Codacons, tutela degli interessi diffusi e amministrazione straordinaria di Alitalia

Codacons, tutela degli interessi diffusi e amministrazione straordinaria di Alitalia


Processo amministrativo – Legittimazione attiva – Presupposti – Individuazione. 

Processo amministrativo – Interesse a ricorrere – Interesse diffuso – Individuazione. 

Processo amministrativo – Interesse a ricorrere –   Gestione commissariale di Alitalia – Atti commissariali – Impugnazione del  Codacons – Inammissibilità.  

 

       Ai della legittimazione ad agire, la qualificazione giuridica e la differenziazione non sono due criteri autonomi; l’unico criterio è quello della qualificazione giuridica imposto dall’operatività del principio di legalità; la differenziazione è insita nella qualificazione nel senso che la norma assegna rilevanza all’interesse legittimo che si presenta in modo differenziato rispetto alla posizione di altri (1).

        L ’interesse diffuso è una situazione giuridica autonoma azionata in giudizio da un ente collettivo che fa valere un “interesse proprio” e che viene individuata mediante una tipizzazione legislativa espressa ovvero una disposizione legislativa implicita risultante da una tipizzazione giurisprudenziale effettuata attraverso la previsione della necessità del possesso da parte dell’ente di determinati requisiti (2). 

 

          E’ inammissibile il ricorso proposto dal Codacons per contestare il corretto esercizio del potere amministrativo nell’ambito della complessiva gestione commissariale di Alitalia, essendo proposto un’azione non a tutela di un “interesse diffuso” che possa definirsi “proprio” - mancando sia una espressa previsione di legge sia i requisiti richiesti implicitamente dalla legge e tipizzati dalla giurisprudenza che dimostrano la sua effettiva sussistenza - ma a tutela di “interessi pubblici” che, essendo interessi di “altri”, presuppongono, ai sensi dell’art. 81 cod. proc. civ., una espressa autorizzazione legislativa (3).  

 

(1) Ha ricordato la Sezione che processo amministrativo, per indicazioni costituzionali (artt. 103-113 Cost.), ha natura soggettiva avendo ad oggetto il rapporto giuridico di diritto pubblico controverso basato sulla relazione della situazione giuridica fatta valere di interesse legittimo (e nelle materie di giurisdizione esclusiva anche di diritto soggettivo) con il potere pubblico ai fini dell’ottenimento di un bene della vita (da ultimo, Cons. Stato, Ad. plen., 9 dicembre 2021, n. 22). Il principio di legalità impone che il suddetto rapporto sia definito con legge. Le azioni proposte nel processo sono plurime e finalizzate ad ottenere la tutela della suddetta situazione giuridica.
La Costituzione, implicitamente, ammette forme di processi di natura oggettiva ma le stesse, derogando al modello generale, per la loro valenza eccezionale, sono ammissibili nei soli casi previsti dalla legge, senza che sia possibile ricorrere ad interpretazioni analogiche. Le azioni proposte nel processo, in questi casi, sono a tutela dell’interesse pubblico e possono assumere connotazioni peculiari a seconda del soggetto che le fa valere.
Nel processo amministrativo soggettivo, le condizioni dell’azione sono la legittimazione ad agire e l’interesse ad agire che si devono caratterizzare nel senso di seguito indicato.
La legittimazione ad agire presuppone la dimostrazione dell’effettiva titolarità di una situazione giuridica di interesse legittimo (e, nelle materie di giurisdizione esclusiva, anche di diritto soggettivo) e, dunque, di una posizione giuridica qualificata e differenziata.
Nel processo civile, ai fini del riconoscimento della sussistenza della legittimazione ad agire, si ritiene sufficiente la mera affermazione della astratta titolarità di un diritto soggettivo fatto valere (cd. possibilità giuridica). Tale diversità è conseguenza del fatto che nel processo civile alla fase preliminare di natura processuale nel cui ambito si accerta l’astratta titolarità del diritto soggettivo segue la fase di merito di accertamento effettivo di tale diritto. Nel processo amministrativo, l’anticipazione di tale accertamento alla fase preliminare si giustifica in quanto il riconoscimento della titolarità dell’interesse legittimo non definisce ancora il giudizio, occorrendo che nella fase di merito si confronti l’interesse legittimo con l’interesse pubblico al fine di stabilire se il rapporto giuridico debba essere accertato con prevalenza del primo sul secondo per l’illegittimità dell’azione amministrativa (Cons. Stato, sez. VI, 10 dicembre 2021, n. 8232).

La qualificazione giuridica e la differenziazione non sono due criteri autonomi. L’unico criterio è quello della qualificazione giuridica imposto dall’operatività del principio di legalità. La differenziazione è insita nella qualificazione nel senso che la norma assegna rilevanza all’interesse legittimo che si presenta in modo differenziato rispetto alla posizione di altri.
​​​​​​​Il processo di differenziazione può essere “espresso” nei casi in cui la qualificazione e la differenziazione dell’interesse legittimo è effettuata dalla norma in modo diretto stabilendosi quale sia il soggetto che possa essere parte di un rapporto giuridico con la pubblica amministrazione.

Il processo di differenziazione può essere “implicito” nei casi in cui la qualificazione e la differenziazione è effettuata dalla norma in modo indiretto mediante la richiesta della sussistenza di una specifica condizione desumibile dalla complessiva disciplina della materia, che può essere ricostruita sulla base di «criteri materiali o caratteri fattuali» diversi a seconda del settore che viene in rilievo (quest’ultimo inciso è tratto da Cons. Stato, Ad. plen., n. 22 del 2021, cit.). 

L’art. 81 cod. proc. civ. dispone che «fuori dai casi espressamente previsti dalla legge nessuno può fare valere nel processo in nome proprio un diritto altrui». La legittimazione sostitutiva è sottoposta, pertanto, al principio di tipicità. 

L’interesse ad agire, ai sensi dell’art. 100 cod. proc. civ. (applicabile nel processo amministrativo per il tramite del rinvio esterno di cui all’art. 39, comma 1, cod. proc. amm.), presuppone che il ricorrente ottenga un’effettiva utilità cioè un risultato di vantaggio dall’accoglimento del ricorso. Corollari dell’interesse ad agire sono: i) la personalità, dovendo l’utilità essere riconducibile al soggetto che propone il ricorso; ii) l’attualità della lesione); iii) la concretezza del pregiudizio. 

L’individuazione della legittimazione ad agire e dei corollari della qualificazione e differenziazione nonché dell’interesse ad agire assume connotati di maggiore complessità in presenza di situazioni giuridiche meta-individuali, quali sono gli interessi diffusi. 

 

 

(2) Ha affermato la sezione che la principale difficoltà è stabilire, in presenza di tale posizione giuridica, come avviene il processo di differenziazione ai fini dell’individuazione del soggetto che può proporre l’azione in giudizio. 

La giurisprudenza è costante nell’affermare che tale processo avvenga mediante il riconoscimento della legittimazione in capo ad enti collettivi. 

Un primo orientamento ritiene che si tratti di una forma di legittimazione ad agire sostitutiva, in quanto gli enti fanno valere in giudizio un interesse di altri” e cioè della collettività cui si riferisce l’interesse diffuso. In tale prospettiva, la legittimazione deve ritenersi tipica e, pertanto, ammissibile, ai sensi dell’art. 81 cod. proc. civ., nei soli casi ammessi dalla legge (Cons. Stato, sez. VI, 21 luglio 2016, n. 3303).

Un secondo orientamento, seguito dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, ritiene, invece, che gli enti fanno valere in giudizio un “interesse proprio”, rilevando che «la situazione giuridica azionata» è «propria» delle associazioni ed «è relativa ad interessi diffusi nella comunità o nella categoria, i quali vivono sprovvisti di protezione sino a quando un soggetto collettivo, strutturato e rappresentativo, non li incarni» (Cons. Stato, Ad. plen., 20 febbraio 2020, n. 6)

In questa ultima prospettiva, cui la Sezione aderisce, deve rilevarsi che il processo di differenziazione dell’interesse diffuso mediante l’attribuzione della sua titolarità ad un ente collettivo possa avvenire espressamente mediante un chiaro riconoscimento legislativo ovvero implicitamente mediante l’analisi della disciplina complessiva che di volta in volta viene in rilievo (cd. doppio binario). 

In presenza di un riconoscimento espresso riferito ad un particolare ambito, non si pongono particolari questioni interpretative che sono risolte direttamente dalla legge mediante l’individuazione del soggetto che può proporre l’azione in giudizio. 

In presenza di un riconoscimento implicito, la giurisprudenza amministrativa richiede, affinché possa ritenersi che l’ente faccia valere un “interesse proprio”, che ricorrano in modo cumulativo le seguenti condizioni: i) il fine di tutelare tale interesse deve essere stabilito dallo statuto; ii) l’ente abbia una certa dose di rappresentatività ed una organizzazione stabilmente finalizzata a tutelare tale interesse; iii) l’interesse diffuso abbia connotati di sostanziale “omogeneità” tra i soggetti che compongono la “comunità” (Cons. Stato, Ad. plen., n. 6 del 2020, cit.). Si tratta di criteri materiali o fattuali che fanno emergere la dimensione giuridica della legittimazione. 

E’ bene chiarire che la differenza tra le due forme di riconoscimento, espresso o implicito, da parte della legge non significa, come ha chiarito la citata Adunanza plenaria n. 6 del 2020, che la tutela dell’interesse diffuso presupponga necessariamente l’esistenza di una previsione di legge. La previsione legislativa che deve sempre ricorrere è quella imposta dal principio di legalità operante nel processo di qualificazione giuridica e differenziazione dell’interesse diffuso e della conseguente legittimazione ad agire. Ciò vuol dire che, quando si afferma che l’ente collettivo può agire a tutela di un interesse diffuso anche in mancanza di una previsione di legge perché sta facendo valere un “interesse proprio” e non di “altri”, lo si fa per escludere che occorra, ai sensi dell’art. 81 cod. proc. civ., una espressa previsione di legge ma non anche che si possa prescindere da una, sia pure implicita, base legale che richiede che l’ente sia comunque in possesso di determinati requisiti che sono quelli tipizzati dalla giurisprudenza. Si deve, pertanto, distinguere tra base legale ai fini della legittimazione sostitutiva ai sensi dell’art. 81 cod. proc. civ. e base legale ai fini della individuazione in generale della legittimazione mediante il processo di qualificazione giuridica e differenziazione dell’interesse diffuso. 

In definitiva, può ritenersi che l’interesse diffuso è una situazione giuridica autonoma azionata in giudizio da un ente collettivo che fa valere un “interesse proprio” e che viene individuata mediante una tipizzazione legislativa espressa ovvero una previsione legislativa implicita risultante da una tipizzazione giurisprudenziale effettuata attraverso la previsione della necessità del possesso da parte dell’ente dei requisiti sopra riportati. 

L’interesse ad agire presuppone che l’ente collettivo e la comunità che “rappresenta” subiscano un pregiudizio personale, concreto ed attuale, che, per la particolare natura del soggetto che agisce in giudizio, si connota in modo diverso e meno rigoroso rispetto all’interesse ad agire che deve accompagnare le azioni individuali. 

Nel processo amministrativo oggettivo, colui che agisce in giudizio lo fa a tutela di un “interesse pubblico” che, per definizione, è un “interesse di altri” e, pertanto, ai sensi dell’art. 81 cod. proc. civ., è necessaria sempre una “espressa” previsione di legge che fondi la cd. legittimazione legale. 

 

(3) Nella fattispecie in esame, l’azione proposta ha una duplicità finalità. 

La prima finalità è quella di contestare la procedura di amministrazione straordinaria e la nomina dei commissari sul presupposto che tale nomina sia illegittima. Si tratta di uno scopo che non rientra tra quelli indicati nello statuto. Non sussiste alcuna specifica correlazione tra la nomina di organi di una società che si ritiene illegittima e le finalità statutarie, anche perché l’asserito beneficio per i consumatori prospettato nei motivi di appello è solo indiretto e, soprattutto, non dimostrato. Seguendo la logica difensiva degli appellanti, qualunque provvedimento della pubblica amministrazione che incida, come nella specie, sull’organizzazione di una società (mediante la previsione di un programma di amministrazione straordinaria) che eroga prestazioni potenzialmente a tutti i cittadini consentirebbe di ritenere sussistente la legittimazione ad agire. Non vengono in rilievo, pertanto, attività idonee ad incidere sui consumatori intesi come parti deboli perché privi di adeguate informazioni. Né varrebbe rilevare, come fanno gli appellanti, che la rimozione dei commissari nominati dimostrerebbe la fondatezza dei motivi dedotti, in quanto si tratta di una decisione autonomamente assunta dall’amministrazione che presenta connotati neutrali ai fini del giudizio sulla legittimazione ad agire. 

La seconda finalità è quella di tutelare la concorrenza ma con riguardo al divieto di aiuti di Stato. Tale divieto è finalizzato ad evitare di alterare il principio del pari trattamento tra imprese che operano nel mercato, evitando che l’assegnazione di finanziamenti possa incidere sul rispetto delle regole paritarie nei rapporti tra imprese. Si tratta anche in questo caso di un scopo non statutario, in quanto, come esposto nella parte in fatto, lo statuto prevede che l’Associazione possa agire per fare valere eventuali intese anticoncorrenziali che per il loro oggetto si risolverebbero in un pregiudizio per i “consumatori”, da intendersi in senso ampio come coloro che stipulano contratto attuativi di tali intese le quali devono ritenersi, per tale collegamento funzionale, nulle (Cass. civ., sez. un., 30 dicembre 2021, n. 41994). 

La contestazione del “prestito ponte” è, invece, finalizzata a tutelare il mercato e le imprese che hanno interesse a che non operi nello stesso settore un’altra impresa che abbia un ingiusto vantaggio competitivo derivante dagli aiuti di Stato erogati. Tale contestazione non è, pertanto, finalizzata a proteggere anche i consumatori, se non in modo indiretto ed eventuale. Né varrebbe rilevare, come fanno gli appellanti, che la decisione della Commissione europea che ha ritenuto che il prestito erogato integri gli estremi di n aiuto di Stato costituirebbe dimostrazione della fondatezza dell’appello. Tale decisione prova soltanto l’illiceità del finanziamento e il conseguente obbligo dell’amministrazione nazionale di provvedere a dare attuazione alle prescrizioni europee. 

In relazione all’Associazione utenti del trasporto aereo marittimo e ferroviario, è assente il fine specifico, che viene in rilievo nel caso in esame, stabilito nello statuto. Quest’ultimo attribuisce a tale associazione lo scopo di controllare, soprattutto, l’utilizzo di fondi pubblici per i servizi di trasporto pubblico per assicurare la sicurezza dell’utente, nonché di intervenire «con tutti i mezzi previsti dalla legge» contro ogni forma di abuso da chiunque posto in essere al fine di migliorare, «la qualità del servizio e l’ambiente di vita degli utenti» dei servizi di trasporto. 

Si tratta di finalità statutarie che non ricomprendono quelle specifiche, sopra riportate, che rilevano in questa sede. 


Anno di pubblicazione:

2022

Materia:

GIUSTIZIA amministrativa

Tipologia:

Focus di giurisprudenza e pareri