L’Adunanza plenaria pronuncia su eventuali profili di incompatibilità nella gestione di farmacia da parte di società composta da sanitari

L’Adunanza plenaria pronuncia su eventuali profili di incompatibilità nella gestione di farmacia da parte di società composta da sanitari


Farmacia – Gestione – Società partecipata da società di capitale di professionisti sanitari – Incompatibilità Condizione. 

 

          La nozione di “esercizio della professione medica”, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 7, comma 2, secondo periodo, l. n. 362 del 1991, deve ricevere un’interpretazione funzionale ad assicurare il fine di prevenire qualunque potenziale conflitto di interessi derivante dalla commistione tra questa attività e quella di dispensazione dei farmaci, in primo luogo a tutela della salute; in tal senso deve ritenersi applicabile la situazione di incompatibilità in questione anche ad una casa di cura, società di capitali e quindi persona giuridica, che abbia una partecipazione in una società, sempre di capitali, titolare di farmacia; una società concorre nella “gestione della farmacia”, per il tramite della società titolare cui partecipa come socio, qualora, per le caratteristiche quantitative e qualitative di detta partecipazione sociale, siano riscontrabili i presupposti di un controllo societario ai sensi dell’art. 2359 c.c., sul quale poter fondare la presunzione di direzione e coordinamento ai sensi dell’art. 2497 c.c. (1). 

 

(1) La questione è stata rimessa dalla sez. III con sentenza non definitiva 27 dicembre 2021, n. 8634.  

Ha chiarito la Sezione che la riforma del 2017 (l. 4 agosto 2017, n. 124) – quale ulteriore e importante dato da sottolineare – ha disciplinato anche il regime delle incompatibilità, novellando l’art. 7, comma 2, secondo periodo, della l. n. 362/1991 e prevedendo che «La partecipazione alle società di cui al comma 1 (si intendono le società titolari dell’esercizio di farmacie private) è incompatibile con qualsiasi altra attività svolta nel settore della produzione e informazione scientifica del farmaco, nonché con l'esercizio della professione medica. Alle società di cui al comma 1 si applicano, per quanto compatibili, le disposizioni dell'articolo 8.» 

In precedenza, una regola di incompatibilità (solo) parzialmente simile era dettata all’art. 8, comma 1, della medesima legge, prevedendosi che «1. La partecipazione alle società di cui all'articolo 7, salvo il caso di cui ai commi 9 e 10 di tale articolo, è incompatibile:  

a) con qualsiasi altra attività esplicata nel settore della produzione, intermediazione e informazione scientifica del farmaco.»  

La nuova e più ampia previsione, dunque include ora tra le incompatibilità anche l’esercizio della professione medica e la cui necessità è originata dalla possibilità, introdotta nel 2017, che i soci non siano più farmacisti, laddove in precedenza (anche dopo il 1991) potevano ritenersi sufficienti – quanto all’esercizio della professione medica - i tradizionali divieti posti dal r.d. n. 1256 del 1934 (in specie agli artt. 102 e 112) dettati per i farmacisti persone fisiche titolari ovvero esercenti (da soli o in società di persone) di farmacia. Sono perciò esistenti a ben vedere, in due distinte e separate regole di incompatibilità. La prima, declinata in termini all’apparenza assoluti, definisce la partecipazione (societaria) alle società titolari di farmacie private incompatibile con qualsiasi altra attività svolta nel settore della produzione e informazione scientifica del farmaco, nonché con l'esercizio della professione medica; la seconda, declinata in termini in tesi meno assoluti, valorizzando l’inciso “per quanto compatibili”, fa rinvio alle disposizioni del successivo art. 8 che, per quanto più rileva in questa sede, definiscono quella medesima partecipazione (societaria) incompatibile, tra le altre cose, “con qualsiasi rapporto di lavoro pubblico e privato”. 

La distinzione tra queste due regole di incompatibilità – si ribadisce, preesistenti alla riforma del 2017, in quanto parti integranti della disciplina di settore, e che la riforma del 2017 ha mutuato ed “aggiornato”, riferendole ora ad ogni ipotesi di gestione in forma societaria – può forse spiegare l’apparente distonia tra due pronunce della Corte costituzionale che hanno esaminato questo specifico argomento, che le parti del presente giudizio richiamano, naturalmente da prospettive e con finalità differenti, nei loro scritti e che ricevono menzione anche nelle sentenze di primo grado e di appello. 

Per un verso, la sentenza, interpretativa di rigetto, n. 11 del 2020, della seconda regola ha dato una lettura evolutiva, in un caso nel quale l’incompatibilità era prospettata tra la partecipazione sociale tout court (ad una società di capitali titolare di farmacia privata) e la titolarità in capo al socio di una docenza universitaria, ed ha ritenuto rilevante una distinzione finendo per a seconda che la partecipazione sia in funzione del solo investimento del proprio risparmio (come nel caso all’origine del giudizio a quo) o comporti invece anche il concorso (attivo) nella gestione della società. 

Per altro verso, la sentenza, interpretativa di accoglimento di tipo additivo, n. 275 del 2003 (della quale non è fatta menzione nella n. 11 del 2020), che si era pronunciata in un caso riguardante una farmacia (non privata ma) comunale affidata ad una società mista il cui socio di maggioranza era una società di capitali già operante nel settore della distribuzione del farmaco, ed ha dichiarato allora l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, l. n. 362 del 1991 – nella versione vigente ratione temporis, già prima ricordata - nella parte in cui non prevedeva che la partecipazione a società di gestione di farmacie comunali fosse incompatibile con qualsiasi altra attività nel settore della produzione, distribuzione, intermediazione e informazione scientifica del farmaco. 

In questa seconda sentenza il ragionamento della Corte fece leva in particolare sul carattere “di divieto generale” dell’art. 102, r.d. 1265 del 1934, ribadito negli artt. 144, 170, 171 e 372, nonché nell’art. 13, l. 475 del 1968, nel loro insieme (tutti questi divieti e prescrizioni) riassunti e compendiati in quello disposto dall’ art. 8 della legge 362/1991 che, volto ad evitare eventuali conflitti di interesse che possano ripercuotersi negativamente sullo svolgimento del servizio farmaceutico, irragionevolmente si riferiva testualmente alle sole farmacie private e non anche a quelle comunali (sul tema v., anche, Cons. St. sez. V, n. 7336 del 2010).

  

Ha aggiunto l’Alto Consesso che punto cruciale attiene al rapporto tra la clinica privata e i medici che in essa (e per essa) svolgono la loro attività. Per quanto indubbiamente peculiare, in ragione della autonomia e libertà di cura del medico anche alla luce delle regole deontologiche di tale professione, tale rapporto vede pur sempre rispondere la struttura a titolo contrattuale per il comportamento dei medici della cui collaborazione si avvale per l’adempimento della propria obbligazione, ancorché possano non essere suoi dipendenti, comunque sussistendo un collegamento tra la prestazione da costoro effettuata e l’organizzazione aziendale della casa di cura, il che giustifica l’applicazione della regola posta dall’art. 1228 c.c. (come ribadito da ultimo dall’art. 7 della l. n. 24 del 2017). 

L’insieme di queste considerazioni debbono quindi condurre a ritenere che anche una persona giuridica, in particolare una clinica privata, possa considerarsi esercitare, nei confronti dei propri assistiti, la professione medica ai fini della previsione di cui all’art. 7, comma 2, secondo periodo, della l. 362/1991. 

Va precisato ancora come non si tratta di dare corso ad interpretazioni estensive o analogiche di cause o regole escludenti tassative, quanto, piuttosto, di privilegiare un’interpretazione funzionale e sistematica, coerente con la ratio ispiratrice della veduta regola di incompatibilità che mira ad evitare commistioni di interessi “tra medici che prescrivono medicine e farmacisti interessati alla vendita, in un'ottica di tutela del diritto alla salute di rango costituzionale” (così Cass. sez. III, n. 4657 del 2006, che richiama Cons. St., sez. IV, n. 6409 del 2004)  

La ratio, quella originaria, riconosciuta anche da Corte cost. n. 275/2003 – è quella di “evitare eventuali conflitti di interesse, che possano ripercuotersi negativamente sullo svolgimento del servizio farmaceutico e, quindi, sul diritto alla salute” e,- come si è visto, ha sempre caratterizzato la disciplina in materia, come una delle sue costanti o invarianti, attraversando le diverse “stagioni” della regolazione pubblica delle farmacie. Ciò è dimostrato anche dalle disposizioni penali che ancora puniscono il cd. reato di comparaggio, ossia l’accordo tra medici e farmacisti volti ad agevolare la diffusione di specialità medicinali o di altri prodotti ad uso farmaceutico (artt. 170 ss del r.d. 1265/1934), come anche dalle previsioni del codice deontologico medico. 

Oltre a questa prima ragione, più tradizionale ma sempre attuale, si possono rinvenire ulteriori ragioni ispiratrici, che giustificano e rafforzano il permanere, nella nuova dimensione economico-finanziaria delle farmacie, del divieto di commistione tra attività farmaceutica ed esercizio della professione medica, legate, per un verso, alla tutela della concorrenza e, per altro verso, al contenimento del consumo farmaceutico e della spesa sanitaria. 

Sul primo versante, il consentire ad una casa di cura, che offre prestazioni mediche composite e nel cui ambito si prescrivono medicinali, di partecipare ad una società che ha la titolarità di una farmacia e che come tale dispensa e rivende medicinali previa prescrizione medica, finirebbe per rendere possibile una integrazione verticale di beni ed attività con una potenziale confusione di ruoli tra domanda ed offerta, passibile di determinare privilegi ed abusi di posizione, oltre che conflitti di interesse. 

Sul secondo versante, il rischio è che la commistione tra le due attività in capo al medesimo centro decisionale – eludendo oltre tutto il vincolo dell’oggetto sociale che si vorrebbe esclusivo - possa determinare un esubero nel consumo farmaceutico, con evidenti riflessi anche sulla spesa pubblica (v. su tale aspetto, anche Corte Giust., Grande sez., 19 maggio 2009, in causa 531/06 al punto 57). 

8. Una volta rinvenuto nella fattispecie in esame l’elemento dell’esercizio della professione medica, ne consegue che sussiste l’incompatibilità di cui all’art. 7, comma 2, secondo periodo, nel senso che la casa di cura non può avere partecipazioni in una società titolare dell’esercizio della farmacia. Non può avere – giova precisare – alcuna partecipazione, ovvero non può esserne socio in nessun modo, senza che occorra distinguere in ragione della natura e della incidenza della singola partecipazione, essendo la disposizione di legge sufficientemente chiara nel legare questa incompatibilità alla partecipazione in quanto tale, nella misura in cui ad essa si correla comunque la prospettiva di ricavarne degli utili. 

Diversa può essere la conclusione, sulla scorta di Corte cost. n. 11 del 2020, al cospetto di incompatibilità differenti, segnatamente quella di essere il socio titolare di rapporti di lavoro pubblico o privato, rispetto a cui si può valorizzare la formula “per quanto compatibili” impiegata all’art. 7, comma 2, terzo periodo, senza della quale un’interpretazione rigorosamente letterale finirebbe per consentire la partecipazione solo (o quasi) a studenti, disoccupati o pensionati. 

Nella soluzione del caso di specie, invece, non sarebbe a rigore necessario stabilire a quali condizioni la società controllante possa dirsi coinvolta, per il tramite della controllata, nella “gestione della farmacia”. 

Tanto più che è evidente come il caso in esame coincida con il massimo del controllo societario ipotizzabile, avendo la casa di cura il controllo totalitario (ovvero il 100% del capitale) della società titolare della farmacia, essendo la prima unico socio della seconda. Si è quindi al cospetto di un fenomeno di riduzione della compagine sociale ad un solo soggetto “sovrano” che ne determina o comunque ne condiziona, attraverso l’organo amministrativo che egli (solo) nomina (e revoca), tutte le principali scelte. Un fenomeno così forte da rendere in questo caso non necessario il richiamo alla categoria dei gruppi di società e all’attività di direzione e coordinamento, concetti non del tutto coincidenti ma nella pratica (e anche nella previsione di legge, cfr. art. 2497 sexies c.c.) ricavabili a partire dalla nozione di controllo, interno od esterno, di cui all’art. 2359 c.c. 

Il carattere totalitario del controllo ravvisabile nel caso di specie fa passare in secondo piano anche ulteriori elementi, comunque rilevanti, quali l’identità soggettiva tra il legale rappresentante dell’una e dell’altra società, e la presenza, tra i soci della casa di cura e anche all’interno del suo consiglio di amministrazione, di medici (almeno) teoricamente in grado di esercitare la professione. 

Differentemente, in assenza di una società unipersonale e quindi di una partecipazione totalitaria, (ma sempre ragionando in relazione ad un diverso tipo di incompatibilità) dovrebbe assumere rilevanza una partecipazione che comunque permetta di concorrere nella gestione della farmacia, nel senso di influenzarne le scelte aziendali. Non rileverebbe quindi qualunque partecipazione sociale ma quella che possa dare al socio il controllo della società, nei modi gradatamente indicati dal citato art. 2359 e in presenza dei quali, come si è già osservato, opera la presunzione di direzione e coordinamento (ricavabile anche aliunde, in specie dall’essere la società tenuta al consolidamento del proprio bilancio). Soccorrono evidentemente le regole e gli istituti propri del diritto societario, nell’elaborazione offertane in primo luogo dalla giurisprudenza civile. Non è possibile offrire in questa sede soluzioni all’insegna dell’automatismo, apparendo imprescindibile la valutazione del singolo caso rimessa al prudente apprezzamento dell’amministrazione cui non a caso va comunicato, a norma dell’art. 8, comma 2, della l. 362/1991, lo statuto della società titolare della farmacia e “ogni successiva variazione, ivi incluse quelle relative alla compagine sociale”.


Anno di pubblicazione:

2022

Materia:

FARMACIA

Tipologia:

Focus di giurisprudenza e pareri