Porto d’armi senza licenza ai giudici onorari

Porto d’armi senza licenza ai giudici onorari


Magistrati – Magistrati onorari – Porto d’armi senza licenza – Non spetta. 

          Ai giudici onorari non spetta il porto d’armi senza licenza (1). 

 

(1) La preclusione a dare ai giudici ordinari il porto d’armi senza licenza è stata introdotta nella circolare del Ministero della giustizia che assume che l’art. 7, l. 21 febbraio 1990, n. 36 (Nuove norme sulla detenzione delle armi, delle munizioni, degli esplosivi e dei congegni assimilati), nella parte in cui consente il porto d’armi senza la licenza ai “magistrati dell’ordine giudiziario”, si riferisca ai soli magistrati ordinari e non anche ai magistrati onorari. 

Ha affermato la Sezione che in seguito all’entrata in vigore del d.lgs. 13 luglio 2017, n. 116, di riforma organica della magistratura onoraria, è indubbia l’appartenenza “meramente funzionale” dei soggetti della magistratura onoraria all’ordine giudiziario. 

Aggiungasi che l’attribuzione della facoltà di porto d’armi, siccome riconosciuta anche ai magistrati collocati temporaneamente fuori del ruolo organico, è connessa allo status del magistrato professionale piuttosto che alle funzioni in concreto esercitate. 

Entrambi gli assunti postulano che tra magistrati professionali e magistrati onorari vi sia differenza di status prima che di funzioni. Da tale presupposto consegue che le attribuzioni inerenti allo status del magistrato professionale non necessariamente si estendono ai magistrati onorari.  

Il magistrato onorario esercita funzioni giurisdizionali non a titolo di professione, perché non viene reclutato con il concorso di accesso in magistratura. In un ordinamento il cui assetto della giurisdizione si incentra sulla figura del magistrato-funzionario (immanente a tutto il Titolo IV, La Magistratura, della Parte seconda della Costituzione), ha primario rilievo il principio dell’art. 106, primo comma, Cost., per il quale “le nomine dei magistrati hanno luogo per concorso”: dal concorso soltanto consegue la costituzione pleno iure di un rapporto di servizio incondizionatamente utile per la provvista di ufficio nell’organizzazione della giurisdizione; e il concorso assicura in condizioni di par condicio il vaglio tecnico della professionalità: per queste ragioni la formula è più rigida di quella dell’art. 97, quarto comma, Cost. (“agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge”). 

Vero è che per l’art. 106, secondo comma, Cost., “la legge sull'ordinamento giudiziario può ammettere la nomina, anche elettiva, di magistrati onorari per tutte le funzioni attribuite a giudici singoli”. Ma si tratta (come anche nei casi dell’art. 102, secondo e terzo comma, Cost.) di deroga all’ipotesi del primo comma, il che marca la differenza essenziale tra le due categorie. 

Tutto questo vale anche dopo la formazione del c.d. statuto unico del magistrato onorario, ai sensi del d.lgs. 13 luglio 2017, n. 116 (Riforma organica della magistratura onoraria e altre disposizioni sui giudici di pace, nonché disciplina transitoria relativa ai magistrati onorari in servizio, a norma della l. 28 aprile 2016, n. 57). Il metodo di reclutamento “inderogabilmente temporaneo” e non esclusivo ivi configurato da quel Capo II (Del conferimento dell'incarico di magistrato onorario, del tirocinio e delle incompatibilità) e in particolare dall’art. 7 (Tirocinio e conferimento dell'incarico), per quanto presenti tratti selettivo-valutativi, non è infatti assimilabile al concorso in magistratura, oltre ad esserne patentemente distinto. 

Ha ancora chiarito la Sezione che già in passato, stante l’assenza di un rapporto di un rapporto di lavoro, è stata esclusa l’applicabilità al magistrato onorario (come ad ogni altro funzionario onorario previsto dall’ordinamento) dello statuto del pubblico impiego con riguardo agli istituti della sospensione del rapporto di lavoro per infortunio, malattia, gravidanza e puerperio, come pure di previdenza alla sua cessazione. 

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con la sentenza della sez. II, 16 luglio 2020, nella causa C-658/18, ha ritenuto che questo non fosse compatibile con il diritto eurounitario: per il quale unica è la nozione di “lavoratore” quale che sia la modalità di costituzione del rapporto con l’amministrazione, senza distinzioni dovute al tempo determinato o indeterminato di svolgimento, e non è consentito un differente trattamento con altro pubblico dipendente a parità di funzioni, salvo differenziazioni derivanti da ragioni oggettive attinenti all’impiego che deve essere ricoperto; da qui il contrasto della normativa nazionale con il diritto euro – unitario nella parte in cui non prevedeva il diritto del giudice di pace a beneficiare di ferie annuali retribuite per trenta giorni come previsto, invece, per i magistrati ordinari. Siffatte disparità sono ora superate dagli artt. 24, 25 e 26, d.lgs. n. 116 del 2017, i quali, rispettivamente in materia di ferie, di gravidanza, malattia e infortunio, e di trattamento previdenziale, configurano analoghi istituti per i magistrati onorari, seppure con le dovute specificazioni. 

In definitiva, a differenza del magistrato professionale, il magistrato onorario è tale solo in quanto e nei termini in cui viene chiamato a svolgere funzioni giurisdizionali: il che avviene comunque per una durata limitata e in maniera non esclusiva, ma compatibile con altre attività lavorative e professionali e per scelta volontaria di partecipare all’amministrazione della giustizia gratis rei pubblicae servire; caratteristiche che ne qualificano in maniera distinta lo status rispetto a quella del magistrato professionale. 

Posta una tale differenza essenziale di condizione giuridica, sono del tutto coerenti trattamenti, giuridici ed economici, differenziati (cfr. Corte cost. 8 novembre 2000, n. 479: “…la posizione dei magistrati che svolgono professionalmente e in via esclusiva funzioni giurisdizionali e quella dei magistrati onorari non sono fra loro raffrontabili ai fini della valutazione della lesione del principio di eguaglianza, in quanto per i secondi il compenso è previsto per un'attività che essi (come riconosce lo stesso tribunale rimettente) non esercitano professionalmente ma, di regola, in aggiunta ad altre attività, per cui non deve agli stessi essere riconosciuto il medesimo trattamento economico, sia pure per la sola indennità giudiziaria, di cui beneficiano i primi; che ugualmente nessun raffronto, ai fini del prospettato giudizio di eguaglianza, può essere fatto tra le posizioni delle varie categorie di magistrati onorari che svolgono a diverso titolo e in diversi uffici funzioni giurisdizionali, trattandosi di una pluralità di situazioni, differenti tra loro, per le quali il legislatore nella sua discrezionalità ben può stabilire trattamenti economici differenziati”). 

Tutto ciò chiarito, la Sezione ha precisato che il punto è verificare se, con gli atti impugnati, il Ministero della giustizia abbia legittimamente identificato il perimetro legale di abilitazione dei magistrati a portare armi pur senza l’ordinaria licenza. Tale, infatti, è il bene della vita di cui qui si controverte, i ricorrenti assumendo di aver titolo a portare le armi senza licenza per il fatto di svolgere funzioni di magistrato onorario (ed, evidentemente, anche al di fuori di queste). 

Qui in particolare si disputa della facoltà, di cui all’art. 7, comma 1, l. n. 36 del 1990, secondo cui “Ai soli fini della difesa personale è consentito il porto d'armi senza la licenza di cui all'art. 42 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con r.d. 18 giugno 1931, n. 773, oltre che alle persone contemplate dall'art. 73, r.d. 6 maggio 1940, n. 635, recante regolamento di esecuzione del citato testo unico, ai magistrati dell'ordine giudiziario, anche se temporaneamente collocati fuori del ruolo organico, al personale dirigente e direttivo dell'Amministrazione penitenziaria”. 

La norma – posta in tempi di particolare esposizione dei magistrati all’aggressione terroristica o della criminalità organizzata - estende a tutti i magistrati dell’ordine giudiziario la facoltà a suo tempo attribuita ai soli magistrati con funzioni requirenti o istruttorie (i “Pretori e i magistrati addetti al pubblico Ministero o all'ufficio di istruzione”) dal menzionato art. 73, r.d. n. 635 del 1940 (Regolamento per l'esecuzione del T.U.L.P.S.). 

Il riferimento normativo ai “magistrati dell'ordine giudiziario” va intenso nel senso dei soli soggetti di cui al ricordato art. 4, comma 1, r.d. n. 12 del 1941. A ciò porta sia la ratio legis (l’attribuzione della facoltà è in ragione della potenziale esposizione a pericolo per l’esercizio delle funzioni giudiziarie: circostanza che normalmente non si realizza per gli affari minori cui sono addetti i magistrati onorari), sia la rivelatrice precisazione per la quale la facoltà permane anche nel periodo eventualmente trascorso in posizione di fuori ruolo, cioè indipendentemente dal rapporto organico in un ufficio giudiziario, dunque con radicamento piuttosto nel rapporto di servizio. Del resto, solo il magistrato professionale può essere collocato in posizione di fuori ruolo senza con questo perdere la collocazione nell’ordine giudiziario. 

La norma è di stretta interpretazione perché fa eccezione al generale divieto di porto delle armi (art. 699 Cod. pen. e art. 4, primo comma, l. n. 110 del 1975). 

 

Da tutto questo consegue che, per volontà della legge, è consentito il porto d’armi senza licenza ai soli magistrati di professione (cfr. Cass. pen., sez. I, 28 maggio 2015, n. 22567, secondo cui l’esonero dall’obbligo di denuncia di detenzione e l’autorizzazione al porto d’armi non si riferisce ai magistrati onorari), a coloro cioè che stabilmente e istituzionalmente esercitano funzioni giurisdizionali. 

Diversamente, sarebbe consentito il porto d’armi senza licenza a chi svolge in via principale non l’attività di magistrato (onorario) ma un’altra attività lavorativa e professionale. 

In conclusione, ad avviso della Sezione, la circolare impugnata non viola un diritto quesito: non vi è una norma sopravvenuta che, limitando l’applicazione di una precedente disposizione estensiva, abbia ristretto situazioni consolidate corrispondenti a incomprimibili diritti umani: vi è semmai un beneficio in passato attribuito per incongrua lettura del dato normativo (ad opera di precedenti circolari del 1994 e del 1996): al quale, l’obbligo dell’amministrazione di far costantemente corretta applicazione della legge, impone di rimediare. Anche a voler ipotizzare che un analogo esercizio di funzioni giudiziarie possa esporre i magistrati onorari ai medesimi rischi per aggressioni dei magistrati ordinari (il che nella media non è), non è ravvisabile una illogica disparità di trattamento perché il diverso statuto professionale degli uni e degli altri legittima trattamenti differenziati nei termini indicati: tanto più che, contrariamente a quanto sostenuto dagli appellanti, il porto d’armi senza licenza non è correlato in via diretta allo svolgimento in concreto della “funzione magistratuale”.  

L’accostamento dei magistrati onorari ai giudici popolari è effettuato al solo scopo di marcare la differenza tra i magistrati che compongono l’ordine giudiziario e quelli che vi appartengono per le funzioni temporaneamente svolte e, in questi termini, non è illogica: entrambi, pur con competenze diverse, sono in funzione della partecipazione popolare all’amministrazione della giustizia (cfr. art. 102, terzo comma, Cost.). 


Anno di pubblicazione:

2021

Tipologia:

Focus di giurisprudenza e pareri