Nullità per elusione di un decreto monocratico cautelare

Nullità per elusione di un decreto monocratico cautelare


Processo amministrativo – Giudicato – Nullità per violazione di giudicato cautelare - Derivante da decreto monocratico – Esclusione.

 

     Non può essere dichiarata la nullità ex art. 21 septies, l. 7 agosto 1990, n. 241 degli atti emessi in asserita violazione o elusione di un decreto monocratico cautelare, non essendo configurabile un “giudicato cautelare” derivato da decreto monocratico (1).

 

(1) Ha chiarito il Tar che se è vero che l’art. 21 septies, l. n. 241 del 1990 stabilisce la nullità degli atti emessi in violazione o elusione del giudicato, e fermo restando che la giurisprudenza amministrativa è tendenzialmente favorevole alla equiparazione tra giudicato cautelare e giudicato di cui alla citata disposizione, ai fini della declaratoria, anche d’ufficio, della nullità dei provvedimenti amministrativi emessi contro il giudicato stesso (Cons. St., sez. V, 7 giugno 2013, n. 3133), va altresì evidenziato che deve comunque trattarsi di una pronuncia a carattere esecutivo quanto meno stabile, come è il cd. “giudicato cautelare”, che è riferibile alle ordinanze di primo grado divenute inoppugnabili ovvero alle ordinanze cautelari emesse dal giudice d’appello.

Infatti, la giurisprudenza riconosce normalmente al giudicato cautelare l’effetto conformativo o propulsivo nei confronti dell'Amministrazione sotto il duplice profilo di dovervi dare esecuzione e di precluderle, a pena di nullità ex art. 21 septies, l. n. 241 del 1990, l'adozione di qualsiasi atto che lo violi o lo eluda (Tar Napoli, sez. VI, 5 giugno 2012, n.2644), ma altrettanto indubbio è che tali effetti e vincoli vengono a cessare in una alla decisione di merito ed alle definitive statuizioni qui rese, “il cui contenuto ben può essere diverso da quello della precedente ordinanza cautelare e/o di sua riforma in sede di appello”, poggianti su “di una cognizione sommaria, finalizzata ad assicurare una tutela di natura interinale”, posto che “l'eventuale difformità tra la decisione cautelare e quella di merito, stante l'autonomia tra i due rimedi e la diversità dei rispettivi presupposti, rientra nella fisiologia processuale e non dà luogo ad alcuna invalidità, essendo destinata a restare definitivamente assorbita dalla sentenza di merito”, avverso la quale potrà evidentemente essere proposto appello, di guisa che anche il giudice di secondo grado, ove adito, potrà rendere le definitive statuizioni sulla res controversa nella sede della sua piena cognizione.

Da ciò discende che tali caratteristiche per nulla si attagliano alla decisione contenuta nel decreto monocratico emesso ex art. 56 c.p.a., il quale consiste, testualmente, in “misure cautelari provvisorie” in caso di estrema gravità ed urgenza, tale da non consentire neppure la dilazione fino alla data della camera di consiglio, e che conserva efficacia a tempo limitato, posto che, in caso di accoglimento è efficace sino alla camera di consiglio fissata ex art. 55, comma 5, c.p.a. e la perde “se il collegio non provvede sulla domanda cautelare nella camera di consiglio di cui al periodo precedente”, fermo restando che esso “ è sempre revocabile o modificabile su istanza di parte notificata” (art. 56, comma 4, c.p.a.).

Vi è quindi incompatibilità assoluta tra il combinato disposto dell’art. 21 septies, l. n. 241 del 1990 e artt. 114 e ss. c.p.a. rispetto al provvedimento favorevole emesso ai sensi dell’art. 56 c.p.a., il quale non solo non è menzionato dall’art. 114, comma 4, lett. c) c.p.a tra i c.d. “altri provvedimenti” esecutivi ancorché ancora non passati in giudicato, a cui sia possibile applicare il rimedio del giudizio di ottemperanza, ma che altresì neppure può rientrarvi per analogia, stante l’assoluta precarietà dei suoi effetti, sempre suscettibili di revoca e destinati ad esaurirsi nel brevissimo spazio tra sua emissione e convocazione della camera di consiglio.

Ed invero, il decreto monocratico emesso inaudita altera parte “iberna” gli effetti sostanziali, apparsi lesivi, specie nel caso di impugnazione dei cc.dd. “provvedimenti negativi” (diniego di concessioni, autorizzazioni, proroghe etc.), che, in quanto tali, sono idonei a produrre effetti innovativi della realtà, e pur scaturendo dalla richiesta di tutela di interesse pretensivo (nel caso di specie, alla proroga del contratto) non può essere inteso come configurante un provvedimento amministrativo sostitutivo e/o di concessione di quanto richiesto dalla parte, né tantomeno idoneo a “paralizzare” l’attività amministrativa; esso, per contro, ha la funzione di evitare che muti la realtà “fattuale” fino all’udienza cautelare, in cui decidere sulla scorta di una panoramica documentale più completa, siccome figlia della dialettica processuale in contraddittorio, assente al momento della delibazione presidenziale.


Anno di pubblicazione:

2019

Materia:

GIUSTIZIA amministrativa

Tipologia:

Focus di giurisprudenza e pareri