Giurisdizione del giudice amministrativo nelle controversie aventi ad oggetto il monitoraggio e controllo delle attività delle strutture private accreditate

Giurisdizione del giudice amministrativo nelle controversie aventi ad oggetto il monitoraggio e controllo delle attività delle strutture private accreditate


Giurisdizione – Sanità – Struttura privata accreditata – Accreditamento - monitoraggio e controllo – Controversia - Giurisdizione del giudice amministrativo. 

 

     Rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo la controversia avente ad oggetti i provvedimenti che afferiscono al complesso procedimento di monitoraggio e controllo delle attività e prestazioni oggetto dei rapporti contrattuali intercorsi tra la regione e una struttura privata accreditata, non potendo l’individuazione del giudice competente dipendere a seconda che l’Amministrazione scelga di formalizzare gli esiti del controllo in un’apposita veste provvedimentale, ovvero di inserirli all’interno di apposite partite di dare/avere (1). 


 

1) Ha premesso la Sezione che i controlli di appropriatezza non esauriscono la loro funzione nella verifica dell’adempimento, da parte del soggetto convenzionato, alle obbligazioni derivanti a suo carico dal rapporto concessorio di accreditamento, ma sono volti a perseguire obiettivi, di pubblico interesse, di economicità nell’utilizzo delle risorse e di verifica della qualità dell’assistenza erogata, a tutela del diritto alla salute. Ed infatti, le disposizioni dell’art. 79, d.l. n. 112 del 2008, superando definitivamente la disciplina transitoria e sommaria della tariffazione forfettaria nell’ambito delle prestazioni sanitarie, in quanto inadeguata a garantire una efficiente ed imparziale allocazione delle risorse a tutela del diritto alla salute, garantiscono l’efficienza, l’economicità e l’appropriatezza del Sistema sanitario nazionale (Cons. Stato, sez. III, 10 agosto 2018, n. 4902).
La sezione ha aggiunto che si deve escludere che il carattere vincolato dell’attività svolta denoti ipso facto l’assenza, in capo alla P.A., di una posizione di supremazia, nonché la conseguente natura paritetica degli atti adottati dalla stessa P.A. nel rapporto con l’amministrato. 
La circostanza che il potere amministrativo sia vincolato – e cioè che il suo esercizio sia predeterminato dalla legge nell'an e nel quomodo – non trasforma il potere medesimo in una categoria civilistica, assimilabile ad un diritto potestativo, poiché l’Amministrazione esercita in questi casi una funzione di verifica, controllo, accertamento tecnico dei presupposti previsti dalla legge, quale soggetto incaricato della cura di interessi pubblici generali, esulanti dalla propria sfera patrimoniale: il potere vincolato, dunque, resta comunque espressione di “supremazia” o di “funzione”, con il corollario che dalla sua natura vincolata derivano conseguenze non sul piano della giurisdizione, ma su quello delle tecniche di tutela (si pensi al potere del giudice in sede di giudizio sul silenzio di pronunciarsi, ai sensi dell’art. 31, comma 3, c.p.a., sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio).
Del resto, che l’attività della P.A., per il solo fatto di essere vincolata, non cessi di essere attività autoritativa e di tradursi in atti aventi natura non già paritetica, bensì provvedimentale, sottoposti alla giurisdizione del G.A., emerge con chiarezza da molteplici istituti del diritto amministrativo. A mero titolo esemplificativo, si indicano i seguenti casi: a) la materia edilizia, connotata per larga parte dall’esercizio di attività vincolata che, non per questo, cessa di essere attività autoritativa, espressione di potestà pubblicistiche. Basti pensare, al riguardo, al permesso di costruire ed all’ordine di demolizione, atti vincolati aventi natura di provvedimenti amministrativi (sul permesso di costruire: Cons. Stato, sez. IV, 5 settembre 2016, n. 3805  sull’ordine di demolizione: Cons. Stato, sez. VI, 7 novembre 2019, n. 7603). La devoluzione della materia dell’edilizia alla giurisdizione esclusiva del G.A. ex art. 133, comma 1, lett. f), c.p.a., si spiega, del resto, proprio in ragione del carattere autoritativo e pubblicistico dei poteri esercitati dall’Amministrazione nella materia in esame, in coerenza con l’insegnamento della giurisprudenza costituzionale (Corte cost. n. 204 del 2004 e n. 191 del 2006); b) il già citato potere del G.A., in sede di giudizio sul silenzio, di pronunciarsi sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio, esercitabile, ai sensi dell’art. 31, comma 3, c.p.a., quando si tratti di atti vincolati, ovvero non residuino ulteriori margini di discrezionalità in capo alla P.A.: ciò, tenuto conto che il rimedio del rito del silenzio si applica in via esclusiva all’attività provvedimentale della P.A. (Cons. Stato, sez. III, 1 luglio 2020, n. 4204; id., sez. IV, 2 settembre 2019, n. 6048), essendo invece escluso tale rimedio quando si tratti di pretese fondate sull’esercizio di diritti soggettivi, ovvero per ottenere l’adempimento di obblighi convenzionali o, addirittura, la stipula di accordi contrattuali (Cons. Stato, sez. III, 26 ottobre 2015, n. 402); c) in terzo luogo, il dettato dell’art. 21-octies, comma 2, primo periodo, l. n. 241 del 1990, lì dove inibisce al giudice amministrativo l’annullamento dei provvedimenti adottati in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti, qualora, “per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.
A ciò si aggiunge che non mancano situazioni in cui, nei controlli di appropriatezza, la P.A. si trova a disporre di margini di discrezionalità tecnica, come nel caso in cui si contesti l’attribuzione ad una certa prestazione sanitaria di un DRG (raggruppamento omogeneo di diagnosi), in luogo di un altro, con i correlativi effetti sul piano del maggiore o minore esborso a carico della P.A.
Di tal ché anche da questo punto di vista emerge la riconducibilità della controversia alla giurisdizione amministrativa.
Ha ancora affermato la Sezione che attribuire la giurisdizione al giudice ordinario comporterebbe una segmentazione del procedimento di controllo in varie sotto-fasi ed alla conseguente frammentazione del contenzioso ad esso inerente in diversi plessi giurisdizionali, a seconda della sotto-fase che venga in considerazione, come appunto è avvenuto nel caso in esame, ciò che, però, secondo l’insegnamento della Corte regolatrice (Cass. civ., Sez. Un., 21 febbraio 2019, n. 5201; id. 12 dicembre 2012, n. 22782) contrasta con il principio di rango costituzionale di concentrazione della tutela, la cui vigenza nel processo amministrativo è esplicitata dall’art. 7, comma 7, c.p.a.. 
Né sarebbe ipotizzabile, nel caso di specie, una vis espansiva della giurisdizione ordinaria, a ciò ostando il dettato dell’art. 133, comma 1, lett. c), c.p.a., che, come già detto, riserva alla predetta giurisdizione, in deroga alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di concessioni di pubblici servizi, le sole controversie “concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi” e cioè le controversie di contenuto prettamente patrimoniale, che riguarda anche l’impugnazione degli atti che hanno definito i criteri del controllo, e, in ogni caso, involge le stesse modalità di esercizio dei poteri di controllo e gli esiti a cui questi sono approdati.
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Una diversa conclusione porterebbe la possibilità di abuso della strumentazione giuridica, quale è quello che potrebbe derivare dall’inserimento dei risultati di una tipica attività amministrativa (nel caso qui in esame, il controllo) e che partecipano della natura di tale attività, all’interno di atti recanti partite di dare/avere, al fine di attrarre ad una diversa giurisdizione la cognizione sulla suddetta attività e sui suoi esiti. Con il ché, si lascerebbe alla mercé dell’Amministrazione di decidere essa stessa il giudice deputato a conoscere dell’attività di controllo e dei suoi esiti, a seconda che l’Amministrazione scelga di formalizzare detti esiti in un’apposita veste provvedimentale, ovvero di inserirli all’interno di apposite partite di dare/avere, dando vita a quella che è stata criticamente definita dalla dottrina come “giurisdizione ballerina”, in violazione dei canoni costituzionali in tema di riparto della giurisdizione e dello stesso principio del giudice naturale precostituito per legge (e non lasciato alla libera disponibilità delle parti). ​​​​​​​


Anno di pubblicazione:

2020

Materia:

GIURISDIZIONE (in genere, amministrativa)

Tipologia:

Focus di giurisprudenza e pareri