chiamati a erogare il servizio di trasporto ferroviario, e le relative modalità tecniche, è suscettibile di applicazioni differenziate, in grado di condizionare fortemente l’effettivo svolgersi della concorrenza.  

La liberalizzazione del mercato ferroviario italiano, a partire dal 2000, con l’apertura del mercato a nuovi operatori merci e passeggeri, è stata accompagnata dalla separazione, con conseguente scissione tra il gestore dell’infrastruttura (Rete ferroviaria italiana s.p.a.) e l’impresa ferroviaria (Trenitalia s.p.a.), le quali sono rimaste tuttavia sotto la proprietà e il controllo della società di partecipazione Ferrovie dello Stato Holding.  

Alla separazione verticale si ricollegano vantaggi in termini di: trasparenza delle informazioni a disposizione del decisore politico; specializzazione degli operatori; sfruttamento di economie di scala; neutralità dell’accesso; maggiore concorrenza, con conseguente riduzione dei costi, maggiore innovazione e qualità. 

Rete ferroviaria italiana s.p.a. (RFI) è il gestore dell’infrastruttura ferroviaria nazionale, in virtù dell’atto di concessione di cui al decreto-ministeriale 31 ottobre 2000 n. 138T ed è tenuta all’attuazione dei piani di potenziamento e di sviluppo dell’infrastruttura ferroviaria, approvati dal CIPE e descritti nel Contratto di Programma stipulato con il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. In quanto gestore dell’infrastruttura, RFI è soggetta al rispetto degli obblighi di legge sanciti con il d.lgs. n. 112/2015, che disciplina l’attuazione della direttiva n. 2012/34/UE e che, unitamente al già richiamato atto di concessione, individua il gestore dell’infrastruttura come il «soggetto incaricato, in particolare, della realizzazione, della gestione e della manutenzione dell'infrastruttura ferroviaria, compresa la gestione del traffico, il controllo-comando e il segnalamento». 

Il gestore ha l’obbligo di garantire l’accesso e l’utilizzo equo e non discriminatorio dell’infrastruttura ferroviaria nazionale a favore delle singole imprese ferroviarie (“IF”), a fronte della corresponsione di un “canone” la cui determinazione – ai sensi dell’art. 17, commi 1 e 2, d.lgs. n. 112 del 2015 – spetta al gestore stesso. 

L’art. 37, d.l. n. 201 del 2011 ha previsto, al comma 2, lettera i), che l’Autorità fosse competente a svolgere tutte le funzioni di organismo di regolazione di cui all’art. 37, d.lgs. 8 luglio 2003, n. 188 (ad oggi ripreso nell’art. 37, d.lgs. n. 112 del 2015), e, in particolare, “a definire i criteri per la determinazione dei pedaggi da parte del gestore dell’infrastruttura e i criteri di assegnazione delle tracce e della capacità e a vigilare sulla loro corretta applicazione da parte del gestore dell’infrastruttura”. 

Nella regolazione dell’infrastruttura, la determinazione dei criteri di accesso e utilizzo dell’infrastruttura ferroviaria assume un rilievo centrale: da una parte, infatti, il pedaggio deve consentire al gestore dell’infrastruttura di coprire (in tutto o in parte) dei costi per la gestione, la manutenzione e lo sviluppo della rete; d’altra parte, esso deve garantire un accesso equo e indiscriminato a tutte gli le imprese che volessero intraprendere un’iniziativa commerciale di offerta di servizi ferroviari (passeggeri e merci). 

 

La normativa di riferimento, che regola le modalità di individuazione del canone e stabilisce l’equilibrio di principi e regole tra i vari attori del settore del trasporto ferroviario, fa riferimento principalmente alla Direttiva 2012/34/UE (“Recast”) ‒ direttiva che ha “rifuso e “riunito” in un unico atto la direttiva 91/440/CEE del Consiglio, del 29 luglio 1991, relativa allo sviluppo delle ferrovie comunitarie, la direttiva 95/18/CE del Consiglio, del 19 giugno 1995, relativa alle licenze delle imprese ferroviarie e la direttiva 2001/14/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2001, relativa alla ripartizione della capacità di infrastruttura ferroviaria e all’imposizione dei diritti per l’utilizzo dell’infrastruttura ferroviaria, introducendo, altresì, ulteriori modifiche alla disciplina europea dei trasporti ferroviari ‒, recepita in Italia con il d.lgs. n. 112 del 2015. Il Regolamento 2015/909, attuativo della direttiva, definisce invece le modalità di calcolo dei costi direttamente legati alla prestazione del servizio ferroviario. L’obiettivo del ‘recast’, è la creazione di un mercato unico ferroviario dell’Unione europea, che agevoli il trasporto ferroviario tra gli Stati membri dell’Unione europea, promuovendo lo sviluppo della competizione e la libera circolazione di persone e merci.   

 

(2) Ha ricordato la Sezione che la Sezione (Cons. St., sez. VI, n. 6119 del 2019) ha avuto modo di mettere in luce che all’esito di un articolato itinerario normativo ‒ dipanatosi nelle seguenti disposizioni: l’art. 12, l. 23 dicembre 1992, n. 498; gli artt. 1 e 2, commi 17 e 18, l. 14 novembre 1995, n. 481; l’art. 117, d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267; l’art. 165, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 ‒ appare oramai sedimentata nell’ordinamento amministrativo una chiara direttrice regolativa: le tariffe dei servizi di interesse economico generale devono assicurare l’equilibrio economico-finanziario dell’investimento e della connessa gestione, quale che sia la metodologia concretamente applicata. 

La strumentalità del sistema tariffario rispetto al conseguimento degli obiettivi di carattere economico-industriale impone l’integrale copertura dei costi di produzione del servizio, ivi compresi quelli di indiretta imputazione e quelli generali: quali ammortamenti, costi finanziari della raccolta e del servizio al debito, costi generali di governance, nonché i costi figurativi di remunerazione del capitale investito. 

La determinazione delle modalità di copertura dei costi di produzione dei pubblici servizi costituisce uno degli aspetti di maggiore impatto sul piano della garanzia degli equilibri gestionali dell’impresa erogatrice. Se, infatti, non viene remunerata adeguatamente la funzione svolta dall’unità economica il servizio non è in grado di offrire alcuna garanzia di continuità e di sviluppo nel tempo. 

La finalità di garantire l’equilibrio economico-finanziario del gestore è ribadita dal legislatore nazionale all’art. 37, d.l. n. 201 del 2011, che ha istituito l’Autorità dei Trasporti, e ripresa anche all’interno del d.lgs. n. 112 del 2015, che ha trasposto nell’ordinamento italiano le specifiche disposizioni della direttiva n. 2012/34/UE, e di cui ha fatto corretta applicazione l’Autorità, come di seguito meglio precisato. 

In particolare, l’art. 16, d.lgs. n. 112 del 2015 prevede che “I conti del gestore dell’infrastruttura ferroviaria devono presentare, in condizioni normali di attività e nell'arco di un periodo ragionevole non superiore a cinque anni, almeno un equilibrio tra, da un lato, il gettito dei canoni per l’utilizzo dell’infrastruttura, i contributi statali definiti nei contratti di programma di cui all’art. 15, le eccedenze provenienti da altre attività commerciali e le eventuali entrate non rimborsabili da fonti private e pubbliche, e, dall'altro, i costi di infrastruttura almeno nelle sue componenti di costi operativi, ammortamenti e remunerazione del capitale investito”. ​​​​​​​


Anno di pubblicazione:

2021

Materia:

AUTORITÀ amministrative indipendenti, AUTORITÀ di regolazione dei trasporti

Tipologia:

Focus di giurisprudenza e pareri