Disciplina del finanziamento dell’Autorità di regolazione dei trasporti e individuazione dei presupposti oggettivi

Disciplina del finanziamento dell’Autorità di regolazione dei trasporti e individuazione dei presupposti oggettivi


Autorità amministrative indipendenti - Autorità di regolazione dei trasporti – Contribuzione - Categorie tenute al finanziamento – Individuazione. 
 

      Sono assoggettabili a contribuzione in favore di ART i gestori i concessionari autostradali, a prescindere dalla data di affidamento dei relativi atti concessori, potendo, dunque, influire, altresì, sulle concessioni già assentite alla data della sua istituzione; invece, in disparte gli operatori economici già incisi in quanto ricompresi nella previgente nozione di ‘gestori delle infrastrutture e dei servizi regolati’, tutte le altre imprese possono ritenersi assoggettabili a contributo solo dal momento in cui, a seguito della modifica normativa, il contributo è diventato concretamente esigibile dalle imprese di categoria, ossia dall’anno 2019 (1). 

 

(1) Ha ricordato la Sezione che la disposizione in tema di finanziamento della Autorità di regolazione dei trasporti (ART) è contenuta nel comma 6, lett. a) e b), dell’art. 37, d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito in l. 22 dicembre 2011, n. 214. Mentre la lett. a) prevedeva un regime transitorio di finanziamento, limitato alla sola fase di avvio dell’ART e caratterizzato dal trasferimento una tantum di risorse erariali, il finanziamento a regime è stato regolato dalla successiva lettera b).
La disposizione, nella sua formulazione originaria, prevedeva che l’ART facesse fronte alle proprie spese “mediante un contributo versato dai gestori delle infrastrutture e dei servizi regolati, in misura non superiore all'uno per mille del fatturato derivanti dall'esercizio delle attività svolte percepiti nell'ultimo esercizio. Il contributo è determinato annualmente con atto dell'Autorità, sottoposto ad approvazione da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze. Nel termine di trenta giorni dalla ricezione dell'atto, possono essere formulati rilievi cui l'Autorità si conforma; in assenza di rilievi nel termine l'atto si intende approvato”.
In questo senso, il legislatore ha tendenzialmente uniformato l’ART alle altre autorità indipendenti, che parimenti vedono l’autofinanziamento come modalità esclusiva di copertura dei costi, previsto per quelle di regolazione dei servizi di pubblica utilità (ARERA e AGCOM) già dall’articolo 2, comma 38, lettera b), l. n. 481 del 1995, poi esteso a CONSOB, ANAC e COVIP dall’articolo 1, comma 65, l. 23 dicembre 2005, n. 266 e, da ultimo, all’AGCM (art. 5-bis, d.l. n. 1 del 2012). Inoltre, per le Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità ivi espressamente nominate la legge n. 266 del 2005 ha previsto un sistema di contribuzione applicato ai “mercati di competenza” (art. 1, commi 65 e 68-bis), in quanto ambiti interessati dai poteri di intervento delle Autorità, così superando la disposizione della l. n. 481 del 1995, riferita ai soli “soggetti esercenti i servizi” (disposizione invece rimasta a regolare fino al decreto c.d. decreto legge Morandi d.l. 28 settembre 2018, n. 109, convertito con modificazioni dalla l. 16 novembre 2018, n. 130 il contributo dell’ART ).
In merito poi alla qualificazione giuridica del contributo, è da tener presente la posizione della Corte costituzionale, espressa con sentenza 6 luglio 2007, n. 256 con riferimento alla stessa spettanza dall’ANAC (già AVCP), che ne ha individuato la natura di entrata tributaria in quanto caratterizzato dalla doverosità della prestazione, in assenza di un rapporto sinallagmatico rispetto ai servizi resi; dal collegamento con una spesa pubblica; e dal riferimento a un presupposto economicamente rilevante.
Con riferimento alla quantificazione del contributo, con sentenza 7 aprile 2017, n. 69 la Corte ha richiamato il proprio orientamento sull’inquadramento del contributo quale prestazione patrimoniale imposta e come tale soggetto alla riserva di legge prevista dalla detta disposizione. Esaminando i temi sottoposti al suo sindacato, la Corte si è sostanzialmente soffermata sulla compatibilità costituzionale delle disposizioni rispetto, da un lato, all’articolo 23, per verificare il rispetto della riserva di legge e della sufficiente definizione degli elementi della contribuzione da parte della normativa primaria; e dall’altro, all’art. 3, per verificare l’eguaglianza della contribuzione.
Sul tema dell’individuazione dei soggetti obbligati, la Corte costituzionale ha affermato (punto 7.3) che “la stessa disposizione fa riferimento ai ‘gestori delle infrastrutture e dei servizi regolati’, ossia a coloro nei confronti dei quali l’ART abbia effettivamente posto in essere le attività (specificate al comma 3 dell’art. 37) attraverso le quali esercita le proprie competenze (enumerate dal comma 2 del medesimo articolo). Dunque, la platea degli obbligati non è individuata, come ritiene il rimettente, dal mero riferimento a un’ampia, quanto indefinita, nozione di ‘mercato dei trasporti’ (e dei ‘servizi accessori’); al contrario - come può ben essere per scelta insindacabile del legislatore tributario al quale, ovviamente, va notato in consonanza a quanto statuito dal giudice delle leggi, solo spetta l’individuazione astratta dei soggetti passivi del tributo in ossequio al principio cardine del diritto costituzionale no taxation without representation - deve ritenersi che includa solo coloro che svolgono attività nei confronti delle quali l’ART ha concretamente esercitato le proprie funzioni regolatorie istituzionali”.
In merito poi ai risvolti procedurali della quantificazione del contributo, sempre la Corte ha evidenziato l’assenza di profili critici, in quanto la dialettica tra le istituzioni interessate (ART, Presidenza del Consiglio, MEF) consente una valutazione ponderata delle delibere sul contributo in quanto “L’intervento del Presidente del Consiglio e del Ministro dell’economia e delle finanze costituisce un significativo argine procedimentale alla discrezionalità dell’ART e alla sua capacità di determinare da sé le proprie risorse” e si è anche sottolineato il momento partecipativo, dato dal coinvolgimento delle associazioni di categoria.
In relazione all’entità del contributo e al suo perimetro, la Corte ha poi notato come questi siano stati determinati in modo sufficiente dalla norma primaria in senso proporzionato e ragionevole. Infatti, “Quanto alla misura delle risorse per il cui approvvigionamento l’Autorità si avvale del contributo oggetto del giudizio, essa non può ritenersi illimitata ovvero rimessa alla determinazione unilaterale dell’Autorità. La loro entità è correlata alle esigenze operative dell’ART e corrisponde al fabbisogno complessivo della medesima, risultante dai bilanci preventivi e dai rendiconti della gestione, soggetti al controllo della Corte dei conti e pubblicati nella Gazzetta Ufficiale (…) Limiti più specifici sono poi stabiliti da singole disposizioni di legge, anch’essi soggetti a controllo”.
Venendo poi al presupposto della tassazione, si è infine affermato che “Per quanto, poi, riguarda l’identificazione del ‘fatturato’ come base imponibile per la determinazione del contributo da parte dei soggetti obbligati (…) si può osservare che la nozione in esame, utilizzata anche in altri luoghi dell’ordinamento, ben si presta a essere precisata, con riguardo allo specifico settore di riferimento, in base a criteri tecnici di carattere economico e contabile”.
In applicazione dei principi derivanti dalla sentenza n. 69 del 2017 della Corte costituzionale, l’ART ha approvato la delibera n. 75/2017 al fine di riparametrare le proprie competenze e le attività concretamente alla lettura fattane dal giudice delle leggi.
La delibera de qua determinava anch’essa un contenzioso amministrativo, complesso e articolato in relazione alle diverse posizioni delle singole categorie imprenditoriali incise dal prelievo.
Nelle more dei detti giudizi, interveniva peraltro una ulteriore riforma, data dal d.l 28 settembre 2018 n.109, convertito con modificazioni dalla l. 16 novembre 2018, n. 130 “Disposizioni urgenti per la città di Genova, la sicurezza della rete nazionale delle infrastrutture e dei trasporti, gli eventi sismici del 2016 e 2017, il lavoro e le altre emergenze” dove, con l’art. 16 “Competenze dell'Autorità di regolazione dei trasporti e disposizioni in materia di tariffe e di sicurezza autostradale”, si modifica il d.l. 6 dicembre 2011, n. 201 il cui art. 37, comma 6, lettera b), il primo periodo è così sostituito: "mediante un contributo versato dagli operatori economici operanti nel settore del trasporto e per i quali l’Autorità abbia concretamente avviato, nel mercato in cui essi operano, l'esercizio delle competenze o il compimento delle attivita' previste dalla legge, in misura non superiore all'1 per mille del fatturato derivante dall'esercizio delle attività svolte percepito nell'ultimo esercizio, con la previsione di soglie di esenzione che tengano conto della dimensione del fatturato. Il computo del fatturato è effettuato in modo da evitare duplicazioni di contribuzione".
A seguito di tale modifica, l’ART adottava una nuova delibera, la n. 141 del 19 dicembre 2018 (la “Delibera”), recante “Misura e modalità di versamento del contributo dovuto all’Autorità di regolazione dei Trasporti per l’anno 2019”, adeguandosi alla disciplina sopravvenuta 

 

Ha ancora chiarito la Sezione, in merito all’inquadramento delle categorie imprenditoriali nei due diversi schemi normativi dei ‘gestori delle infrastrutture e dei servizi regolati’ e degli ‘operatori economici operanti nel settore del trasporto’, come l’intervento normativo del 2018 abbia dato vita ad un oggettivo ampliamento della platea delle imprese tenute alla contribuzione; infatti, mentre, fino al d.l. 28 settembre 2018, n. 109 (e quindi fino all’esercizio finanziario 2018) la contribuzione era in carico unicamente a soggetti gestori, successivamente l’onere viene a ricadere anche sui meri operatori economici. 
In questo senso, deve essere meglio vagliato il significato della citata sentenza n. 69 del 2017 della Corte costituzionale ai fini del presente giudizio. La pronuncia in esame è inseribile nel novero delle sentenze interpretative di rigetto, quelle in cui il giudice delle leggi utilizza una modalità della tecnica del sindacato di costituzionalità che consente di reinterpretare la norma impugnata, plasmandone il contenuto in termini compatibili con la Carta costituzionale ed evitando, così, che una dichiarazione di incostituzionalità produca una lacuna nell'ordinamento.
In questi casi, il vincolo che deriva, sia per il giudice a quo sia per tutti gli altri giudici comuni, da una sentenza interpretativa di rigetto, resa dalla Corte costituzionale, è soltanto negativo, consistente cioè nell'imperativo di non applicare la norma ritenuta non conforme al parametro costituzionale evocato e scrutinato dalla Corte costituzionale, così da non ledere la libertà dei giudici di interpretare ed applicare la legge, ai sensi dell'art. 101 Cost., comma 2, non essendo preclusa la possibilità di seguire, nel processo a quo o in altri processi, terze interpretazioni ritenute compatibili con la Costituzione, oppure di sollevare nuovamente, in gradi diversi dello stesso processo a quo o in un diverso processo, la questione di legittimità costituzionale della medesima disposizione, sulla base della interpretazione rifiutata dalla Corte costituzionale - eventualmente evocando anche parametri costituzionali diversi da quello precedentemente indicato e scrutinato (da ultimo, Cass. civ., sez. IV, 9 luglio 2020, n. 14632).
Il contenuto vincolante, nel senso negativo sopra vagliato, della sentenza n. 69 del 2017 sta quindi nell’impedire che, anche portata ai suoi massimi confini applicativi, la disposizione contrasti con i dettati costituzionali. 
E tale contrasto non si verifica quando il soggetto passivo ulteriore sia individuato con riferimento alla legalità procedurale ma non intesa come regolazione di un ambito di mercato (ossia presenza di una regolazione di cui si sia meri beneficiari) ma come concreto e diretto indirizzamento di un atto di regolazione ad un operatore o ad una categoria di operatori del vasto mercato dei trasporti.
Questo il delicato punto di equilibrio raggiunto dal giudice delle leggi. 

Nell’ambito di tale recinto, tuttavia, resta del tutto possibile, e dovuta, l’interpretazione del testo quale derivante dal suo contenuto conformativo che, come si è detto, fa riferimento unicamente a soggetti gestori di servizi regolati, restando fermo che tale recinto (in fondo connotato da una certa innominatività) possa estendersi solo a fronte di una concreta prova di imposizione di obblighi a specifiche categorie di operatori di un mercato peraltro molto differenziato, vasto ed eterogeneo (il resto fisiologicamente spettando al legislatore poi puntualmente intervenuto a conferma della imperfezione – non dell’incostituzionalità - della disciplina pregressa).
Conclusivamente, deve ritenersi che, fino all’ampliamento categoriale determinato dal d.l. 109 del 2018, pur rientrando concettualmente nelle tipologie imprenditoriali astrattamente assoggettabili (a certe condizioni ossia essere destinatari di atti di regolazione non meri beneficiari della stessa) a contribuzione in favore di ART, gli ‘operatori economici operanti nel settore del trasporto’ diversi dai ‘gestori delle infrastrutture e dei servizi regolati’ non fossero soggetti al contributo de qua e che solamente dopo la riforma del 2018 il contributo in favore di ART sia divenuto esigibile anche nei loro confronti.
La Sezione ha quindi concluso nel senso che i gestori i concessionari autostradali sono assoggettabili a contribuzione in favore di ART. L’art. 37, comma 2, d.l. 6 dicembre 2011, n. 201 alla lett. g), prevede, “con particolare riferimento al settore autostradale”, il potere di “stabilire per le nuove concessioni sistemi tariffari dei pedaggi basati sul metodo del price cap, con determinazione dell'indicatore di produttività X a cadenza quinquennale per ciascuna concessione; a definire gli schemi di concessione da inserire nei bandi di gara relativi alla gestione o costruzione; a definire gli schemi dei bandi relativi alle gare cui sono tenuti i concessionari autostradali per le nuove concessioni; a definire gli ambiti ottimali di gestione delle tratte autostradali, allo scopo di promuovere una gestione plurale sulle diverse tratte e stimolare la concorrenza per confronto”.
Al riguardo, emerge che le disposizioni dettate dalla lett. g) risultavano esemplificative, in relazione al settore autostradale, di taluni dei poteri già esercitabili dall’ART sulla base della lett. a), riguardante la regolamentazione dell’accesso a tutte le infrastrutture di trasporto, ivi comprese, dunque, le reti autostradali (salve rimanendo le competenze dell'Agenzia per le infrastrutture stradali e autostradali).
Una diversa interpretazione, volta ad intendere la locuzione “particolare” di cui alla lett. g), anziché in termini esemplificativi, come una limitazione degli obiettivi generali dell’attività di regolamentazione -con l’effetto di limitare le competenze regolatorie in materia di infrastrutture autostradali ai soli poteri declinati dalla lett. g)- non parrebbe compatibile con la lettera della disposizione, il contesto in cui è inserita e la finalità di protezione sottesa alla sua previsione.
Sotto un profilo letterale, la locuzione “particolare” pone un rapporto di specialità tra due proposizioni, individuando una species del genus degli obiettivi di tutela all’uopo perseguibili, in tale modo chiarendo che rientrano nel genus degli obiettivi assegnati alla cura dell’Autorità anche (e non solo) le finalità espressamente indicate con particolare riguardo al settore autostradale.
Sotto il profilo sistematico, si osserva che la competenza in materia autostradale risulta espressamente prevista anche nella lett. a) del medesimo comma, che attribuisce all’Autorità il potere di garantire, secondo metodologie che incentivino la concorrenza, l'efficienza produttiva delle gestioni e il contenimento dei costi per gli utenti, le imprese e i consumatori, condizioni di accesso eque e non discriminatorie (altresì) alle reti autostradali; non potendo, pertanto, limitarsi la competenza in materia di infrastrutture autostradali ai soli poteri elencati alla lett. g), cit.
Tenuto conto dell’elemento teleologico, l’accoglimento dell’interpretazione estensiva, volta a consentire l’esercizio di competenze non limitate a quelle delineate dalla lett. g) del comma 2 risponde all’esigenza di tutela sottesa all’istituzione dell’ART, ente chiamato ad operare in piena autonomia e con indipendenza di giudizio e di valutazione nell’intero settore dei trasporti e dell'accesso alle relative infrastrutture e ai servizi accessori, come espressamente previsto dall’art. 37, comma 1, D.L. n. 201/11 cit.; il che permette di configurare un’Autorità amministrativa indipendente titolare di un’ampia competenza regolatoria in relazione a tutte le tipologie di infrastrutture, ivi comprese quelle autostradali.
​​​​​​​Ne deriva che, non esaurendo l’art. 37, comma 2, lett. g), cit. le competenze dell’Autorità in materia autostradale, il riferimento ivi recato alle “nuove concessioni” non potrebbe comunque operare come limite all’esercizio delle funzioni regolatorie esercitabili sulla base di distinte previsioni normative. 


Anno di pubblicazione:

2021

Materia:

AUTORITÀ amministrative indipendenti, AUTORITÀ di regolazione dei trasporti

Tipologia:

Focus di giurisprudenza e pareri