Competenza del Capo dello Stato a decidere ricorso straordinario proposto avverso provvedimenti di Comuni della Regione siciliana

Competenza del Capo dello Stato a decidere ricorso straordinario proposto avverso provvedimenti di Comuni della Regione siciliana


Ricorso straordinario al Capo dello Stato – Competenza – Atti comune della Sicilia - Competenza del Presidente della Regione Siciliana - translatio iudicii – Applicabilità. 

     E’ inammissibile il ricorso straordinario proposto avverso provvedimenti di Comuni della Regione siciliana e rivolto al Presidente della Repubblica e non al Presidente della Regione Siciliana; peraltro nell’eventualità che il ricorso sia riproposto tempestivamente davanti al Consiglio di giustizia amministrativa della Regione Siciliana, debbano essere tuttavia fatti salvi gli effetti sostanziali e processuali della domanda di annullamento, alle condizioni di cui all’art. 11 c.p.a. e secondo il meccanismo della translatio iudicii, di cui è espressione legislativa l’art. 59, comma 1, l. n. 69 del 2009  (1). 

 

(1) Ha ricordato la Sezione che ai sensi dell'art. 23, comma 4, dello Statuto della Regione Siciliana, gli atti amministrativi emanati dagli organi regionali “o da organi dipendenti, controllati o vigilati dalla Regione, ivi compresi, quindi, quelli degli Enti locali, possono essere impugnati con ricorso straordinario diretto al Presidente della Regione - che li decide (con istruttoria compiuta dal competente assessorato), sentito il Consiglio di Giustizia amministrativa - e non possono, pertanto, formare oggetto di ricorso straordinario al Presidente della Repubblica” (Cfr. da ultimo Cons. St., sez. I, n. 538 del 2020; n. 4671 del 7 luglio 2010; id., sez. IV, n. 1646 del 13 ottobre 2007; id., sez. I, n. 538 del 19 gennaio 1979).
Il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana (CGARS) pronuncia ordinariamente un cospicuo numero di pareri relativi a ricorsi straordinari avverso provvedimenti di Comuni della Regione Siciliana.
In un parere non recente (17 luglio 1984, n. 104), il CGARS a sezioni riunite ha evidenziato che “la categoria degli atti amministrativi regionali di cui all’art. 23, u.c., Stat. Sic., non comprende soltanto atti dell’amministrazione diretta della Regione (atti soggettivamente regionali), ma anche quelli di tutti gli altri enti della Sicilia - tra cui i Comuni - incardinati nell’organizzazione amministrativa indiretta della medesima e persino quelli delle autorità statali, sedenti nell’Isola, emanati in materia di competenza regionale”. I Comuni siciliani sarebbero compresi tra gli enti per i quali vale la competenza e un potere di supremazia da parte della Regione cui corrisponderebbe una posizione di soggezione da parte dei medesimi Comuni.
La Sezione ha quindi analizzato i presupposti che hanno indotto la giurisprudenza a dichiarare inammissibili i ricorsi straordinari avverso provvedimenti di Comuni siciliani, presentati al Consiglio di Stato. 
In particolare ha effettuato due tipi di riscontro.
Il primo consiste nella riconducibilità dei Comuni della Regione Siciliana alla categoria degli “organi dipendenti, controllati o vigilati dalla Regione” alla stregua di quanto finora elaborato dalla citata giurisprudenza.
Il secondo riscontro, subordinato all’esito negativo del primo, è costituito dalla verifica circa la sussistenza di un altro titolo, in grado di configurare i provvedimenti dei comuni della Regione Siciliana alla stregua di “atti regionali”, secondo quanto previsto dall’art. 23, comma 4, dello Statuto della Regione Siciliana.
E’ di tutta evidenza che, nell’ipotesi in cui entrambi i riscontri dovessero offrire un esito negativo, si dovrebbe trarre la conclusione che i provvedimenti comunali in questione non possano essere assimilati agli atti regionali e che sia competente il Consiglio di Stato – e non il CGARS – sui relativi ricorsi straordinari, con l’ulteriore conseguenza che l’odierno ricorso risulterebbe ammissibile.
La Sezione ha ritenuto di dare risposta negativa al primo riscontro e risposta positiva al secondo, per cui il ricorso odierno è inammissibile.
Venendo al primo profilo, infatti, non può essere eluso un aspetto che ha segnato in maniera inequivocabile nel nostro ordinamento la configurazione degli enti locali (a partire da Comuni e Province) a far tempo dal 2001. 
Con la riforma del Titolo V della Parte seconda della Costituzione (legge costituzionale n. 3 del 2001) è stata complessivamente potenziata l’autonomia organizzativa, funzionale e finanziaria degli enti territoriali e, al loro interno e per quanto qui rileva, dei Comuni. 
In particolare, il “nuovo” art. 114 Cost., oltre a elencare tutti gli enti territoriali che, a partire dai Comuni, compongono la Repubblica (primo comma), riconosce sia agli enti locali (Comuni, Province, Città metropolitane) sia alle Regioni la natura di enti autonomi, ponendoli su un piano di pari dignità istituzionale, pur nella distinzione dei rispettivi poteri e prerogative. 
In tal modo, quindi, l’art. 114 Cost. - come è stato notato anche da numerosi commentatori - riconoscendo agli enti locali pari dignità istituzionale rispetto agli «enti maggiori», avrebbe sancito un pluralismo istituzionale paritario, sì da non consentire più rapporti di gerarchia o anche solo di preminenza tra i diversi enti che compongono la Repubblica. 
Sarebbe così venuta meno la struttura verticale delle autonomie territoriali, propria della Costituzione del 1948, in favore di un sistema istituzionale costituito da una pluralità di enti, tra loro integrati ma autonomi, sia pure connotati da diverse tipologie e gradazioni di poteri e funzioni. 
Né si può omettere di annotare che, con la riforma del Titolo V, sono stati abrogati gli artt. 125 (controlli amministrativi statali sulle Regioni) e 130 (controlli delle Regioni sugli enti locali) Cost. Per quanto l’art. 114 Cost. costituisca una enunciazione di principio destinata a trovare immediata declinazione nelle successive disposizioni costituzionali e nelle relative interpretazioni e applicazioni, la novella costituzionale presenta un rilievo e ricadute che l’interprete non può trascurare.
Sebbene sia da dubitare della totale e diretta applicabilità del nuovo Titolo V alle Regioni a statuto speciale, se non altro in virtù dell’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, in base a cui, sino all'adeguamento dei rispettivi statuti, le disposizioni della legge costituzionale si applicano anche alle Regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite, tuttavia non può lasciare indifferenti l’introduzione di un canone costituzionale di tale rilievo, anche solo nella qualificazione dei rapporti tra Regioni a statuto speciale e Comuni insistenti sul relativo territorio, ai fini del riparto di competenze sui ricorsi straordinari.
Non è dato riscontrare nella giurisprudenza costituzionale l’enucleazione di un netto principio per ricomprendere anche gli enti locali (quali comuni e province) nella ponderazione della più ampia autonomia e dunque per concludere circa la diretta applicabilità della riforma costituzionale (ad es. l’art. 114 Cost.) alle Regioni a statuto speciale. 
Occorre dunque valutare se possa essere pretermessa, in sede interpretativa, qualsiasi lettura adeguatrice, se non altro al fine di determinare la giurisdizione (alias competenza) per il ricorso straordinario. 
Come si è visto, la competenza del Consiglio di Stato a decidere sui ricorsi straordinari per l’annullamento di provvedimenti di Comuni della Regione Siciliana è stata esclusa, con l’inclusione dei provvedimenti dei Comuni medesimi tra quelli degli organi dipendenti, controllati o vigilati dalla Regione, sì da poterli considerare facenti parte degli atti regionali di cui all’art. 23, comma 4, dello Statuto. 
Una interpretazione del genere, ad avviso della Sezione, va adeguata alle disposizioni costituzionali citate, a partire dall’art. 114 Cost., e ai principi enucleabili dalla riforma costituzionale. 
Quale che sia l’estensione dell’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001 alla Regione Siciliana è da escludere che gli atti degli enti locali (i comuni, nel caso di specie) siano da ricomprendere ancora tra gli atti della Regione in quanto organi dipendenti, controllati o vigilati dalla Regione. 
Il primo riscontro produce pertanto un esito negativo.
15. A un esito diverso approda invece il secondo riscontro.
Con riferimento al testo dello Statuto siciliano, viene in rilievo l’attribuzione all’Assemblea regionale della legislazione esclusiva nella materia “regime degli enti locali e delle circoscrizioni relative” (art. 14, comma 1). Inoltre, l'ordinamento degli enti locali si basa nella Regione stessa sui Comuni e sui liberi Consorzi comunali, dotati della più ampia autonomia amministrativa e finanziaria ed è nel quadro di tali principi generali che spetta alla Regione la legislazione esclusiva e l'esecuzione diretta in materia di circoscrizione, ordinamento e controllo degli enti locali (art. 15, commi 2 e 3).
Occorre allora considerare se i provvedimenti comunali siano da ricomprendere tra gli atti regionali in quanto riferiti al territorio regionale (“atti nella Regione” e non “atti della Regione”) e in presenza di una competenza legislativa regionale di carattere generale sull’ordinamento degli enti locali. 
La competenza legislativa non importerebbe un automatico effetto di supremazia e direzione ma si risolverebbe in un’attrazione dei provvedimenti comunali nell’alveo regionale proprio ex art. 23, comma 4, dello Statuto.
Una soluzione del genere risulta coerente tanto con lo Statuto quanto con il quadro costituzionale sopra delineato né contrasta con la prospettata e tradizionale ricostruzione degli atti regionali da intendersi congiuntamente in senso soggettivo e in senso oggettivo.
Il titolo che conduce a un esito positivo del secondo riscontro, salvaguardando i profili di rilievo costituzionale già richiamati, e a confermare l’inammissibilità dei ricorsi straordinari presentati al Consiglio di Stato avverso provvedimenti di Comuni siciliani, è quindi da indentificare nella compresenza dei seguenti elementi: l’adozione dei provvedimenti da parte di enti (i Comuni) insistenti sul territorio comunale; la competenza legislativa regionale di carattere generale sull’ordinamento degli enti locali. 
​​​​​​Nel giungere a tale conclusione, la Sezione non ha ignorato le conseguenze che ne derivano o, per meglio dire, continuano a derivarne, connesse alla natura giustiziale, ma sempre più assimilabile alla giurisdizione, del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica.
Tale tratto – che già aveva trovato riconoscimento da parte della Corte di Giustizia delle Comunità Europee che, in occasione della decisione sulle cause riunite C-69/96 e 79/96, aveva legittimato il Consiglio di Stato a sollevare una questione pregiudiziale di interpretazione davanti al giudice comunitario - risulta potenziato a seguito della legge 18 giugno 2009, n. 69, con la quale è stata introdotta la possibilità, per il Consiglio di Stato in sede consultiva, di rinviare alla Corte costituzionale questioni di legittimità costituzionale ed è stata, al contempo, abrogata la potestà del Governo di deliberare in senso difforme rispetto al parere espresso dal Consiglio di Stato.
Il parere del Consiglio di Stato ha dunque assunto i connotati di una vera e propria “decisione” vincolante.
Ebbene, come ha ricordato questa Sezione con il parere n. 2848 del 12 novembre 2019, la sentenza della Corte costituzionale 9 febbraio 2018, n. 24, ha affrontato trasversalmente la questione dell’applicabilità delle regole convenzionali in tema di equo processo, sottolineando che il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica è, come noto, rimedio alternativo al ricorso giurisdizionale al giudice amministrativo e che dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo si traggono conclusioni negative sulla riferibilità alla decisione del ricorso straordinario delle garanzie convenzionali in tema di equo processo, come confermato dalle pronunce nelle quali la stessa Corte si è direttamente occupata di questo particolare rimedio, in tre occasioni, e in due delle quali proprio con specifico riferimento alla previsione dell’art. 6 della CEDU. 
​​​​​​​In particolare, nella decisione 28 settembre 1999, Nardella contro Italia, la Corte EDU aveva ricostruito la disciplina dell’istituto del ricorso straordinario come rimedio speciale ed escluso che esso – con riferimento al ritardo nella cui decisione il ricorrente si doleva nel caso di specie – ricadesse nell’ambito di applicazione della Convenzione. 
In tale pronuncia era stato sottolineato come, optando per il gravame speciale del ricorso straordinario, il ricorrente (che pure era stato informato della possibilità di proporre il ricorso giurisdizionale) aveva scelto esso stesso di esperire un rimedio che si pone fuori dall’ambito di applicazione dell’art. 6 della Convenzione. 
Sulla base dei medesimi argomenti e richiamando il caso Nardella, nella decisione 31 marzo 2005, Nasalli Rocca contro Italia, la Corte EDU ha dichiarato irricevibile un ricorso proposto a essa dal ricorrente che aveva preventivamente esposto le sue ragioni in alcune lettere al Presidente della Repubblica.  

Ad analoghe conclusioni la Corte di Strasburgo è giunta nella sentenza 2 aprile 2013, Tarantino e altri contro Italia, in cui ha ribadito che la parte ricorrente, “presentando un appello speciale al Presidente della Repubblica nel 2007”, non aveva avviato un procedimento contenzioso del tipo descritto all’articolo 6 della Convenzione.
La Sezione deve tuttavia annotare che, ancor più di recente, la Corte EDU (Sez. I, Mediani c. Italia, 1° ottobre 2020, ric.11036/14) ha riconosciuto – diversamente dal passato - che le tutele della Convenzione EDU (segnatamente l’art. 6 sulla ragionevole durata dei processi) sono riferibili anche al ricorso straordinario. 
Ciò in ragione delle modifiche legislative intervenute nel 2009 (legge n. 69 del 2009) e nel 2010 (d.lgs. n. 104 del 2010). Il carattere vincolante del parere del Consiglio di Stato sul ricorso straordinario, la possibilità di sollevare incidente di costituzionalità, la possibilità di presentare il ricorso straordinario per le materie di competenza del giudice amministrativo, la possibilità di presentare opposizione e di riportare il ricorso davanti al giudice amministrativo, come pure di attivare il giudizio di ottemperanza nel caso di omessa esecuzione del decreto presidenziale in termini analoghi al giudicato amministrativo hanno indotto la Corte EDU a considerare compiuta la trasformazione del ricorso straordinario in un “judicial remedy” e a riconoscerne, ai fini convenzionali, la giurisdizionalizzazione, con l’applicabilità delle conseguenti garanzie.
La svolta della Corte EDU si riverbera su un punto nevralgico: l’art. 9, comma 5, d.lgs. n. 373 del 2004 consente ancora al Presidente della Regione, a seguito di delibera di Giunta, di disattendere il parere del CGARS, che risulterebbe pertanto obbligatorio ma non vincolante (similmente a quanto accadeva per il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, fino al 2009). 
Le Sezioni Unite della Cassazione (n. 2065 del 2011) hanno suggerito un effetto abrogativo implicito, sul punto, nei confronti del ricorso al Presidente della Regione Siciliana, dopo la l. n. 69 del 2009. Hanno infatti sostenuto che “l'evoluzione del sistema, che porta dunque a configurare la decisione su ricorso straordinario come provvedimento che, pur non essendo formalmente giurisdizionale, è tuttavia suscettibile di tutela mediante il giudizio d'ottemperanza, deve trovare applicazione, in guisa di corollario, per la analoga decisione resa dal Presidente della Regione Siciliana ai sensi della sopra richiamata normativa regionale, modellata - come s'è visto - sulla disciplina dettata per il ricorso straordinario al Capo dello Stato (dovendosi dunque riconoscere carattere vincolante anche al parere espresso dal Consiglio di Giustizia Amministrativa e dovendosi ammettere il potere di tale organismo di sollevare questioni di legittimità costituzionale rilevanti ai fini dell'espressione del parere; al riguardo, la dottrina parla di abrogazione tacita indiretta delle disposizioni del d.lgs. n. 373 del 2003 che contrastino con le previsioni introdotte dell'art. 69, l. n. 69 del 2009)”.
Tuttavia, merita rilevare che il CGARS, nel parere n. 61/2020 sulla “Direttiva sui ricorsi straordinari al Presidente della Regione Siciliana - Disciplina dell'istituto e aggiornamenti legislativi e giurisprudenziali. Rispetto dei termini per l'istruzione” ha precisato che “il ricorso straordinario al Presidente della Regione Siciliana, nonostante le pur evidenti affinità (soprattutto di carattere procedurale), non è giuridicamente assimilabile…al ricorso straordinario al Presidente della Repubblica” e ha confermato la permanenza della facoltà per il Presidente della Regione di non dare seguito al parere del CGARS sulla base di una deliberazione del governo regionale. 
Ha infatti sottolineato (punto n. 12.5 del parere) che la disposizione di cui all’art. 9, d.lgs. n. 370 del 2003, “in quanto contenuta in una fonte speciale e rinforzata (posto che il citato d.lgs. n. 373 del 2003 reca norme di attuazione dello Statuto regionale), certamente prevale in parte qua sull’art. 69 della menzionata l. n. 69 del 2009, là dove si prevede la soppressione della decisione in difformità del Consiglio dei Ministri”.
La decisione odierna sulla inammissibilità del ricorso straordinario in esame produce quindi conseguenze sul piano delle garanzie, ulteriormente rimarcate dalla diversa posizione e responsabilità istituzionale del Presidente della Regione Siciliana (nella duplice veste di suprema autorità regionale e di vertice del Governo regionale) rispetto al Presidente della Repubblica. 
Tali conseguenze si sostanziano, nel ricorso straordinario al Presidente della Regione siciliana, nella perdurante facoltà per il Presidente, sulla base di una deliberazione del governo regionale, di non dare seguito al parere del CGARS; a ciò consegue, alla luce della giurisprudenza della Corte EDU, l’impossibilità di fare valere le tutele della Convenzione, a partire dall’art. 6 sulla ragionevole durata dei processi. 
Al contrario, come si è visto, le medesime tutele sono ora applicabili al ricorso straordinario al Presidente della Repubblica in virtù del carattere decisorio del parere del Consiglio di Stato. 
Ritiene peraltro la Sezione che vada favorito il rafforzamento delle garanzie offerte dall’ordinamento, nei suoi rapporti con le tutele assicurate dalla Convenzione EDU, quale che sia il rimedio giustiziale (ricorso al Presidente della Repubblica ovvero al Presidente della Regione siciliana). È dunque auspicabile che le decisioni in rito sulla inammissibilità del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica (in favore del rimedio giustiziale al Presidente della Regione siciliana) non si riflettano in una contrazione delle tutele convenzionali per il singolo.
Sulle conseguenze e gli effetti abrogativi della legge n. 69/2009 si sono pronunciati in modo distinto la Suprema Corte di Cassazione e il CGARS, sintomo evidente della necessità di una valutazione e rimeditazione, anche a livello normativo, della questione.
Per tali motivi il Collegio – in applicazione dell’art. 58, r.d. n. 444 del 1942 (“Quando dall'esame degli affari discussi dal Consiglio risulti che la legislazione vigente è in qualche parte oscura, imperfetta od incompleta, il Consiglio ne fa rapporto al Capo del Governo”) – ritiene necessario trasmettere il presente parere alla Presidenza del Consiglio dei ministri e al Ministro per gli affari regionali e le autonomie per l’eventuale assunzione delle iniziative legislative in materia. 
​​​​​​​Il medesimo parere, in ragione della specifica connotazione dei decreti legislativi attuativi degli Statuti delle Regioni a statuto speciale, sarà trasmesso anche alla Presidenza della Regione Siciliana. 


Anno di pubblicazione:

2021

Materia:

RICORSI amministrativi, RICORSO straordinario al Presidente della Repubblica

Tipologia:

Focus di giurisprudenza e pareri