Opere portuali e valenza del Piano regolatore portuale

Opere portuali e valenza del Piano regolatore portuale


Porti - Piano regolatore portuale - Piano regolatore portuale di Brindisi - Opere realizzate nel porto - Valutazione di conformità urbanistica – Esclusione. 

   Il Piano regolatore portuale di Brindisi, risalente al 1975 e quindi antecedente alla l. n. 84 del 1994 che ha dato valenza urbanistica a tali piani, essendo mero strumento  di programmazione di opere pubbliche settoriali non è parametro giuridico ai fini della valutazione di conformità urbanistica degli interventi di modificazione del territorio , consistenti in opere di recinzione e varchi al perimetro dell’area portuale che andranno valutati in ragione degli strumenti urbanistici comunali  e sottoposte alla procedura di cui agli artt. 2 e 3, d.P.R. n. 383 del 1994 (1).  

 

(1) Ha chiarito la Sezione che la relazione tra il governo del territorio (locale) e il governo del porto ‒ e, in particolare, tra la pianificazione urbanistica e il piano regolatore portuale ‒ va attentamente ricostruita in relazione all’evoluzione normativa.
Fino al 1967, le aree portuali − così come ogni area ricadente nel demanio marittimo appartenente allo Stato – non erano soggette alle prescrizioni del piano regolatore comunale.
Soltanto a partire dalla legge ponte n. 765 del 1967, il Comune ha assunto la competenza pianificatoria anche in relazione alle aree portuali (come si ricava dalla modifica apportata all’art. 31, comma 2, l. 17 agosto 1942, n. 1150, secondo cui: «[p]er le opere da eseguire su terreni demaniali, compreso il demanio marittimo, ad eccezione delle opere destinate alla difesa nazionale, compete all’Amministrazione dei lavori pubblici, d’intesa con le Amministrazioni interessate e sentito il Comune, accertare che le opere stesse non siano in contrasto con le prescrizioni del piano regolatore generale o del regolamento edilizio vigente nel territorio comunale in cui esse ricadono»). L’intervento del Ministro dei lavori pubblici nel procedimento di approvazione del piano urbanistico, come all’epoca configurato dal legislatore, garantiva il coordinamento del livello di governo statale con le scelte operate dall’ente locale in materia urbanistica e dagli enti portuali al fine della realizzazione delle opere pubbliche portuali (per le quali era preminente l’interesse ministeriale).
Nella predetta fase storica, i piani portuali contemplati dalla legislazione di settore allora vigente ‒ in particolare la l. 20 agosto 1921, n. 1177 (recante provvedimenti contro la disoccupazione) e la l. 3 novembre 1961, n. 1246 (Norme relative ai piani regolatori dei porti di 2ª e 3ª classe della seconda categoria) ‒ costituivano soltanto strumenti di programmazione delle infrastrutture strumentali allo svolgimento delle attività del porto, erano cioè piani di “opere”.
La successiva assunzione da parte delle Regioni del potere di approvazione dei piani regolatori generali adottati dai comuni, ha fatto sorgere l’esigenza di introdurre un nuovo dispositivo di composizione degli interessi statuali e locali, esigenza alla quale ha cercato di rispondere la l. n. 84 del 1994, attraverso la creazione di Piani Regolatori Portuali di nuovo conio.
Le Autorità portuali ‒ accanto alle funzioni di regolazione dei servizi portuali, prima gestiti in forma di monopolio pubblico, e ora, con la legge del 1994, aperti all’iniziativa economica privata ‒ adottano ora un Piano Regolatore Portuale, avente lo scopo di delimitare «l’assetto complessivo del porto, ivi comprese le aree destinate alla produzione industriale, all’attività cantieristica e alle infrastrutture stradali e ferroviarie», delineandone «le caratteristiche e la destinazione funzionale», atteggiandosi a strumento di pianificazione territoriale, per quanto limitato all’area portuale. L’art. 5, comma 2, della legge del 1994 ‒ nel prevedere che «le previsioni del piano regolatore portuale non possono contrastare con gli strumenti urbanistici vigenti» ‒ presuppone infatti una evidente comunanza funzionale di oggetto tra i due strumenti pianificatori.
La composizione degli interessi statali e locali è affidata alla struttura del procedimento, il quale prevede che il piano regolatore del porto venga adottato dal comitato portuale «previa intesa con il comune o i comuni interessati», per poi essere «inviato per il parere al Consiglio superiore dei lavori pubblici», e da ultimo essere approvato dalla regione.
La complessità contenutistica e strutturale del piano, dovuta alla compresenza di due distinti interessi ‒ quello connesso allo sviluppo del traffico marittimo e quello relativo alle finalità di carattere urbanistico ‒, non rende agevole la sua riconduzione nelle categorie in cui vengono usualmente classificati gli strumenti di pianificazione territoriale, facendone uno strumento di governo del territorio “atipico”, a metà strada tra un piano urbanistico speciale e un piano di settore.
Va da ultimo rimarcato come, ai sensi dell’art. 27 della legge n. 84 del 1994, «i piani regolatori portuali vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge conservano efficacia fino al loro aggiornamento, da effettuare secondo le disposizioni di cui all’art. 5».
Al termine di questo breve excursus, risulta quindi che i Piani Regolatori Portuali approvati antecedentemente alla l. n. 84 del 1994, non hanno effetti di conformazione del territorio. In tal senso si è espresso a più riprese anche il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, da ultimo con parere del 27 marzo 2019.
​​​​​​​Su queste basi, il Piano regolatore portuale di Brindisi, risalente al 1975, non poteva essere considerato come parametro giuridico ai fini della valutazione di conformità urbanistica degli interventi in contestazione. Né risulta che le prescrizioni dello stesso, siano state recepite in qualche modo recepite nelle previsioni del piano regolatore. 


Anno di pubblicazione:

2020

Tipologia:

Focus di giurisprudenza e pareri