Legittimità dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri adottati dal Governo per far fronte all’emergenza pandemica da Covid-19 e divieto di svolgere attività di ristorazione tra le ore 18,00 e le ore 5,00

Legittimità dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri adottati dal Governo per far fronte all’emergenza pandemica da Covid-19 e divieto di svolgere attività di ristorazione tra le ore 18,00 e le ore 5,00


Covid-19 – Disciplina di contenimento – Decreti del Presidente del Consiglio dei ministri – Legittimità.  

Covid-19 – Esercizi commerciali – Esercizi di ristorazione -Divieto di svolgere attività di ristorazione tra le ore 18,00 e le ore 5,00 – DD. PP.CC.MM. 24 ottobre 2020 e del 3 novembre 2020 – Legittimità

 

       Sono legittimi i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri del 24 ottobre 2020 e del 3 novembre 2020 che danno attuazione alle disposizioni introdotte dai decreti-legge disciplinanti l’emergenza epidemiologica Covid-19, e ciò in quanto il ricorso ai decreti attuativi, operato dai precedenti decreti-legge, è coerente con il sistema delle fonti, per due ordini di ragioni: in primo luogo perché in linea generale non è riservata alla norma primaria (ancorché contenuta nell’atto-fonte di necessità e urgenza) la disciplina di dettaglio e analitica delle fattispecie regolate (soccorrendo a tal fine, nella fisiologia della normazione, secondo uno schema gradualista delle fonti, la disciplina secondaria dell’esecutivo); in secondo luogo perché il decreto-legge, per quanto agile e di rapida approvazione parlamentare, non avrebbe consentito, nel sopra descritto contesto storico, la duttilità, l’adattabilità e la flessibilità necessarie ad aderire plasticamente alla continua mutevolezza delle condizioni oggettive di sviluppo e andamento della pandemia, notoriamente variabili e scarsamente prevedibili, con significative diversificazioni territoriali, tali da richiedere la capacità di provvedere – di mutare le disposizioni – anche nel breve arco di un mese (o, addirittura, di settimane), duttilità, adattabilità e flessibilità certamente assicurate in misura maggiore dallo strumento esecutivo del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (1).


             Sono legittimi i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri del 24 ottobre 2020 e del 3 novembre 2020 nella parte in cui hanno introdotto, senza motivazione,  il divieto di svolgere attività di ristorazione tra le ore 18,00 e le ore 5,00 e ciò in quanto la chiusura, peraltro parziale in quanto limitata alla fascia serale, delle attività di ristorazione risponde a principi di adeguatezza e proporzionalità al rischio effettivamente presente,  si è resa necessaria per la nota situazione pandemica al fine di evitare possibili forme di assembramento, ed è stata adottata tenendo conto delle cognizioni e valutazioni acquisite dal Comitato tecnico-scientifico, sulla base di una scelta, ampiamente discrezionale, di accordare prevalenza, nel contemperamento di tutti gli interessi coinvolti, alla necessità di tutelare il diritto alla salute quale primario interesse generale della collettività, anche a scapito di altri diritti costituzionalmente tutelati, di cui il ricorrente lamenta la violazione con il presente ricorso (2). 


 

(1) Ha chiarito il parere che la questione fondamentale è la conformità al nostro sistema ordinamentale dell’introduzione di tale, per certi versi innovativa, tipologia di atti, adottati sulla base di una reiterata decretazione d’urgenza, essa stessa investita, nella prospettazione di parte ricorrente, da dubbi e censure di radicale incostituzionalità per la sua asserita esorbitanza dal sistema, in quanto in contrasto con le previsioni della Legge fondamentale (o, quantomeno, per l’assenza di una base giuridica certa nella Carta costituzionale).
Ad avviso della Sezione il meccanismo di produzione normativa costruito dal Governo e approvato dal Parlamento nella sede della conversione in legge dei decreti-legge di volta in volta susseguitisi (e in primo luogo quelli qui contestati) nel corso dell’emergenza da pandemia da Covid – 19, sia conforme al dettato costituzionale e si inquadri coerentemente nel sistema delle fonti, rinvenendo in esso un’adeguata base giuridica.
Fatta eccezione per il primo dei decreti-legge, che ha iniziato la sequenza sviluppatasi a partire dal mese di marzo del 2020 (ossia il decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, la cui struttura logico-giuridica appare diversa rispetto ai successivi interventi normativi), a partire dal successivo decreto-legge (n. 19 del 2020), il governo ha impostato correttamente la sequenza logico-giuridica degli atti-fonte preordinati a fronteggiare la pandemia, secondo il fondamentale schema generale della decretazione d’urgenza, introduttiva di norme primarie, poi approvate dal Parlamento in sede di legge di conversione, attributive, a valle, all’esecutivo, di un potere normativo di livello secondario e di provvedimento generale, modellato sull’esempio delle ordinanze emergenziali di protezione civile sotto il profilo della temporaneità, della eccezionalità e del presupposto dello stato di emergenza dichiarato con delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020, ai sensi dell’art. 24 del codice della protezione civile di cui al d.lgs. n. 1 del 2018. 
Certamente sarebbe stata altrettanto percorribile in astratto e del tutto conforme alla Costituzione l’opzione per il modello parallelo (e sostanzialmente equivalente) del ricorso alle ordinanze contingibili e urgenti già previste dalla norme vigenti: la decretazione d’urgenza, con norma primaria, ben avrebbe potuto richiamare e attivare i poteri di ordinanza già previsti in capo al Presidente del consiglio dei ministri e al Capo del Dipartimento della protezione civile (art. 5, d.lgs. n. 1 del 2018), o in capo al Ministro della salute (art. 32, l. n. 833 del 1978 istitutiva del sistema sanitario nazionale), anziché introdurre la figura dei decreti del Presidente del consiglio dei ministri. Ma la questione della configurazione di tali atti attuativi a contenuto generale di rango secondario, ad tempus, con causa rinvenibile nello stato emergenziale creatosi a seguito della pandemia, riveste a ben vedere un rilievo più formale e nominalistico che sostanziale, essendo pacifico che, in ogni caso, la nuova legge ordinaria speciale ben può derogare alle competenze e alle procedure previste dalle norme pari-ordinate recate dal codice della protezione civile (d.lgs. n. 1 del 2018) e dalla l. n. 833 del 1978, senz’altro derogabili con atto successivo avente pari forza e valore di legge. 
6.6.1. Più nello specifico, rileva al riguardo il Collegio che non sussiste alcuna violazione della l. n. 833 del 1978 (art. 32, che attribuisce al Ministro della sanità il potere di emettere ordinanze di carattere contingibile e urgente, in materia di igiene e sanità pubblica e di polizia veterinaria, con efficacia estesa all'intero territorio nazionale o a parte di esso comprendente più regioni), né della legislazione sulla protezione civile (d.lgs. 2 gennaio 2018, n. 1, “Codice della protezione civile”, il cui art. 5 attribuisce peraltro i poteri di ordinanza in materia di protezione civile proprio al Presidente del consiglio dei ministri, prevedendo che questi possa esercitarli “per il tramite del Capo del Dipartimento della protezione civile”): la nuova decretazione d’urgenza, ritualmente convertita in legge, ha infatti prodotto norme di rango primario in tutto e per tutto equiordinate, quanto a forza e valore di legge, rispetto a quelle la cui violazione viene dedotta come motivo di censura. Né la legge sul sistema sanitario nazionale del 1978, né quella sulla protezione civile sono leggi (così dette) “rinforzate”, sicché nulla vieta, a Costituzione vigente, che una successiva norma primaria (non importa se introdotta direttamente dal Parlamento con una legge ordinaria o, in prima battuta, dal Governo, con lo strumento del decreto-legge, poi validamente convertito in legge dal Parlamento) possa derogare alle previsioni di tali, anteriori, leggi ordinarie. Non si comprende, peraltro, in che cosa si sostanzierebbe il ritenuto vulnus di valori costituzionali nell’attribuzione in favore del Presidente del consiglio dei ministri, operata dai decreti-legge qui censurati, della competenza a introdurre atti equivalenti nella sostanza alle ordinanze contingibili e urgenti, competenza assegnata, invece, dalla precedente legislazione ordinaria di settore, rispettivamente al Ministro della salute e al Capo del Dipartimento della Protezione civile. Si tratta, in entrambi i casi, di un’elevazione del livello di responsabilità amministrativa, compiuta dalla normazione del 2020, che attribuisce la competenza al vertice dell’esecutivo, ossia al massimo livello di responsabilità politico-amministrativa del governo. Né può condividersi la censura con la quale parte ricorrente ha contestato l’imputazione in capo all’organo monocratico, anziché in capo al governo nella sua collegialità (Consiglio dei ministri), di siffatto potere. Risulta in definitiva logico e ragionevole, esclusa ogni valutazione di merito politico, attribuire, per evidenti ragioni di speditezza e di semplificazione connesse alla specifica emergenza da pandemia, le funzioni di intervento urgente all’organo monocratico che, peraltro, quale capo del Governo, riassume e sintetizza in sé il ruolo e la responsabilità dell’intero esecutivo, ai sensi dell’art. 92 Cost., primo comma, secondo periodo (Il Presidente del Consiglio dei ministri dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile. Mantiene la unità di indirizzo politico ed amministrativo, promovendo e coordinando l'attività dei Ministri). 
Sotto un diverso angolo di visuale, pur essendo in astratto possibile (come peraltro sta avvenendo con il nuovo governo insediatosi il 13 febbraio 2021, a partire dal d.l. 1 aprile 2021, n. 44 e, da ultimo, con il d.l. 22 aprile 2021, n. 52) definire direttamente nell’atto-fonte di rango primario (nel decreto-legge) anche tutti i dettagli applicativi delle chiusure e delle altre misure limitative finalizzate ad assicurare il così detto distanziamento sociale in funzione di contenimento dell’espandersi della pandemia, ciò nondimeno il modello innovativo adottato con il sistema imperniato sul rinvio ai decreti attuativi non presenta i denunciati profili di incostituzionalità e di dissonanza rispetto al sistema delle fonti (avendo riferimento precipuo, in questa sede, deve ripetersi, all’incidenza, qui denunciata, sui diritti al lavoro e alla libera iniziativa economica privata, e non anche ad altre libertà individuali presidiate da riserva assoluta di legge).
Contestualizzando realisticamente la valutazione giuridica degli impugnati decreti nel loro effettivo e proprio contesto cronologico di riferimento, non può non considerarsi che nel primo anno della pandemia, nel 2020, la assoluta novità e l’inusitata gravità di questa emergenza globale, nonché la ancora scarsa conoscenza di questo fenomeno pandemico, hanno comprensibilmente richiesto l’adozione di misure ordinamentali emergenziali particolarmente rapide e duttili, apparendo, in quel contesto, difficilmente praticabile il ricorso alla sola decretazione d’urgenza, con la definizione, all’interno del decreto-legge stesso, dell’intero quadro di dettaglio applicativo delle misure necessarie. Viceversa oggi, a distanza di oltre un anno dall’esplosione di questa epocale calamità naturale, anche sulla base dell’esperienza sinora accumulata, della maggiore conoscenza acquisita e della stessa produzione normativa per l’innanzi sedimentatasi, appare ragionevolmente possibile concentrare direttamente nel decreto-legge l’articolazione di tutte le misure restrittive da mettere in campo (fermo restando che anche i citati decreti-legge n. 44 e n. 52 del 2021 non mancano di operare ampi rinvii ai “provvedimenti adottati in attuazione dell'articolo 2 del decreto-legge n. 19 del 2020”, ossia ai precedenti dd.P.C.M.).
Ciò doverosamente premesso, la Sezione ha affermato che il ricorso ai decreti attuativi, operato dai precedenti decreti-legge, qui contestati, sia in sé coerente con il sistema delle fonti, e ciò per due ordini di ragioni: in primo luogo perché in linea generale non è riservata alla norma primaria (ancorché contenuta nell’atto-fonte di necessità e urgenza) la disciplina di dettaglio e analitica delle fattispecie regolate (soccorrendo a tal fine, nella fisiologia della normazione, secondo uno schema gradualista delle fonti, la disciplina secondaria dell’esecutivo); in secondo luogo perché il decreto-legge, per quanto agile e di rapida approvazione parlamentare, non avrebbe consentito, nel sopra descritto contesto storico, la duttilità, l’adattabilità e la flessibilità necessarie ad aderire plasticamente alla continua mutevolezza delle condizioni oggettive di sviluppo e andamento della pandemia, notoriamente variabili e scarsamente prevedibili, con significative diversificazioni territoriali, tali da richiedere la capacità di provvedere – di mutare le disposizioni – anche nel breve arco di un mese (o, addirittura, di settimane), duttilità, adattabilità e flessibilità certamente assicurate in misura maggiore dallo strumento esecutivo del d.P.C.M. 

 

(2) Ha chiarito la Sezione che stante la natura di atti generali, introduttivi di disposizioni di rango secondario, ancorché temporanee ed emergenziali, sfuggono all’applicabilità delle norme in tema di motivazione degli atti amministrativi contenute nella l. n. 241 del 1990; inoltre, trattandosi indubbiamente di atti di alta amministrazione, espressione di ampia discrezionalità, attraverso i quali il Governo ha attuato le fondamentali scelte politiche e amministrative di gestione della gravissima crisi pandemica verificatasi a partire del mese di gennaio del 2020, essi, da un lato, anche da questo angolo di visuale, non richiedono corredi motivazionali raffrontabili a quelli necessari per gli ordinari provvedimenti amministrativi, dall’altro lato sono sindacabili in questa sede di esame di legittimità solo per carenze e/o errori gravi e manifesti e per evidente illogicità, irrazionalità, sproporzione o irragionevolezza, restando precluso ogni sindacato che possa riguardare il merito e la condivisibilità delle decisioni adottate, né la loro opportunità e convenienza. 
​​​​​​​Precisata la natura e i limiti del sindacato di legittimità in questa sede ammissibile, la Sezione ha rilevato che le misure censurate risultano non illogiche, né irrazionali, sono adeguatamente fondate su una sufficiente istruttoria tecnico-scientifica, non appaiono inattendibili nel metodo, né nelle conclusioni raggiunte, e risultano nel complesso proporzionate e ragionevoli, alla stregua del principio di precauzione, in funzione della migliore tutela della salute pubblica. Se è vero, come ribadito dalla recente giurisprudenza formatasi in materia di misure restrittive per contrasto alla pandemia da covid-19 (Tar Catanzaro, sez. I, 18 dicembre 2020, n. 2075, Tar Piemonte, sez. I, 3 dicembre 2020, n. 580), che il principio di precauzione non può essere invocato oltre ogni limite, ma deve essere contemperato con quello di proporzionalità, come ricordato tanto dall’insegnamento, nelle materie di competenza dell’Unione europea, dalla Corte di Giustizia (cfr. CGUE, sez. I, 9 giugno 2016, in causa C-78/2016, Pesce), quanto dalla giurisprudenza della Corte costituzionale nel caso “Ilva di Taranto” (Corte cost. 9 maggio 2013, n. 85, sul bilanciamento tra valori dell’ambiente e della salute da un lato e della libertà di iniziativa economica e del diritto al lavoro dall’altro), è altrettanto vero che il test di proporzionalità e di stretta necessità delle misure limitative deve ragguagliarsi al livello di rischio - e quindi al proporzionale livello di protezione ritenuto necessario – causato dalla straordinaria virulenza e diffusività della pandemia. La prevalenza del principio di precauzione (Cons. Stato, sez. III, 3 ottobre 2019, n. 6655; Tar Lazio, sez. III-quater, 4 gennaio 2021, n. 35) è dunque ragionevolmente motivata in relazione al presente contesto di emergenza sanitaria, caratterizzato dalla circolazione di un virus sul cui comportamento non esistono certezze nella stessa comunità scientifica, con la logica conseguenza che, non essendo conosciuti, né prevedibili con certezza i rischi indotti da attività lavorative e commerciali potenzialmente pericolose, l'azione dei pubblici poteri ben può e deve tradursi in una prevenzione anticipata rispetto al consolidamento delle conoscenze scientifiche, a tutela del valore primario della salute. 


Anno di pubblicazione:

2021

Materia:

SANITÀ pubblica e sanitari, COVID, Disciplina di contenimento

SANITÀ pubblica e sanitari, COVID

Tipologia:

Focus di giurisprudenza e pareri