L’Adunanza plenaria pronuncia sui casi di annullamento della sentenza con rinvio al giudice di primo grado

L’Adunanza plenaria pronuncia sui casi di annullamento della sentenza con rinvio al giudice di primo grado


      Cons. St., A.P., 30 luglio 2018, n. 11 – Pres. Pajno, Est.  Giovagnoli

Processo amministrativo – Appello – Annullamento con rinvio – Art. 105 c.p.a. – Tassatività dei casi.

Processo amministrativo – Appello – Annullamento con rinvio – Art. 105 c.p.a. – Erronea dichiarazione di irricevibilità, inammissibilità o improcedibilità del ricorso di primo grado – Non determina annullamento con rinvio.

Processo amministrativo – Appello – Annullamento con rinvio – Art. 105 c.p.a. – Violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato – Non determina annullamento con rinvio.

Processo amministrativo – Appello – Annullamento con rinvio – Art. 105 c.p.a. – Difetto assoluto di motivazione – Determina annullamento con rinvio.

Processo amministrativo – Appello – Annullamento con rinvio – Art. 105 c.p.a. – Richiesta di parte – Esclusione.

 

        In coerenza con il generale principio dell’effetto devolutivo/sostitutivo dell’appello, le ipotesi di annullamento con rinvio al giudice di primo grado previste dall’art. 105 c.p.a. hanno carattere eccezionale e tassativo e non sono, pertanto, suscettibili di interpretazioni analogiche o estensive (1).

        L’erronea dichiarazione di irricevibilità, inammissibilità o improcedibilità del ricorso di primo grado non costituisce, di per sé, un caso di annullamento con rinvio, in quanto la chiusura in rito del processo, per quanto erronea, non determina, ove la questione pregiudiziale sia stato oggetto di dibattitto processuale, la lesione del diritto di difesa, né tanto meno un caso di nullità della sentenza o di rifiuto di giurisdizione (1).

        La violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, anche quando si sia tradotta nella mancanza totale di pronuncia da parte del giudice di primo grado su una delle domande del ricorrente, non costituisce un’ipotesi di annullamento con rinvio; pertanto, in applicazione del principio dell’effetto sostitutivo dell’appello, anche in questo caso, ravvisato l’errore del primo giudice, la causa deve essere decisa nel merito dal giudice di secondo grado (1).

        Costituisce un’ipotesi di nullità della sentenza che giustifica l’annullamento con rinvio al giudice di primo grado il difetto assoluto di motivazione; esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione”, tale anomalia si identifica, oltre che nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, nella motivazione meramente assertiva, tautologica, apodittica oppure obiettivamente incomprensibile: quando, cioè, le anomalie argomentative sono di gravità tale da collocare la motivazione al di sotto del “minimo costituzionale” di cui all’art. 111, comma 5, Cost. (2).

        La disciplina dei rapporti tra giudice di primo grado e giudice d’appello ha natura indisponibile, il che implica che, fermo restando l’onere di articolare specifici motivi di appello e il generale principio di conversione della nullità in motivi di impugnazione, nei casi di cui all’art. 105 c.p.a., il giudice d’appello deve procedere all’annullamento con rinvio anche se la parte omette di farne esplicita richiesta o chiede espressamente che la causa sia direttamente decisa in secondo grado; viceversa, nei casi in cui non si applica l’art. 105 c.p.a., la possibilità per il giudice di appello di pronunciarsi sulla domande o sulle domande non esaminate in primo grado o erroneamente dichiarate irricevibili, inammissibili o improcedibili, presuppone necessariamente che, ai sensi dell’art. 101, comma 2, tali domande siano oggetto di rituale riproposizione, operando, altrimenti, la presunzione di rinuncia stabilita dallo stesso articolo, con conseguente inammissibilità per difetto di interesse dell’appello proposto senza assolvere all’onere di riproposizione.

 

(1) La quesitone era stata rimessa all’Adunanza plenaria dalle sez. IV (5 aprile 2018, n. 2122)V (10 aprile 2018, n. 2161) e dal C.g.a. (17 aprile 2018 n. 223).

Ha chiarito l’Adunanza plenaria che la questione di diritto va risolta dando continuità al consolidato orientamento interpretativo che, anche dopo l’entrata in vigore del Codice del processo amministrativo, afferma il carattere tassativo ed eccezionale dei casi di rimessione al giudice di primo grado, oggi descritti dall’art. 105 dello stesso Codice.

Va in particolare, escluso che tra i casi di annullamento con rinvio possa rientrare l’erronea dichiarazione di irricevibilità, inammissibilità o improcedibilità della domanda, oppure l’ipotesi in cui il giudice di primo grado abbia totalmente omesso di esaminare una delle domande proposte (anche per ragioni diverse dall’accoglimento di una eccezione pregiudiziale di rito).

L’art. 105 c.p.a. prevede testualmente che: «Il Consiglio di Stato rimette la causa al giudice di primo grado se è mancato il contraddittorio, oppure è stato leso il diritto di difesa di una delle parti, ovvero dichiara la nullità della sentenza, o riforma la sentenza che ha declinato la giurisdizione o ha pronunciato sulla competenza o ha dichiarato l’estinzione o la perenzione del giudizio».

Rispetto alla previgente disposizione contenuta nell’art. 35, l. n. 1034 del 1971, l’art. 105 c.p.a., presenta, nonostante i persistenti elementi di diversità, una più spiccata assonanza con la disciplina contenuta negli artt. 353 e 354 c.p.c., il che risulta coerente con quanto previsto, in sede di legge delega, dall’art. 44, comma 1, l. 18 giugno 2009, n. 69, che aveva espressamente menzionato, fra gli obiettivi del riassetto della disciplina del processo amministrativo, proprio il “coordinamento con le norme del codice di procedura civile in quanto espressione di principi generali” 

Il “vincolo” del coordinamento con la disciplina del processo civile impone, pertanto, una lettura dei casi di annullamento con rinvio più ravvicinata rispetto all’analoga disciplina del processo civile e, soprattutto, che tenga conto di tutte le disposizioni del codice di procedura civile che esprimono principi generali o comuni del processo, così come espressamente previsto dalla clausola di rinvio esterno contenuta nell’art. 39 c.p.a..

I principi generali del processo che vengono in rilievo ai fini di affrontare la questione di diritto oggetto del presente giudizio sono, in particolare, il principio del c.d. effetto devolutivo dell’appello e quello, strettamente correlato, della conversione delle nullità processuali in motivi di appello (art. 161, comma 1, c.p.c.), salvo i casi estremi di c.d. nullità-inesistenza (che l’art. 161, comma 2, individua nel difetto di sottoscrizione).

Il principio dell’effetto devolutivo fa dell’appello una impugnazione sostitutiva che di regola conduce, sia pure subordinatamente all’onere della formulazione di specifici motivi, ad una sentenza che ridefinisce integralmente (per la parte impugnata: tantum devolutum quantum appellatum) la causa pendente, ripronunciandosi sullo stesso oggetto della sentenza di primo grado. Sebbene l’appello sia ormai configurato (tanto nel processo civile quanto in quello amministrativo) come revisio prioris istantiae e non come novum iudicium (Cass., s.u., 16 novembre 2017, n. 27199), la sentenza di appello, comunque, nei limiti delle censure dedotte, si esprime direttamente sull’esito da attribuire alla causa, sostituendo, in tutto o in parte, la sentenza di primo grado e ponendosi come nuova decisione idonea a passare in giudicato.

Pertanto, salvo il requisito della specificità dei motivi, l’oggetto del giudizio di appello si sovrappone – almeno potenzialmente, in relazione all’ampiezza della richiesta di riesame desumibile dall’atto di impugnazione e, appunto, dal complesso dei suoi motivi – all’oggetto del processo di primo grado, sì che la nuova sentenza di regola avrà – per effetto di questa ampia devoluzione della materia del primo giudizio al nuovo giudice – carattere sostitutivo.

Il principio della conversione delle cause di nullità in motivi di impugnazione è storicamente il frutto dell’evoluzione che, attraverso la fusione dei vizi della c.d. querela (o actionullitatis nell’appello, fa di quest’ultimo un mezzo di impugnazione a vocazione generale (o a critica libera), idoneo a far valere tutti i vizi della sentenza, sia quelli che ne determino l’ingiustizia, sia quelli che ne determinano l’invalidità. Solo nei rari casi di nullità-inesistenza (l’art. 161,  comma 2, c.p.c. prevede espressamente quello di mancata sottoscrizione del giudice), la particolare gravità del vizio non ammette sanatorie e ancora consente la proposizione di un’azione di nullità della sentenza, senza limiti di tempo.

L’art. 105 c.p.a. si colloca in questo quadro normativo-sistematico, recependo, anche nel processo amministrativo, la regola dell’effetto devolutivo/sostitutivo dell’appello e codificandone il principale corollario applicativo, che si traduce nella limitazione dei casi di annullamento con rinvio (in cui l’appello svolge eccezionalmente una funzione rescindente e non più sostitutiva) ad un numero limitato ed eccezionali di ipotesi.

Tale norma supera molte delle incertezze interpretative legate alla norma previgente e, recependo in gran parte le acquisizioni cui era già approdata in via interpretativa la giurisprudenza amministrativa, chiarisce che l’annullamento con rinvio può avvenire “soltanto” se l’error in procedendo abbia determinato la mancanza del contraddittorio, la violazione del diritto di difesa o un caso di nullità della sentenza

La tassatività che caratterizza l’elenco dell’art. 105 trova poi una ulteriore conferma nel riferimento esplicito e puntuale che la disposizione fa ai casi di erronea dichiarazione di estinzione e di perenzione.

La norma, in questo caso analitica, esprime, oltre che una volontà “positiva” (includere perenzione ed estinzione tra i casi di regressione), anche una chiara volontà “negativa”: la scelta, cioè, di escludere dai casi di annullamento con rinvio tutte le ipotesi di erronea chiusura in rito del processo (irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità) diverse rispetto a quelle espressamente tipizzate (estinzione e perenzione).

Coerente con la tassatività dei casi di annullamento con rinvio è, infine, il riferimento che l’art. 105 fa alla “nullità della sentenza”, sia pure, in questo caso, con qualche profilo di maggiore criticità.

La categoria della nullità degli atti processuali soggiace, invero, ad un principio di tassatività tendenziale, enunciato dall’art. 156, primo 1, c.p.c. (da ritenersi principio generale del processo ai sensi del rinvio esterno di cui all’art. 39 c.p.a.) in forza del quale la nullità può essere dichiarata solo se è comminata dalla legge (nullità testuale).

La tassatività dei casi di annullamento con rinvio riceve conferma anche sul piano sistematico e dei principi: oltre a rappresentare, come si è già evidenziato, il naturale corollario del principio dell’effetto devolutivo dell’appello, si ricollega a sostanziali esigenze di effettività della tutela e di ragionevole durata del processo, evitando che gli errori del giudice possano determinare, a danno delle parti, l’azzeramento del processo e la moltiplicazione dei gradi di giudizio.

L’Adunanza plenaria ha ancora affermato che la natura eccezionale dei casi di annullamento con rinvio non trova alcun ostacolo nel principio del doppio grado di giudizio e, contrariamente a quanto a volte si sostiene per ampliare le ipotesi di rimessione al primo giudice, non ne costituisce una deroga. Il doppio grado di giudizio non richiede, infatti, una doppia pronuncia sul merito, ma semplicemente che il giudice valuti gli atti processuali ed emetta un giudizio.

Ciò avviene, oltre che quando entra nel merito dell’affare, anche in quei casi in cui il rapporto processuale si chiude con una pronuncia dichiarativa dell’assenza di un presupposto processuale o di una condizione dell’azione. Alla luce del carattere rinnovatorio del giudizio di appello, il rinvio al primo giudice, invocato ad apparente tutela del doppio grado, in realtà si atteggia come eccezione a tale principio, perché contraddice la plena cognitio del giudice di appello una volta che il primo giudice abbia consumato il proprio grado di giurisdizione.

Ha ancora ricordato l’alto Consesso che furono proprio le preoccupazioni legate alla vanificazione del valore costituzionale dell’effettività della tutela che indussero in passato l’Adunanza generale di questo Consiglio di Stato a proporre, de jure condendo, la radicale eliminazione dell’istituto dell’annullamento con rinvio nel giudizio amministrativo. Si fa riferimento, in particolare, al parere n. 236/94 del 6 ottobre 1994 sullo schema di disegno di legge sulla riforma del processo amministrativo, che suggerì l’abrogazione dell’art. 35, l. n. 1034 del 1971, con l’obbligo, una volta riformata la sentenza impugnata, di decidere «sempre senza rinvio», e tanto per «così evitare che il Consiglio di Stato annulli con rinvio, prolungando così il giudizio di altri due possibili gradi».
Anche nel 1990, rendendo il parere n. 16/89 dell’8 febbraio 1990 su analogo disegno di legge in ordine alla riforma del processo amministrativo, l’Adunanza generale aveva osservato che «l’annullamento con rinvio presenta l’inconveniente di dar luogo a quattro gradi di giudizio, oltre a mantenere in vita la distinzione tra vizi di procedura che possono, oppure no, dar luogo a rinvio».

(2) Ha chiarito l’Adunanza plenaria che anche alla luce del principio processuale di cui all’art. 156, comma 2, c.p.c. la motivazione rappresenta un requisito formale (oltre che sostanziale) indispensabile affinché la sentenza raggiunta il suo scopo.

Il difetto assoluto di motivazione non si identifica con la motivazione illogica, contraddittoria, errata, incompleta o sintetica. Si tratta, al contrario, di un vizio di ben più marcata gravità che dà luogo ad una sentenza abnorme ancor prima che nulla. A parte le ipotesi estreme (spesso dovute ad errori materiali in fase di redazione o pubblicazione della sentenza) di mancanza “fisica” o “grafica” della motivazione (ad esempio, la sentenza viene pubblicata solo con l’epigrafe e il dispositivo, lasciando in bianco la parte dedicata all’illustrazione delle ragioni della decisione), o di motivazione palesemente non pertinente rispetto alla domanda proposta (perché fa riferimento a parti, fatti e motivi totalmente diversi da quelli dedotti negli scritti difensivi), il difetto assoluto di motivazione coincide con la motivazione apparente, per tale dovendosi intendere la motivazione tautologica o assertiva, espressa attraverso mere formule di stile.

La motivazione è apparente quando a sostegno dell’accoglimento o non accoglimento del ricorso non individua neppure una ragione ulteriore rispetto alla generica affermazione della sua fondatezza o infondatezza, di cui, però, non viene dato conto e spiegazione, se non attraverso l’utilizzo di astratte formule di stile.

È “apparente”, ad esempio, la motivazione che richiama un generico orientamento giurisprudenziale senza illustrarne il contenuto, né direttamente, né indirettamente, attraverso la citazione di pertinenti precedenti conformi (ed è questo profilo che differenzia, invece, la motivazione in forma semplificata che in base agli art. 74 c.p.a.. e 118 disp. att. cod. proc. civ. può avvenire anche attraverso il richiamo ad un precedente conforme).
Più in generale, la motivazione è apparente quando sussistono anomalie argomentative di gravità tale da porre la motivazione al di sotto del “minimo costituzionale” che si ricava dall’art. 111, comma 5, Cost. («Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati»). 

Ha aggiunto l’Adunanza plenaria che precisato che la nullità della sentenza per difetto assoluto di motivazione riguarda non solo le sentenze di rito (irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità), ma anche quelle che recano un dispositivo di merito (accoglimento o rigetto del ricorso) non sorretto da una reale motivazione. Rispetto al difetto assoluto di motivazione, invero, la nullità della sentenza prescinde dalla differenza tra pronunce di rito e pronunce di merito.


Anno di pubblicazione:

2018

Materia:

GIUSTIZIA amministrativa, APPELLO

Tipologia:

Focus di giurisprudenza e pareri