Diniego di riconoscimento della qualifica di perseguitata razziale per la tenera età che l’istante aveva all’epoca della persecuzione

Diniego di riconoscimento della qualifica di perseguitata razziale per la tenera età che l’istante aveva all’epoca della persecuzione


Discriminazioni – Persecuzione razziale -  Riconoscimento status – Diniego - Per tenera età durante la persecuzione – Illegittimità – Fattispecie.

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     E’ illegittimo il provvedimento con cui la Commissione per le provvidenze ai perseguitati politici antifascisti o razziali, istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, ha negato il riconoscimento della qualifica di perseguitata razziale ai sensi della l. n. 541 del 1971 per la tenera età avuta all’epoca della persecuzione dalla istante, e ciò in quanto proprio il fatto che l’istante fosse di tenera età durante il nascondimento della sua famiglia per motivi razziali, aggrava (e non esclude) il suo status di perseguitata (1).

 

(1) Ha ricordato la Sezione che in materia di riconoscimento delle provvidenze economiche ai perseguitati dalle leggi razziali, nella prospettiva di riparare – per quanto possibile - i pregiudizi arrecati dal regime fascista e dalle leggi persecutorie e razziali promulgate durante quel periodo, lo Stato italiano ha emanato una serie di leggi volte a conferire in favore di taluni soggetti alcune provvidenze economiche riparatrici.
In ordine di tempo, è stata emanata la l. 24 maggio 1970, n. 336, recante “Norme a favore dei dipendenti civili dello Stato ed Enti pubblici ex combattenti ed assimilati”. La materia è stata poi disciplinata con il d.l. 8 luglio 1974, n. 261, convertito con modificazioni dalla l. 14 agosto 1974, n. 355 “Modificazioni alla legge 24 maggio 1970, n. 336, concernente norme a favore dei dipendenti dello Stato ed enti pubblici, ex combattenti ed assimilati”. Successivamente, lo Stato italiano ha esteso (con un articolo unico contenuto nella l. 8 luglio 1971, n. 541) le provvidenze previste in favore degli ex combattenti, anche agli ex deportati e agli ex perseguitati, sia politici che razziali, in quanto categorie di soggetti ritenute del tutto assimilabili tra di loro. Infine, il legislatore si è dato cura di ampliare ancora i confini soggettivi della normativa in questione, prevedendo, all’art. 1, l. 16 gennaio 1978, n. 17 - “Norme di applicazione della l. 8 luglio 1971, n. 541, recante benefici agli ex deportati ed agli ex partigiani, sia politici che razziali, assimilati agli ex combattenti”, che “la qualifica di ex perseguitato razziale compete anche ai cittadini italiani di origine ebraica che, per effetto di legge oppure in base a norme o provvedimenti amministrativi anche della Repubblica sociale italiana intesi ad attuare discriminazioni razziali, abbiano riportato pregiudizio fisico o economico o morale. Il pregiudizio morale è comprovato anche dalla avvenuta annotazione di "razza ebraica" sui certificati anagrafici”.
L’estensione soggettiva dell’ambito di applicazione ha consentito, con quest’ultima previsione, di beneficiare non soltanto i dipendenti civili ex combattenti e gli ex partigiani assimilabili ai combattenti, ma anche quanti, purché cittadini italiani di origine ebraica, avessero subito discriminazioni razziali o avessero riportato pregiudizio fisico o economico o morale, per effetto delle leggi razziali dell’epoca o di provvedimenti amministrativi o di interpretazioni basati sulle leggi dell’epoca.
L’art. 1, l. 16 gennaio 1978, n. 17 introduce particolari “Norme di applicazione della l. 8 luglio 1971, n. 541, recante benefici agli ex deportati ed agli ex partigiani, sia politici che razziali, assimilati agli ex combattenti”, e prevede che “la qualifica di ex perseguitato razziale compete anche ai cittadini italiani di origine ebraica che, per effetto di legge oppure in base a norme o provvedimenti amministrativi anche della Repubblica sociale italiana intesi ad attuare discriminazioni razziali, abbiano riportato pregiudizio fisico o economico o morale.
Il pregiudizio morale è comprovato anche dalla avvenuta annotazione di "razza ebraica" sui certificati anagrafici
”.
Più in particolare, tali disposizioni recano un’estensione soggettiva della platea dei soggetti destinatari delle provvidenze economiche di cui alla l. n. 541 del 1971; introduce un concetto giuridico indeterminato, ossia quello dell’avere riportato “pregiudizio fisico o economico o sociale”; tipizza un caso di pregiudizio, ossia quello dell’essere stato annotato, nel certificato anagrafico, come appartenente alla razza ebraica.
L’estensione dei beneficiari delle provvidenze ai ‘cittadini italiani di origine ebraica’ che ‘abbiano riportato pregiudizio fisico o economico o morale’ si spiega per il fatto che con le leggi razziali lo Stato italiano è venuto meno alla prima delle ragioni stesse che giustificano l’esistenza dello Stato, che è quella di essere il guardiano dei diritti fondamentali dei propri consociati, non quella di essere l’artefice di atti persecutori che lasciano tracce indelebili nei sopravvissuti.
Da queste premesse, la Sezione ha tratto le seguenti considerazioni: a) la l. n. 17 del 1978, che è il titolo giuridico della pretesa economica invocata dalla richiedente, ha un’intrinseca ratio iuris di favore, perché è volta all’estensione di provvidenze economiche dapprima riconosciute in favore degli ex combattenti dello Stato, poi in favore degli ex partigiani, indi dei perseguitati politici e, infine, dei cittadini italiani di origine ebraica che, per effetto di legge oppure in base a norme o provvedimenti amministrativi anche della Repubblica sociale italiana intesi ad attuare discriminazioni razziali, abbiano riportato pregiudizio fisico o economico o morale; b) il concetto di “pregiudizio fisico o economico o morale” è un concetto giuridico indeterminato, che da un lato si riempie di contenuto in relazione alle conseguenze pregiudizievoli subite nella sfera giuridica personale (il pregiudizio fisico e quello morale) e patrimoniale (il pregiudizio economico), dall’altro è agevolmente interpretabile tenendo conto del fatto che gli atti persecutori – anche se cessati da tempo – lasciano tracce indelebili; c) la legge tipizza un solo caso di pregiudizio morale, ossia la “avvenuta annotazione di "razza ebraica" sui certificati anagrafici”, perché di per sé intrinsecamente espressiva della vis odiosa manifestata dal regime nei confronti dell’appartenenza all’ebraismo e alla religione ebraica, mentre lascia all’Amministrazione competente (la Commissione per le provvidenze istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri) la discrezionalità della qualificazione dei pregiudizi lamentati dai richiedenti con le loro istanze; d) si tratta di poteri tecnico-discrezionali, poiché l’Amministrazione non può liberamente formulare proprie libere valutazioni sulla spettanza dei benefici, ma deve tenere conto degli elementi probatori acquisiti, tenendo conto delle circostanze assolutamente eccezionali che hanno caratterizzato quegli anni e della sostanziale notorietà – di cui ha preso atto il legislatore - delle quotidiane vessazioni e discriminazioni che vi sono state ratione personae.
Il ragionamento logico-giuridico qualificatorio dell’Amministrazione deve tenere conto: della natura fisica del pregiudizio subito, e dunque del danno alla salute intesa come pregiudizio medicalmente accertabile; della natura morale del pregiudizio, inteso come lesione della integrità dei valori morali della persona, indipendentemente dalla coscienza o dal grado di consapevolezza che un individuo possa avere di sé e della propria persona in un determinato momento, potendo subentrare il turbamento della coscienza anche a distanza di tempo, una volta che subentri la consapevolezza di essere stato destinatario degli atti di persecuzione, pur se manchi un timore attuale che tali atti si possano ripetere; della natura economica del pregiudizio, inteso come perdita o diminuzione del patrimonio.
 

Ad avviso della Sezione nella specie le disposizioni legislative hanno attribuito rilevanza alle ripercussioni ‘morali’ che anche successivamente vi siano state sul richiedente il beneficio: le circostanze di fatto che hanno caratterizzato le prime settimane di vita della richiedente vanno considerate di per sé idonee a segnare per sempre la sua vita ed è proprio in considerazione dei relativi perduranti pregiudizi morali che la legislazione italiana, sia pure a distanza di decenni dai fatti accaduti, ha ritenuto di prevedere la spettanza dei benefici in questione.
 

Rileva quale fatto persecutorio diretto e personale l’essere stata partorita in condizioni estremamente disagevoli, da genitori fuggiaschi e a loro volta perseguitati dal regime (il padre immediatamente prima era anche riuscito a scappare da un campo di concentramento), in condizioni igieniche praticamente inesistenti, trattandosi di una stalla e dunque di un ambiente notoriamente inospitale e pieno di parassiti, fonte di malattie pericolose soprattutto per un soggetto appena venuto alla luce. Nella specie, erra l’Amministrazione nella misura in cui, per un verso, ritiene che una bambina appena nata non possa essere sfavorevolmente incisa nella sua sfera morale e, per un altro verso, che i sedici giorni in cui la stessa ha dimorato nella stalla non hanno rappresentato un tempo adeguato: secondo logica, si deve ritenere che nelle successive narrazioni familiari si siano inevitabilmente ricordate le circostanze di quel periodo che non solo vanno ricordate affinché mai si ripetano, ma che hanno anche inevitabilmente lasciato tracce indelebili, con la rinnovazione delle reazioni emotive interiori, che hanno continuato a sentire l’ingiustizia di quanto accaduto, se non il timore che analoghe circostanze si sarebbero potute ripetere (pur se la forza della Costituzione repubblicana e, ancor prima, l’affermazione del sistema democratico instaurato con l’elezione della Assemblea Costituente hanno successivamente attenuato un tale timore).
Erra anche nella misura in cui ritiene che la liberazione della città di Macerata abbia segnato un confine temporale certo per la fine delle persecuzioni.
In primo luogo, le persone in questione vivevano nascoste nelle campagne, senza mezzi di comunicazione certi.
In secondo luogo, la fine ufficiale del regime non si è tradotta automaticamente e in maniera immediata nella fine dei comportamenti violenti che, notoriamente, continuavano ad essere perpetrati dai sostenitori dei regime attraverso i rastrellamenti (soprattutto nelle campagne) anche per nascondere le tracce delle violenze fino ad allora commesse
A connotare in senso persecutorio e la violenza subita, è anche il fatto che la bambina non si è potuta sottrarre alla forza ostile dei persecutori, rappresentando, a sua volta, per i suoi genitori, un’ulteriore ragione di nascondimento nella stalla e di ostacolo alla fuga in altro idoneo luogo, essendo impraticabile un trasferimento sicuro in quelle condizioni di precarietà.
​​​​​​​In altri termini, proprio il fatto che la ricorrente fosse in così tenera età durante il nascondimento della sua famiglia per motivi razziali, aggrava (e non esclude) il suo status di perseguitata.


Anno di pubblicazione:

2020

Tipologia:

Focus di giurisprudenza e pareri