Ordinanza contingibile ed urgente del Sindaco di Taranto che dispone eliminazione criticità impianto ex Ilva

Ordinanza contingibile ed urgente del Sindaco di Taranto che dispone eliminazione criticità impianto ex Ilva


Ambiente – Tutela - Impianti ex Ilva – Ordinanza contingibile ed urgente del Sindaco di Taranto del 27 febbraio 2020 – Ordine di individuare le criticità indicate e ad eliminarle – Legittimità. 

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E’ legittima l’ordinanza contingibile e urgente del Sindaco di Taranto che ha disposto che la società che gestisce l’impianto siderurgico provveda entro 30 giorni ad individuare le criticità indicate e ad eliminarle, avvertendo che in caso di inottemperanza potrebbe procedersi alla sospensione delle attività ricollegabili agli impianti asseritamente fonte delle immissioni e del conseguente rischio sanitario per la popolazione (1).


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(1) Ha chiarito la Sezione che occorre principiare dall’erroneo  convincimento che il rispetto dei parametri emissivi previsti in AIA comporti di per sé garanzia della esclusione del rischio o del danno sanitario. 

Non condivide il Collegio il precedente giurisprudenziale Tar Lecce, sez. I, n. 155 del 2012, atteso che in tale pronuncia viene scrutinata la legittimità o meno di un’ordinanza sindacale contingibile e urgente a tutela dell’incolumità e della salute dei cittadini e quindi, a tutela di diritti fondamentali, assumendosi tuttavia a parametro di valutazione non già quello tipico del provvedimento contingibile e urgente, bensì il rispetto o meno delle prescrizioni previste dall’AIA e pervenendo in tal modo all’accoglimento del ricorso per il fatto – invero del tutto inconferente alla fattispecie – che l’ordinanza impugnata non avrebbe accertato alcuna specifica violazione delle prescrizioni imposte (AIA 2011). 

In tale pronuncia si assume che il provvedimento contingibile e urgente, essendo esclusa la possibilità di rischio sanitario in ragione del mancato superamento delle soglie emissive previste in AIA, non sarebbe diretto a fronteggiare una emergenza sanitaria, ma piuttosto ad imporre modificazioni delle prescrizioni AIA ovvero imporre obblighi non previsti per il gestore. 

Occorre anzitutto in proposito ricordare che – come più volte sancito dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato (CDS 11.2.2019 n. 983; CDS Sez. IV 29.8.2019 n. 5985) – “nell’ambito del procedimento del rilascio dell’AIA in via generale non è obbligatorio procedere alla valutazione sanitaria (prescritta nella sole ipotesi disciplinate dall’art. 9 della L. 221/15) salvo che, in base al principio di precauzione, concrete evidenze istruttorie dimostrino l’insussistenza di un serio pericolo della salute pubblica. Resta ovviamente fermo che, ove l’apporto consultivo dei predetti enti (ndr: ARPA, ASL, ISPRA) venga comunque acquisito, l’autorità procedente è tenuta ad una autonoma valutazione dei pareri resi quantomeno nell’ipotesi in cui intenda discostarsene”. 

In particolare, con riferimento al siderurgico di Taranto, la speciale normativa di cui alla citata Legge del 2012 e il DPCM 2017 sostitutivo dell’AIA, come peraltro accertato anche a seguito dell’istruttoria disposta dal Collegio, non prevede alcuna preventiva valutazione sanitaria, bensì un complesso e successivo procedimento articolato in tre step (vedi infra).

Ed invero l’AIA costituisce un atto amministrativo di natura autorizzatoria finalizzato all’esercizio o prosecuzione di attività produttiva, con il quale vengono stabilite le specifiche prescrizioni che delimitano le condizioni di esercizio dell’attività; tali prescrizioni costituiscono “l’esito della confluenza di plurimi contributi tecnici ed amministrativi in un unico procedimento, nel quale, in conformità alla direttiva n. 008/1/CE, devono trovare simultanea applicazione i principi di prevenzione, precauzione, correzione alla fonte, informazione e partecipazione, che caratterizzano l’intero sistema normativo ambientale. Il procedimento che culmina nel rilascio dell’AIA con le sue caratteristiche di partecipazione pubblicità, rappresenta lo strumento attraverso il quale si perviene, nella previsione del legislatore all’individuazione del punto di equilibrio in ordine all’accettabilità e alla gestione dei rischi che derivano dall’attività oggetto della autorizzazione.

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Una volta raggiunto tale punto di equilibrio diventa decisiva la verifica dell’efficacia delle prescrizioni: Ciò chiama in causa la funzione di controllo dell’amministrazione, che si avvale dell’ISPRA, con la possibilità che, in caso di accertata inosservanza da parte dei gestori degli impianti, si applichino misure che vanno – come già rilevato sopra – sino alla revoca dell’autorizzazione, con chiusura dell’impianto, in caso di mancato adeguamento alle prescrizioni imposte con la diffida o a fronte di reiterate violazioni che determinino pericolo o danno per l’ambiente 

Le prescrizioni e misure contenute nell’AIA possono rivelarsi inefficaci, sia per responsabilità dei gestori, sia indipendentemente da ogni responsabilità soggettiva. In tal caso trova applicazione ladisciplina contenuta nell’art. 20 – octies, co. 4 del codice dell’ambiente, che impone all’amministrazione di aprire il procedimento di riesame” (Corte Costituzionale n. 85/2013). 

Con specifico riferimento al caso dello stabilimento siderurgico di Taranto, dopo il riesame nell’anno 2012 dell’AIA del 2011, a seguito del D.L.207/12, convertito con modificazioni dalla Legge 231/2012, con cui lo stabilimento siderurgico è stato direttamente individuato dalla legge come impianto di interesse strategico nazionale (c.d. Legge- provvedimento, in luogo del DPCM ordinariamente previsto), è intervenuto il nuovo provvedimento AIA 2014 di cui al DPCM 14.3.2014 e, infine, in occasione della cessione della gestione del complesso aziendale alla società AM Invest Co Italy srl (ArcelorMittal), il DPCM 29.9.2.17, recante conferma del piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria di cui al precedente DPCM 14.3.2014 ma con talune modifiche. 

Con il D.P.C.M. del 2017, peraltro, è stata disposta la chiusura di tutti i pregressi atti di diffida adottati ai sensi dell’art. 29 decies co. 9 del D. Lgs 152/06, ovvero quelli relativi ad accertate violazioni delle prescrizioni AIA di cui al DPCM 14.3.2014. 

Tali provvedimenti si inseriscono in un quadro normativo decisamente improntato alla tutela dell’interesse economico alla produzione ma in danno delle esigenze di tutela del diritto alla salute della popolazione residente, atteso che peraltro l’attuazione delle prescrizioni stabilite in senso via via migliorativo dai vari provvedimenti autorizzatori susseguitisi nel tempo non sempre è stata oggetto di adeguato controllo da parte delle autorità preposte, quantomeno con riferimento alla tempistica. 

In tal senso, ad esempio, non può non stigmatizzarsi il fatto che con il DPCM 2017, all’art. 14, si sia prevista la chiusura formale dei procedimenti scaturenti dagli atti di diffida adottati ex art. 29 decies co. 9 del D. Lgs 152/06 antecedenti al DPCM – AIA del 14.3.2014, apparendo già di per sé inammissibile che reiterate diffide antecedenti l’anno 2014 – e relative evidentemente ad accertate violazioni delle prescrizioni imposte per l’esercizio dell’attività – siano rimaste ineseguite e non sanzionate dal 2014 al 2017, atteso che -in virtù della normativa vigente e in conformità della direttiva comunitaria 2008/1/CE – le violazioni accertate e oggetto di diffida avrebbero dovuto comportare l’applicazione delle misure sanzionatorie previste (sino alla revoca del titolo nei casi di violazioni più gravi). 

Con il DPCM 29.9.2017, a conclusione del complesso procedimento di esame e di approvazione del piano presentato da AMI, è stato quindi sostanzialmente confermato ed approvato il piano delle misure di tutela ambientale di cui al precedente DPCM 14.3.2014, con talune modifiche e, in particolare: 

1) la limitazione della produzione acciaio a sei milioni tonnellate/anno, in riduzione rispetto alle otto tonnellate/anno autorizzate dalla legge, nelle more della compiuta attuazione degli interventi precauzionali previsti dal piano originario; 

2) l’anticipazione dei tempi per la copertura dei parchi minerali (entro e non oltre il 30 settembre 2021 invece che entro il 2023); 

3) l’istituzione di un osservatorio permanente per il monitoraggio del piano ambientale con la partecipazione di tutti i soggetti coinvolti; 

4) conferma dei livelli emissivi di cui al DPCM del 2014; 

5) cronoprogramma degli interventi dal 2018 al 23 agosto 2023, termine di scadenza dell’AIA; 

6) copertura non solo del parco minerale ma anche del parco fossile da realizzarsi entro 36 mesi dal subentro di AMI nella gestione del sito, con apertura del cantiere entro il 30 settembre 2018; 

7) copertura di tre parchi minori; 

8) messa in sicurezza della falda superficiale delle cokerie per il 31 dicembre 2018, nonché fermata della batteria 11 entro 31 marzo 2020, nonché avvio delle batterie 9 e 10 solo dopo il completamento degli interventi previsti; 

9) realizzazioni di interventi ambientali esterni all’area a carico dell’amministrazione straordinaria ed attività di sostegno assistenziale e sociale in favore della popolazione residente nell’area interessata. 

 

Ha ancora evidenziato il Tar che, con riferimento al rapporto tra tutela del diritto alla salute e attività industriali fonte di emissioni inquinanti e nocive, appare utile richiamare quanto stabilito dalla Corte Costituzionale nella già citata sentenza 85/2013, nella quale la Corte chiarisce che l’aggettivo “fondamentale”, contenuto nell’articolo 32 Costituzione non attribuisce al diritto alla salute carattere in assoluto preminente rispetto ad altri diritti della persona e che la qualificazione dell’ambiente e della salute come “valori primari” (C. Cost. 365/1993) non implica una rigida gerarchia nell’ordine dei diritti fondamentali, atteso che tale gerarchia – e non a caso – non si rinviene nella Costituzione, dovendosi conseguentemente ritenere ammissibile il sacrificio del diritto all’ambiente e alla salute in favore di altri diritti fondamentali, secondo un bilanciamento degli interessi non precostituito, ma da valutarsi caso per caso dal legislatore in concreto e secondo criteri di proporzionalità e ragionevolezza, tali tuttavia da non determinare un sacrificio del loro nucleo essenziale (C. Cost. 85/2013). 

Deve in proposito considerarsi, fermo restando il fatto che – in termini astratti e generali – il diritto alla salute sia logicamente prevalente su tutti gli altri, che il bilanciamento dei diritti antagonisti deve essere rapportato anche alla entità del sacrificio imposto all’interesse soccombente rispetto al vantaggio correlativamente derivante all’interesse ritenuto prevalente. 

In conseguenza di quanto sopra deve ritenersi ammissibile e compatibile con i principi costituzionali una compressione entro limiti ragionevoli del diritto alla salute in favore di un rilevante interesse economico. 

La Corte ha tuttavia precisato che tale bilanciamento in concreto deve necessariamente incontrare, rispetto al diritto alla salute, un ragionevole limite, limite che nel caso del siderurgico di Taranto risulta invece macroscopicamente violato, come di seguito evidenziato. 


Anno di pubblicazione:

2021

Materia:

AMBIENTE

Tipologia:

Focus di giurisprudenza e pareri