Incompatibilità ad essere nominato presidente di Tar monosezionale con incompatibilità di sede per rapporti di parentela o affinità con esercenti la professione forense

Incompatibilità ad essere nominato presidente di Tar monosezionale con incompatibilità di sede per rapporti di parentela o affinità con esercenti la professione forense


Magistrati – Magistrati amministrativi – Presidente Tar nonosezionale – Nomina – Magistrato con figlia che esercita la professione di avvocato presso il Tar – È incompatibile – Impegno a non esercitare più presso detto Tribunale – Irrilevanza ex se. 

    
​​​​​​​        È legittimo il diniego di nomina di Presidente di un Tar monosezionale, opposto dal Consiglio di Presidenza della Giustizia amministrativa al magistrato la cui figlia ha esercitato la professione di avvocato presso lo stesso Tar, con contenzioso ancora pendente, a nulla rilevando che la stessa abbia assunto l’impegno a non esercitare più presso detto Tribunale, essendo configurabile una presunzione assoluta di incompatibilità di sede per i presidenti di uffici giudiziari monosezionali, che non consente di pervenire alla soluzione per cui l’impegno personale dell’avvocato-congiunto di astenersi da ogni attività, anche stragiudiziale, nel campo del diritto amministrativo, dismettendo altresì gli incarichi già affidatigli, sia idonea a rimuovere lo stato di incompatibilità voluto dalla legge a tutela non solo della sostanza, ma anche della semplice apparenza dell’imparzialità e della terzietà del giudice, non meno importanti per la tranquilla fiducia che i cittadini debbono poter riporre nella giustizia (1). 

 

(1) Ha premesso la Sezione che l’art. 18 dell’Ordinamento giudiziario, di cui al r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, in tema di “incompatibilità di sede per rapporti di parentela o affinità con esercenti la professione forense”, è applicabile ai magistrati amministrativi in forza di quanto disposto dall’art. 28, l. 27 aprile 1982, n. 186. 
Questo art. 18 esordisce, al comma 1, con una disposizione di portata generale: «i magistrati giudicanti e requirenti delle corti di appello e dei tribunali non possono appartenere ad uffici giudiziari nelle sedi nelle quali i loro parenti fino al secondo grado, gli affini in primo grado, il coniuge o il convivente, esercitano la professione di avvocato». Il comma 2 indica tuttavia criteri di verifica della «ricorrenza in concreto dell’incompatibilità di sede». Questi criteri tengono in considerazione, tra l’altro, la rilevanza della professione forense svolta «avanti all'ufficio di appartenenza del magistrato, tenuto, altresì, conto dello svolgimento continuativo di una porzione minore della professione forense e di eventuali forme di esercizio non individuale dell'attività da parte dei medesimi soggetti»; le dimensioni dell’ufficio di appartenenza del magistrato (con particolare riguardo all’organizzazione tabellare); la materia trattata dal magistrato e dal professionista; la «funzione specialistica dell’ufficio giudiziario».
Si tratta, di massima, di criteri similari a quelli poi enucleati dalla (sintetica) circolare del Consiglio di Presidenza della Giustizia amministrativa approvata il 12 ottobre 2006, che ha rimesso alla valutazione discrezionale dell’organo di autogoverno le situazioni di incompatibilità ambientale alla luce delle dimensioni dell’ufficio e del foro locale, della natura della funzione esercitata dal magistrato (in particolare se ricopra funzioni direttive o semidirettive), del periodo di permanenza in sede, nonché del settore d’esercizio professionale dell’avvocato.
Lo stesso art. 18, ai commi 3 e 4, ha tuttavia posto regole più rigorose. Il comma 3 ha disposto che «ricorre sempre una situazione di incompatibilità con riguardo ai Tribunali ordinari organizzati in un’unica sezione […], salvo che il magistrato operi esclusivamente in sezione distaccata ed il parente o l’affine non svolga presso tale sezione alcuna attività o viceversa»; il comma 4 stabilisce poi che «i magistrati preposti alla direzione di uffici giudicanti o requirenti sono sempre in situazione di incompatibilità di sede ove un parente o affine eserciti la professione forense presso l’Ufficio dagli stessi diretto, salvo valutazione caso per caso per i Tribunali organizzati con una pluralità di sezioni per ciascun settore di attività civile e penale».
Si tratta di due disposizioni aventi un differente ambito, ma entrambe evidenzianti una riduzione del margine di valutazione discrezionale; l’una presume iuris et de iure l’incompatibilità nei Tribunali monosezionali (salva l’esistenza di una sezione distaccata); l’altra presume la situazione di incompatibilità per i magistrati preposti alla direzione di un ufficio giudiziario, salva l’articolazione in più sezioni per ciascun settore di attività civile e penale.
Dal descritto quadro normativo è inferibile una presunzione assoluta di incompatibilità di sede per i presidenti di uffici giudiziari monosezionali (tale è il Tribunale amministrativo regionale per le Marche) e non consente di pervenire alla soluzione per cui l’impegno personale dell’avvocato-congiunto di astenersi da ogni attività, anche stragiudiziale, nel campo del diritto amministrativo, dismettendo altresì gli incarichi già affidatigli, sia idonea a rimuovere lo stato di incompatibilità voluto dalla legge a tutela non solo della sostanza, ma anche – come da lungo tempo indica la migliore dottrina processualistica – della semplice apparenza dell’imparzialità e della terzietà del giudice, non meno importanti per la tranquilla fiducia che i cittadini debbono poter riporre nella giustizia: caratteristiche sulle quali, per il diritto eurounitario (art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea) e quello convenzionale (art. 6 Cedu), riposa un elemento connotativo essenziale del c.d. diritto al giudice, spettante in pari modo a tutti. Diversamente, si determinerebbe, e in via di mera interpretazione, un’alterazione della manifesta volontà della legge e una non consentita inversione della sua disciplina, deprivata del contenuto precettivo che le è proprio: e il naturale affidamento generale dei cittadini, cui si è accennato, si troverebbe fatalmente esposto a disorientamenti e incertezze. 
Si tratta, in definitiva, di una presunzione assoluta di incompatibilità che opera per categorie e che astrae dalla necessità di un concreto conflitto di interessi e perciò non prevede né ammette prove contrarie. 


Anno di pubblicazione:

2021

Materia:

ORDINAMENTO giudiziario

Tipologia:

Focus di giurisprudenza e pareri