Eliminazione della prescrizione medica per la pillola dei cinque giorni dopo anche per le donne minorenni

Eliminazione della prescrizione medica per la pillola dei cinque giorni dopo anche per le donne minorenni


Farmaci - Pillola dei cinque giorni dopo – Eliminazione della prescrizione medica anche per donne minori di anni diciotto – Legittimità. 

     E’ legittima la determina con la quale l’Aifa ha modificato il regime di fornitura del medicinale “EllaOne”, comunemente noto come “pillola dei cinque giorni dopo”, eliminando la necessità di ottenere una prescrizione medica per la sua assunzione anche nei riguardi delle donne minori di anni diciotto, non ponendosi l’eliminazione della prescrizione medica in contrasto da un lato con il diritto del minore ad una corretta informazione (non essendo sufficiente il foglio illustrativo di accompagnamento), dall’altra, con il diritto dei titolari della responsabilità genitoriale ovvero di chi ne fa le veci a sostituirsi al minore – pur tenendo in considerazione la sua volontà – in relazione all’età, al grado di maturità, avendo come scopo la tutela della salute psicofisica e della vita del minore nel pieno rispetto della sua dignità (1). 


 

(1) Preliminarmente la Sezione ha richiamato i propri precedenti (21 aprile 2021, n. 3185; 13 aprile 2018, n. 2229) per confermare la competenza dell’Aifa nel decidere i criteri in ordine alle prescrizioni dei farmaci per i quali ha rilasciato l’autorizzazione al commercio. Si tratta di competenza che - al pari di quelle relative al rilascio dell'autorizzazione all'immissione in commercio di medicinali, alla loro classificazione, alle relative indicazioni terapeutiche (e, quindi, all'equivalenza terapeutica con altri farmaci), alla determinazione dei prezzi, al regime di rimborsabilità ed al monitoraggio del loro consumo – è da considerare  esclusiva, nel senso che le suddette funzioni (legislative ed amministrative) spettano solo all'Autorità statale, restando preclusa alle Regioni la previsione di un regime di utilizzabilità e di rimborsabilità contrastante ed incompatibile con quello stabilito in via generale dall'Aifa a livello nazionale. 

 

Ha chiarito la Sezione che la definizione di trattamento sanitario non trova un addentellato normativo – almeno specifico e riferibile al caso di specie - e non può che essere, quindi, ricostruita utilizzando i criteri ermeneutici, facendo riferimento all’inquadramento del diritto alla salute ai sensi dell’art. 32 Cost. e alla nozione di trattamento sanitario obbligatorio.  

Punto di partenza nell’analisi è rappresentato senza dubbio dall’art. 32 della Costituzione a mente del quale “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”.  

Diritto alla salute è, tra l’altro, diritto all’integrità psico-fisica, diritto a vivere in un ambiente salubre, diritto a fruire delle prestazioni sanitarie, gratuite per gli indigenti, diritto a non ricevere trattamenti sanitari, se non di carattere obbligatorio, volti a tutelare non solo il destinatario ma soprattutto la collettività, come nel caso degli interventi effettuati per la salute mentale. A tale proposito, infatti, la legge dedica specifica attenzione alla disciplina in tema di trattamento sanitario obbligatorio che, per gli interessi coinvolti, merita un bilanciamento e una più approfondita analisi. Ciò nonostante, neppure la legge istitutiva del sistema sanitario nazionale definisce, in via generale, il trattamento sanitario.  

L’art. 33, l. 23 dicembre 1978, n. 833 prevede che i “gli accertamenti ed i trattamenti sanitari sono di norma volontari”, senza però specificare che cosa sia accertamento e che cosa sia trattamento sanitario. Pur senza definizione, la legge colloca il trattamento sanitario in connessione costante con il concetto di “cura”, benessere psico-fisico. In tale contesto, mancando una definizione utile ai fini della presente fattispecie, per “trattamento sanitario” deve quindi intendersi ogni attività prodromica alla tutela della salute intesa, in senso lato, come benessere psico-fisico. Più specificatamente, anche utilizzando un criterio di natura letterale, per trattamento sanitario deve intendersi ogni atto prescritto da personale sanitario, sia esso diagnostico ovvero terapeutico.  

Ad avviso della Sezione, quindi, correttamente il Giudice di prime cure ha escluso la dispensazione delle specialità medicinali e dei farmaci da banco – quindi non soggetti alla prescrizione medica - dal novero dei trattamenti sanitari in senso stretto che coinvolgono tutta una serie di questioni specifiche, tra cui quella del consenso e più in generale della relazione tra medico e paziente. Peraltro, una lettura costituzionalmente orientata della disciplina del consenso informato che - si ribadisce, non viene in rilievo nel caso di specie – impone comunque la protezione del diritto alla vita, alla salute, alla dignità e all'auto-determinazione della persona, diritto quest’ultimo che sarebbe esposto al concreto rischio di frustrazione nel caso in cui si pretendesse, limitatamente al caso di specie - che attiene alla libertà sessuale e, più in generale, alla sfera privata - la necessità del consenso dei genitori o dei tutori. 

 

Passando al merito della decisione dell’Aifa di escludere la prescrizione medica per le giovani donne minorenni, La Sezione rileva che dagli studi scientifici che sono stati alla base della determina risulta che il farmaco “ElleOne” non deve essere confuso con il regime farmacologico usato per l’interruzione volontaria della gravidanza. Il meccanismo d’azione del farmaco è antiovulatorio, vale a dire che agisce prima dell’impianto dell’embrione. Nessuna violazione della normativa sull’interruzione volontaria di gravidanza è quindi configurabile 


Anno di pubblicazione:

2022

Materia:

SANITÀ pubblica e sanitari

Tipologia:

Focus di giurisprudenza e pareri