Giudizio amministrativo sospeso riattivato d’ufficio in assenza del formale impulso di parte

Giudizio amministrativo sospeso riattivato d’ufficio in assenza del formale impulso di parte


Processo amministrativo – Sospensione del giudizio – Riavvio d’ufficio – Esclusione. 

​​​​​​​

          Qualora, dopo che è stata disposta la sospensione del giudizio, questo venga riavviato d’ufficio in assenza del formale impulso di parte ai sensi dell’art. 80, comma 1, c.p.a., si verifica – non diversamente dall’ipotesi in cui, al contrario, sia omessa la sospensione del giudizio in un caso in cui questa è necessaria a norma dell’art. 295 c.p.c. - una lesione del diritto di difesa idonea a determinare l’annullamento della sentenza con rinvio della causa al primo giudice ai sensi dell’art. 105 del medesimo codice (1). 

 

(1) Ha chiarito la Sezione che la sospensione necessaria del processo è istituto previsto dall’art. 295 c.p.c., oggi codificato nel processo amministrativo all’art. 79, comma 1, c.p.a., con specifica applicazione, in subiecta materia, del rinvio esterno di cui all’art. 39 c.p.a., e consegue all’ipotesi in cui il giudice stesso o altro giudice “deve risolvere una controversia, dalla cui definizione dipende la decisione della causa”. Essa costituisce un’eccezione al principio generale dell’autonomia dei giudizi che ormai informa l’intera giurisdizione, e proprio per tale ragione, determinando un arresto del giudizio che può risolversi in un allungamento, anche notevole, dei tempi processuali, deve essere interpretata in una «accezione restrittiva dei presupposti su cui si fonda» (Cons. Stato, sez. VI, 12 marzo 2012, n. 1386).

L’art. 295 c.p.c., dunque, postula non un mero collegamento tra due statuizioni emanande, ma un vincolo di stretta consequenzialità, tale per cui l’altro giudizio, oltre a coinvolgere le medesime parti, investe un indispensabile antecedente giuridico, la cui soluzione sia determinante, in tutto o in parte, con effetto di giudicato, per l’esito della causa da sospendere (Cons. Stato, sez. V, 15 febbraio 2007, n. 642).

Scopo della sospensione necessaria è dunque quello di evitare il contrasto di giudicati, assicurando l’uniformità delle decisioni (v. ex multis Cass. civ., sez. un., ord. 27 luglio 2004, n. 14060; sez. VI, ord. 29 luglio 2014, n. 17235, 8 febbraio 2012, n. 1865, 9 dicembre 2011, n. 26469, 18 febbraio 2011, n. 3059; Cons. Stato, sez. V, 17 febbraio 2016, n. 640; id., sez. IV, 18 novembre 2014, n. 5662; id., sez. VI, 12 marzo 2012, n. 1386).

Al di fuori di questa ipotesi la sospensione non è mai obbligatoria, perché, come debitamente evidenziato dalla Suprema Corte nella richiamata ordinanza del 27 luglio 2004, n. 14060, essa determina l’arresto del processo dipendente per un tempo indeterminato «e certamente non breve […] fino al passaggio in giudicato della decisione sulla causa pregiudiziale […] onde evitare il rischio di conflitto tra giudicati» (§ 5.1 della parte “in diritto”), così dilatando i tempi della decisione finale del giudizio e le aspettative ad una sua rapida definizione che le parti che si oppongono alla sospensione legittimamente possono vantare. 

Come chiarito da questo Consiglio di Stato (sez. IV, 14 maggio 2014, nn. 2483 e 2484), la pregiudizialità necessaria si pone tra rapporti giuridici diversi, collegati in modo tale per cui la situazione giuridica della causa pregiudiziale si pone come elemento costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo del distinto rapporto dedotto nella causa dipendente, la cui esistenza è dunque necessariamente presupposta dalla prima. 

Nel caso di specie, dunque, il giudice di prime cure ha ritenuto di trovarsi al cospetto di tale tipologia di collegamento tra l’azione di accertamento dei confini lacuali e la valutazione di legittimità del diniego di condono che trova il suo unico presupposto motivazionale nel mancato rispetto della distanza da tali confini. 

La sospensione di cui all’art. 295 c.p.c. va disposta, secondo il c.p.a., con ordinanza, dichiarata appellabile: in un’ottica di ragionevole durata del processo, infatti, non vi è più spazio per una scelta di sospensione non ex lege sottratta ad ogni successivo sindacato. La giurisprudenza amministrativa anteriore al c.p.a., cui occorre piuttosto fare riferimento ratione temporis, aveva invece negato tale impugnabilità dell’ordinanza de qua, sulla base della sua affermata natura non decisoria (Cons. Stato, sez. V, 10 maggio 2010, n. 2768).

La riattivazione del processo sospeso, trova oggi una regolamentazione propria e autonoma rispetto a quella processualcivilistica nell’art. 80, comma 1, c.p.a. che non opera alcuna distinzione tra cause di sospensione, così recependo quell’indirizzo giurisprudenziale, prevalente nel vigore della legge processuale anteriore, che facendo applicazione analogica, ma in maniera chirurgica, degli artt. 297 c.p.c. e 367 c.p.c., richiedeva e nel contempo riteneva bastevole una mera istanza di fissazione dell’udienza entro sei mesi dalla conoscenza legale che era cessata la causa di sospensione (Cons. Stato, sez. VI, 15 giugno 2009, n. 3829). Anche in passato, dunque, non si è mai revocata in dubbio la necessità di un’iniziativa di parte per superare il temporaneo stallo del procedimento, salvo discutersi circa la forma di tale iniziativa, ora individuata nella mera istanza di fissazione dell’udienza ora in quella anche di riassunzione, ovvero sulla tempistica della sua proposizione e sull’esatta individuazione del dies a quo per il relativo computo (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 9 ottobre 2002, n. 5634; id., 17 febbraio 2000, n. 911). Con ciò non consentendosi comunque, rileva la Sezione, un’iniziativa d’ufficio se non funzionale alla declaratoria di perenzione, men che meno a prescindere dall’avvenuto superamento della causa di sospensione (nel caso di specie, la definizione del procedimento per l’accertamento dei confini lacuali). 


Anno di pubblicazione:

2020

Materia:

GIUSTIZIA amministrativa

Tipologia:

Focus di giurisprudenza e pareri