Piano regionale cave della Regione Toscana

Piano regionale cave della Regione Toscana


Cave - Piano Regionale Cave – Regione Toscana - Percentuale inderogabile di resa - Legittimità.  

  E’ legittima la delibera del consiglio regionale della Toscana n. 47 del 21 luglio 2020, di approvazione del “Piano Regionale Cave” previsto dall’art. 6 della legge regionale della Toscana n. 35 del 2015, nella parte in cui individua la percentuale inderogabile di resa e ciò perché tale piano, in quanto parte del Piano di indirizzo territoriale (PIT), legittimamente (e doverosamente) persegue anche finalità di tutela paesaggistica e ambientale, che fondano e legittimano le misure restrittive (1)
 

(1) Ha ricordato la Sezione che il PRC si colloca gradualisticamente in una scala gerarchica delle fonti nella quale costituisce parte attuativa della sovraordinata pianificazione paesaggistico-territoriale, che ne condiziona e ne conforma i contenuti e le previsioni. Le finalità di tutela dell’ambiente e del paesaggio, risorse scarse e non riproducibili per definizione, non possono non tradursi – come peraltro normalmente e tipicamente avviene nelle disposizioni, normative e amministrative, poste a salvaguardia di questi interessi – in misure restrittive (e in taluni casi impeditive) di attività economiche di esercizio della libera iniziativa economica privata e del diritto di proprietà, nella dialettica, inscritta negli artt. 41 e 42 Cost., tra tali libertà e i limiti di utilità sociale e gli altri limiti che derivano da beni-interessi-valori di pari rilievo costituzionale che li condizionano e con essi devono essere armonizzati e bilanciati (art. 9, secondo comma, art. 32 Cost.).
In quest’ottica, né gli artt. 41 e 42 Cost., né i nuovi criteri di riparto delle materie di cui al Titolo V della Costituzione, né tanto meno le diverse leggi ordinarie (art. 34 del decreto-legge n. 201 del 2011, art. 1 del decreto-legge n. 1 del 2012, art. 1 della legge n. 180 del 2011) che ripetono i suddetti principi già espressi dagli artt. 41 e 42 della Carta fondamentale, precludono alla legge regionale e, al livello di funzione amministrativa, alla pianificazione regionale di settore, il potere/dovere di introdurre misure che, nel perseguire la finalità di tutela ambientale e paesaggistica, si traducano in limiti alla libera iniziativa economica privata e alla proprietà privata (e ciò, naturalmente, secondo principi di tipicità degli atti e di proporzionalità e ragionevolezza delle misure, profili, questi, che saranno esaminati, per quanto riguarda il caso qui dedotto, nella trattazione dei successivi motivi di ricorso).
È infatti noto che la giurisprudenza della Corte costituzionale, come ricordato nella relazione ministeriale, è costante nell'affermare che “la collocazione della materia «tutela dell'ambiente [e] dell'ecosistema» tra quelle di esclusiva competenza statale non comporta che la disciplina statale vincoli in ogni caso l'autonomia delle Regioni”, atteso che “«Il carattere trasversale della materia, e quindi la sua potenzialità di estendersi anche nell'ambito delle competenze riconosciute alle Regioni, mantiene, infatti, salva la facoltà di queste di adottare, nell'esercizio delle loro attribuzioni legislative, norme di tutela più elevata»” (sentenze nn. 7 e 147 del 2019, richiamate, da ultimo, dalla sentenza n. 21 del 2021; Id. n. 178 del 2019 e n. 258 del 2020, lungo la linea già indicata dalla sentenza 28 giugno 2006, n. 246: “La giurisprudenza costituzionale è costante nel senso di ritenere che la circostanza che una determinata disciplina sia ascrivibile alla materia “tutela dell’ambiente” di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, se certamente comporta il potere dello Stato di dettare standard di protezione uniformi validi su tutto il territorio nazionale e non derogabili in senso peggiorativo da parte delle Regioni, non esclude affatto che le leggi regionali emanate nell’esercizio della potestà concorrente di cui all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, o di quella “residuale” di cui all’art. 117, quarto comma, possano assumere fra i propri scopi anche finalità di tutela ambientale (si vedano, tra le molte, le sentenze numeri 336 e 232 del 2005; n. 259 del 2004 e n. 407 del 2002)”.
E’ dunque, è ammesso il potere regionale di introdurre misure di tutela ambientale e paesaggistica più severe rispetto agli standard nazionali minimi uniformi allorquando la Regione eserciti le sue funzioni normative e amministrative nelle materie di sua competenza, qual è sicuramente quella delle cave, oggettivamente interconnesse con la materia “trasversale” di tutela dell’ambiente.
Nel caso all’esame della Sezione, è stato concluso che la Regione, che è titolare (in compartecipazione paritaria con lo Stato) della funzione di tutela e valorizzazione del paesaggio, di cui alla Parte III del ricordato codice del 2004 (art. 5, comma 6, del  codice dei beni culturale), ed ha la competenza diretta per la pianificazione paesaggistica (previo accordo con lo Stato, peraltro solo facoltativo per le aree non vincolate: artt. 135 e 143 del codice dei beni culturali), ben può (e, anzi, deve) orientare gli strumenti di pianificazione di settore (qual è il PRC) ai fini di tutela e valorizzazione del paesaggio, vieppiù in presenza di un piano paesaggistico che riconosce, enuncia e disciplina il peculiare valore e interesse paesaggistico del bacino delle Alpi Apuane inserendo in essi tutte le misure e le prescrizioni coerenti con le suddette finalità e utili al perseguimento degli obiettivi di qualità paesaggistica e ambientale e di conformazione delle attività economiche in funzione di compatibilizzazione con i predetti interessi pubblici.
Ne consegue che nel comprensorio delle Alpi Apuane il diritto di esercizio della libertà d’impresa, segnatamente dell’attività ad alto impatto paesaggistico-ambientale di cava di materiali lapidei, è fortemente condizionata e profondamente conformata dal raffronto con gli interessi pubblici di tutela paesaggistico-ambientale, espressi e perseguiti nella pertinente pianificazione paesaggistico-territoriale, di livello gerarchico sovraordinato, dalla quale la pianificazione di settore riesce a sua volta profondamente conformata e orientata. In questo contesto e all’interno del descritto quadro giuridico di riferimento, le misure e le prescrizioni di resa minima recate dal PRC, oggetto di contestazione, rinvengono una sufficiente e adeguata base giuridica, con conseguente infondatezza delle censure sollevate nel primo mezzo di gravame, che devono essere respinte.  


Anno di pubblicazione:

2021

Materia:

MINIERA e cava

Tipologia:

Focus di giurisprudenza e pareri