Giurisdizione del giudice ordinario nella controversia avente ad oggetto il diniego rilascio della patente di guida per insussistenza dei requisiti morali

Giurisdizione del giudice ordinario nella controversia avente ad oggetto il diniego rilascio della patente di guida per insussistenza dei requisiti morali


Giurisdizione - Circolazione stradale – Patente di guida – Diniego – Poter mancanza requisiti morali – Impugnazione – Giurisdizione giudice ordinario.

          Rientra nella giurisdizione del giudice ordinario la controversia avente ad oggetto il diniego al rilascio della patente di guida per insussistenza dei "requisiti morali" previsti dall'art. 120 del d.lgs. n. 285 del 1992 (1).

 

(1) Ha chiarito il Tar che come nei casi speculari di revoca della patente già rilasciata, laddove le condizioni ostative vengano evidenziate in riferimento al rilascio del titolo abilitativo alla guida di veicoli a motore, il relativo diniego non è espressione di discrezionalità amministrativa, ma atto vincolato sia nel presupposto (esistenza della situazione richiamata), sia nel contenuto (impossibilità del rilascio della patente).

Tale orientamento giurisprudenziale appare allo stato da condividersi anche perché conforme alla giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, cui spetta pronunciarsi sulle questioni di giurisdizione, la quale ha più volte affermato che sussiste la giurisdizione del giudice ordinario in ordine alla contestazione degli atti con cui l'Amministrazione rileva la insussistenza dei "requisiti morali" previsti dall'art. 120, d.lgs. n. 285 del 1992 (Cass., Sez. Un., sentenze n. 22491 del 2010, n. 28239 del 2011, n. 2446 del 2006; n. 10406 del 2014, n. 8693 del 2005 e n. 7898 del 2003).

Va infine osservato che la giurisprudenza amministrativa ha affermato che anche con riferimento al diniego di ammissione all’esame di guida ai sensi dell’art. 219, comma 3-ter del Codice della Strada venga in rilievo una posizione di diritto soggettivo, non configurandosi alcuna spendita di poteri discrezionali dell’Amministrazione.

Secondo tale orientamento, la valutazione in ordine alla sussistenza o meno del requisito di cui al citato art. 219, comma 3 ter – assimilabile all’accertamento ex art. 120 del Codice della Strada - non contiene margini di discrezionalità, profilandosi quindi una posizione di diritto soggettivo al pari delle ipotesi di iscrizione negli albi o registri professionali laddove l’attività amministrativa si limita al solo riscontro formale dei presupposti determinati dalla legge (Tar Milano, sez. I, n. 1274 del 2015; Tar Lazio, n. 3817 del 2015; Tar Pescara n. 266 del 2013).

Le conclusioni appena raggiunte non sono state infine incise, quanto meno su di un piano sistematico, dalla sentenza della Corte costituzionale n. 22 del 2018, con cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 120, comma 2, d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, nella parte in cui – con riguardo all’ipotesi di condanna per reati di cui agli artt. 73 e 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 , che intervenga in data successiva a quella di rilascio della patente di guida – dispone che il prefetto «provvede», invece che «può provvedere», alla revoca della patente.

Innanzitutto, risulta rilevante che lo stesso Giudice delle leggi, nel dichiarare la manifesta inammissibilità per difetto di giurisdizione dell'ordinanza di rinvio emessa sulla medesima questione dal TAR Friuli Venezia-Giulia, abbia osservato che "per risalente e consolidata giurisprudenza della Corte di cassazione, giudice regolatore della giurisdizione, i provvedimenti adottati ai sensi dell’art. 120 cod. strada (incidenti su diritti soggettivi non degradabili ad interessi legittimi per effetto della loro adozione, né inerenti a materia riconducibile alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo) sono riservati, infatti, alla cognizione del giudice ordinario".

In secondo luogo, le motivazioni in base alle quali la Corte ha "trasformato" il potere del Prefetto da vincolato a discrezionale, nello specifico caso di revoca della patente a seguito di condanna penale in materia di stupefacenti, attengono al seguente, specifico duplice profilo:

1) il fatto che la norma ricollegava, in via automatica, il medesimo effetto (ovvero la revoca del titolo), ad una varietà di fattispecie "non sussumibili in termini di omogeneità, atteso che la condanna, cui la norma fa riferimento, può riguardare reati di diversa, se non addirittura di lieve, entità", reati che, per di più, possono essere assai risalenti nel tempo, rispetto alla data di definizione del giudizio;

2) la contraddizione esistente nella circostanza per cui – agli effetti dell’adozione delle misure di loro rispettiva competenza (che pur si ricollegano al medesimo fatto-reato e, sul piano pratico, incidono in senso identicamente negativo sulla titolarità della patente) – mentre il Giudice penale aveva la “facoltà” di disporre, ove lo ritenga opportuno, il ritiro della patente, il Prefetto aveva invece il “dovere” di disporne la revoca.

Ne consegue, pertanto, che la decisione della Corte costituzionale non ha affatto smentito l'assunto fondamentale della giurisdizione del giudice ordinario sulle controversie concernenti i provvedimenti adottati dal Prefetto in sede di applicazione dei primi due commi dell'art. 120, d.lgs. n. 285 del 1992 - assunto che è stato anzi ribadito dalla stessa Corte costituzionale, come visto -, ma ha semplicemente "corretto" la stortura legislativa (irragionevole e come tale contrastante con l'art. 3 Cost.) costituita dall'automatismo della revoca della patente in sede amministrativa sul mero presupposto di un'intervenuta condanna per il reato di stupefacenti (qualunque siano la modalità della condotta e il tempus commissi delicti), a fronte di una discrezionalità piena concessa al Giudice penale per analoga fattispecie.

In altri termini, per salvaguardare il parametro legale oggetto di lesione nel caso esaminato (art. 3 della Costituzione), il Giudice delle leggi ha creato una fattispecie autonoma (e connotata da discrezionalità amministrativa), all'interno di un sistema in cui il principio regolatore resta quello dell'adozione di provvedimenti che incidono su diritti soggettivi e che si limitano ad applicare, in via ordinaria, parametri oggettivi normativamente prestabiliti.

Tale fattispecie autonoma, connotata da evidenti profili di discrezionalità amministrativa, si pone dunque come eccezione alla regola e non come fonte di un criterio direttivo cui si devono conformare, anche in tema di giurisdizione, tutte le altre fattispecie contemplate dall'art. 120 del codice della strada, salvo l’effetto di ulteriori pronunce di incostituzionalità.


Anno di pubblicazione:

2019

Materia:

GIURISDIZIONE (in genere, amministrativa)

Tipologia:

Focus di giurisprudenza e pareri