Limiti dei motivi deducibili nella fase rescissoria del giudizio di revocazione

Limiti dei motivi deducibili nella fase rescissoria del giudizio di revocazione


Processo amministrativo – Revocazione - Fase rescissoria - Motivi deducibili – Individuazione.

 

             Una volta individuate le parti della sentenza da rescindersi in quanto viziate dall’errore-vizio, il successivo giudizio rescissorio, riguardante la modificazione nel merito della detta sentenza, deve avere per oggetto solo le parti di essa che sono state rescisse e quelle che ne dipendono (1).

(1) Ha ricordato la Sezione che l’art. 106 c.p.a. richiama espressamente gli artt. 395 e 396 c.p.c. (ossia le norme che regolano i casi di revocazione); più in generale, l’art. 39 c.p.a. fa rinvio esterno alle disposizioni del codice di procedura civile per quanto non espressamente disciplinato dal codice di rito amministrativo e nei limiti della clausola generale di compatibilità, ovvero nei limiti in cui le norme del codice di rito civile siano espressive di principi generali del processo.
​​​​​​​Uno dei principi cardine delle impugnazioni in generale e, quindi, anche della revocazione in particolare, è quello secondo il quale una volta individuate le parti della sentenza da rescindersi in quanto viziate dall’errore-vizio, il successivo giudizio rescissorio, riguardante la modificazione nel merito della detta sentenza, deve avere per oggetto solo le parti di essa che sono state rescisse e quelle che ne dipendono.
​​​​​​​Nella logica sistematica del rimedio, la rinnovazione del giudizio è, essa stessa, attribuzione di un bene della vita.
​​​​​​​Il giudizio è “nuovo” o “rinnovato” nel senso che non rappresenta la mera correzione del singolo elemento facente parte dell’originaria concatenazione logico-giuridica di cui era composta la motivazione, ma determina il rinnovo dell’intero percorso decisionale, emendato del vizio che lo ha falsato.
​​​​​​​Il nuovo giudizio deve necessariamente riguardare tutte le parti della sentenza che sono dipendenti, sul piano logico-giuridico, da quella direttamente incisa dalla causa di revocazione.
​​​​​​​La rinnovazione non si trasforma in un terzo (e inammissibile) giudizio di merito sulla vicenda, perché il rimedio ha “rescisso” non solo la pronuncia nella sua realtà fenomenica formale (il titolo), ma anche (rectius, ancor prima) il giudizio assunto, cioè la decisione del caso concreto, sia nella parte formalmente inficiata dalla causa di revocazione (e ciò è evidente), sia nelle parti che direttamente dipendono da essa. E ciò costituisce il logico e necessario corollario del naturale dispiegarsi, nuovamente, del percorso argomentativo che porterà alla soluzione del caso, questa volta epurato dal vizio.
​​​​​​​Il vizio, in altri termini, è vizio della decisione e del suo (complessivo) percorso motivazionale, non già del singolo elemento facente parte della concatenazione logico-giuridica immaginata dal giudice. Se così non fosse, l’effettività del rimedio ne uscirebbe sconfitta, non riuscendo a garantire, al ricorrente vittorioso, l’integrità ex novo del giudizio.
​​​​​​​Muove in questa direzione anche la logica di sistema.
​​​​​​​Il legislatore ha appositamente previsto, nell’ambito del codice di procedura civile, tre specifiche disposizioni, e precisamente gli artt. 329, secondo comma, e 336, primo e secondo comma, c.p.c., finalizzate ad assicurare la razionalità della decisione e dunque, in ultima analisi, dell’ordinamento, impedendo che quest’ultimo entri in contraddizione logica con se stesso.
​​​​​​​È, questa, una necessità tanto sentita dall’ordinamento da essere comparata, nel bilanciamento dei contrapposti interessi, con gli altri fondamentali e concorrenti principi della necessità che si arrivi alla formazione del giudicato (art. 329, secondo comma, c.p.c.) e del raggiungimento della stabilità e della certezza dei titoli (art. 336, primo comma, c.p.c.) o dell’esecuzione di essi (art. 336, secondo comma, c.p.c.).
​​​​​​​L’ordinamento, in altri termini, non tollera che questioni tra di loro dipendenti e avvinte sul piano logico-giuridico possano, per effetto di un mero accidente (la mancata impugnazione di un capo, la riforma o la cassazione di un solo capo o di una sola parte della pronuncia), esprimere valori diversi e contrastanti nel sistema:

a) l’art. 329, secondo comma, del c.p.c., espressivo del principio della domanda, prevede che in caso di impugnazione parziale possono passare in giudicato i capi di sentenza non espressamente gravati. La regola, tuttavia, incontra un temperamento (o comunque una vera e propria eccezione) per i capi di sentenza strettamente dipendenti da quelli gravati espressamente;

b) l’art. 336, primo comma, c.p.c., espressivo invece del principio del cd. effetto espansivo interno, stabilisce che la riforma o la cassazione parziale della pronuncia abbia effetto anche sulle parti della sentenza dipendenti dalla parte riformata o cassata.

c) l’art. 336, secondo comma, c.p.c., espressivo infine del principio del cd. effetto espansivo esterno, prevede che la riforma o la cassazione della pronuncia estenda i suoi effetti anche ai provvedimenti e agli atti esecutivi dipendenti dalla sentenza riformata o cassata.


Anno di pubblicazione:

2021

Materia:

GIUSTIZIA amministrativa, REVOCAZIONE

Tipologia:

Focus di giurisprudenza e pareri