Bonifica di siti di interesse nazionale

Bonifica di siti di interesse nazionale


Inquinamento – Inquinamento ambientale – Bonifica – Competenza – Art. 252 del Codice dell’ambiente – Carattere innovativo – Esclusione.

 

Inquinamento – Inquinamento ambientale – Da attività industriale – Illecito – Conseguenza.

 

Inquinamento – Inquinamento ambientale – responsabile dell’inquinamento – È tenuto alla bonifica – Cessione rami di azienda - Irrilevanza ex se.


 

       L’art. 252 del Codice dell’ambiente (ai sensi del quale, nell’ambito dei Siti Interesse Nazionale - S.I.N., l’approvazione del piano di caratterizzazione e tutti i conseguenti adempimenti, nonché l’eventuale svolgimento di interventi sostitutivi, sono, in deroga rispetto all'ordinaria competenza regionale, accentrati presso il Ministero dell’Ambiente) è finalizzato esclusivamente alla centralizzazione della competenza in ordine allo svolgimento del complesso delle operazioni di bonifica: ne consegue che niente è innovato quanto alla fase ontologicamente e giuridicamente preliminare alla bonifica (afferente alla pregiudiziale individuazione del soggetto responsabile dell’inquinamento ed alla conseguente diffida “a provvedere ai sensi del presente Titolo”), che l'art. 244 assegna, in via ordinaria, alla competenza della Provincia (1).

 

      Il rilascio nell’ambiente di sostanze inquinanti nell’esercizio di attività industriali configurava un illecito già in epoca anteriore alla vigenza del d.lgs. n. 22 del 1997 ( il quale agli artt. 17 e 51 bis ha tipizzato la fattispecie e individuato sanzioni penali): il consapevole svolgimento di un’attività per sua natura pericolosa (art. 2050 c.c.) rendeva, infatti, il relativo autore già responsabile della lesione, compromissione, degradazione o, comunque, messa in pericolo del bene ambiente che ne fosse conseguita, salva la prova liberatoria di aver, già all’epoca, posto in essere ogni esigibile accorgimento idoneo a prevenire in radice tale contaminazione (2).

 

     Alla stregua della speciale disciplina recata dal Codice dell'ambiente, il soggetto individuato quale responsabile dell’inquinamento è (e resta) senz’altro tenuto ad eseguire la bonifica, pur se, in epoca successiva agli episodi di contaminazione, abbia ceduto a terzi il ramo di azienda; il fenomeno della traslazione dell’obbligo di bonifica a carico del successore si ha, infatti, soltanto nel diverso e particolare caso di successione a titolo universale, ossia allorché si sia verificata l’estinzione soggettiva del cedente (si pensi all’incorporazione): in tali ipotesi, la responsabilità per l’inquinamento e, quindi, il connesso dovere di bonifica passano in capo al successore in universum jus (3).

 

(1) Ha chiarito la Sezione che l’art. 252, comma 4, del codice dell’ambiente attribuisce alla competenza esclusiva del Ministero dell’Ambiente, sentito il Ministero dello Sviluppo Economico, “le procedure di bonifica di cui all’articolo 242 dei siti di interesse nazionale”, ordinariamente di spettanza regionale.

Non è, dunque, operato alcuno specifico riferimento alle distinte competenze enucleate dall’art. 244 del codice, che dunque, nel silenzio della disciplina derogatoria, devono ritenersi implicitamente confermate in capo all’Ente provinciale, cui, appunto, spettano in via ordinaria (cfr., sul punto, Cons. Stato, sez. VI, 12 aprile 2011, n. 2249; sez. IV, 18 dicembre 2018, n. 7121).
 

Più in particolare, l’art. 242 del codice pone a carico del soggetto responsabile dell’inquinamento, “al verificarsi di un evento potenzialmente in grado di contaminare il sito”, l’adozione delle “misure necessarie di prevenzione” (da comunicare tempestivamente a Comune, Provincia e Regione) e, quindi, lo svolgimento di “un’indagine preliminare sui parametri oggetto dell’inquinamento”, seguita, a seconda dell’esito dell’indagine, dal “ripristino della zona contaminata” (“ove il livello delle concentrazioni soglia di contaminazione non sia stato superato”), ovvero, in caso contrario, dalla “presentazione di un piano di caratterizzazione”, la cui approvazione compete ad una conferenza di servizi convocata dalla Regione.

In deroga a tale disciplina generale, l’art. 252 dispone che, nell’ambito dei S.I.N., l’approvazione del piano di caratterizzazione e tutti i conseguenti adempimenti, nonché l’eventuale svolgimento di interventi sostitutivi, siano accentrati presso il Ministero dell’Ambiente.

La ratio sottesa all’art. 252 è, dunque, finalizzata esclusivamente alla centralizzazione della competenza in ordine allo svolgimento del complesso delle operazioni di bonifica (ossia, in termini più tecnico-giuridici, al procedimento di bonifica), altrimenti ripartita su scala regionale.

È, quindi, estranea alla ratio di tale disposizione la fase ontologicamente e giuridicamente preliminare alla bonifica (disciplinata, appunto, dall’ar. 244, comma 2, del codice), afferente alla pregiudiziale individuazione del soggetto responsabile dell’inquinamento ed alla conseguente diffida “a provvedere ai sensi del presente Titolo”.
 

Il mantenimento della competenza provinciale in proposito risponde, del resto, a concrete ragioni, posto che l’Ente di prossimità territoriale, proprio per tale sua natura, risulta strutturalmente meglio in grado, rispetto al Ministero, di individuare il responsabile dell’inquinamento.

In conclusione, la Regione o, nel caso dei S.I.N., il Ministero curano la fase di autorizzazione, controllo e supervisione degli interventi di bonifica, mentre la Provincia interviene a monte, individuando “con ordinanza motivata” il soggetto responsabile e diffidandolo “a provvedere ai sensi del presente titolo”.

In altra prospettiva ricostruttiva, la Provincia avvia d’ufficio il procedimento di bonifica disciplinato dall’art. 242, allorché il soggetto responsabile non si sia attivato autonomamente (cfr. la richiamata Cons. Stato, sez. VI, 12 aprile 2011, n. 2249, relativa ad un S.I.N.). 

Non è, di converso e a ben vedere, di ausilio alle prospettazioni defensionali della ricorrente il parere n. 1762 reso dalla Seconda Sezione di questo Consiglio in data 9 luglio 2018 (citato da Edison nella memoria del 29 aprile 2019): in tale parere, per quanto qui di interesse, si sostiene infatti che “la ratio del rapporto tra la disposizione dell’art. 244 e dell’art. 252 è assicurare che l’ente più vicino al luogo della contaminazione possa agire tempestivamente, non quella di sottrarre al Ministero dell’Ambiente la competenza ad agire attribuendola alla provincia. Il fondamento della disposizione dell’art. 244, d.lgs. 152 del 2006 è dunque attributivo di poteri alla provincia non sottrattivo di poteri al Ministero”.
 

Con specifico riferimento alle ordinanze impugnate nella specie, il Collegio osserva, poi, che la Provincia ha ordinato ad Edison, quale soggetto responsabile, di adempiere alle prescrizioni del Titolo V della Parte IV del codice, presentando al Ministero dell’Ambiente uno specifico progetto o, in alternativa, eseguendo i progetti già agli atti.

È, dunque, vieppiù evidente che la Provincia si è limitata ad individuare il responsabile e ad imporgli di attivarsi mediante la presentazione al Ministero (competente per l’approvazione) di uno specifico progetto di bonifica, ovvero eseguendo (sotto il controllo e la supervisione ministeriale) progetti già validati dal Ministero stesso: non si è verificata, quindi, alcuna invasione di competenze ministeriali da parte della Provincia.

(2) Ha ricordato la Sezione che linea con il consolidato orientamento della giurisprudenza di questo Consiglio (Cons. Stato, sez. VI, 10 settembre 2015, n. 4225; sez. IV, 8 ottobre 2018, n. 5761; Sez. IV, 7 maggio 2019, n. 2926; da ultimo, Adunanza Plenaria, 22 ottobre 2019, n. 10) e della stessa Corte di Cassazione (cfr. Cass. civ., Sez. III, 10 dicembre 2019, n. 32142), le norme in materia di obblighi di bonifica “non sanzionano ora per allora, la (risalente) condotta di inquinamento, ma pongono attuale rimedio alla (perdurante) condizione di contaminazione dei luoghi, per cui l’epoca di verificazione della contaminazione è, ai fini in discorso, del tutto indifferente […]. Del resto, la risalenza dell’evento generatore dell’inquinamento funge da fattore di esclusione dell’applicazione della normativa del d.lgs. n. 152 del 2006 con esclusivo riferimento agli istituti delineati dalla Parte VI, mentre gli articoli 242 e 244 sono dettati nell’ambito della Parte IV (cfr., in proposito, l’art. 303, lett. f] e g], del decreto n. 152); inoltre, l’art. 242 menziona espressamente i casi di contaminazioni cosiddettestoriche” (cfr. i commi 1 e 11)” (così la richiamata Cons. Stato, sez. IV, 8 ottobre 2018, n. 5761). 
 

In proposito, deve ribadirsi che l’articolo 242, comma 1, del codice dell’ambiente, nel fare riferimento specifico anche alle “contaminazioni storiche”, ha inteso affermare il principio per cui la condotta inquinante, anche se risalente nel tempo e verificatasi (recte, conclusasi) in momenti storici passati, non esclude il sorgere di obblighi di bonifica in capo a colui che ha inquinato il sito, ove il pericolo di “aggravamento della situazione” sia ancora attuale.

Il riferimento alle “contaminazioni storiche” è, del resto, indistinto, cosicché sarebbe arbitrario limitare l’applicazione della norma alle sole contaminazioni che si siano verificate dopo l’entrata in vigore del codice dell’ambiente o dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 22 del 1997, che per primo disciplinò gli obblighi di bonifica; in senso contrario può, anzi, osservarsi che l’aggettivo “storiche” rimanda, anche da un punto di vista semantico, a contaminazioni verificatesi in epoca remota, tali appunto da appartenere non all’attualità, ma alla storia del Paese.

Su un piano più generale, poi, risulta ragionevole porre l’obbligo di eseguire le opere di bonifica a carico del soggetto che tale contaminazione ebbe in passato a cagionare, avendo questi beneficiato, di converso, dei corrispondenti vantaggi economici (sub specie, in particolare, dell’omissione delle spese necessarie per eliminare o, quanto meno, arginare l’immissione nell’ambiente di sostanze inquinanti).

Invero, il rilascio nell’ambiente di sostanze inquinanti nell’esercizio di attività industriali configurava già all’epoca un illecito: il consapevole svolgimento di un’attività per sua natura pericolosa, quale la produzione su scala industriale di prodotti di tipo chimico (art. 2050 c.c.), rende, infatti, il relativo autore responsabile della lesione, compromissione, degradazione o, comunque, messa in pericolo del bene ambiente che ne sia conseguita, salva la prova liberatoria di aver, già all’epoca, posto in essere ogni esigibile accorgimento idoneo a prevenire in radice tale contaminazione.

Del resto, l’ambiente è oggetto di protezione costituzionale diretta (art. 9) ed indiretta (art. 32), in virtù di norme non meramente programmatiche, ma precettive, che, pertanto, impongono l’ascrizione all’area dell’illecito giuridico di ogni condotta lesiva del bene protetto, tanto più se posta in essere:

- nello svolgimento di attività già per loro natura intrinsecamente pericolose;

- nell’ambito di un’iniziativa imprenditoriale, che, in quanto costituzionalmente conformata dal canone del rispetto della “utilità sociale” (art. 41), è inter alia vincolata alla salvaguardia della salubrità dell’ambiente, la cui compromissione è evidentemente contraria alla “utilità sociale”.

Ne consegue che il danno all’ambiente (inteso quale diminuzione della relativa integrità, anche mediante l’immissione, il rilascio o l’abbandono di sostanze non bio-degradabili) era ab imis ed ab origine ingiusto (cfr. la richiamata pronuncia dell’Adunanza Plenaria 22 ottobre 2019, n. 10). 

Si osserva, in proposito, che la fattispecie di responsabilità civile ha nel nostro ordinamento, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, un carattere “aperto” e non chiuso, tipizzato, tassativo.

L’obbligo di bonifica stabilito per la prima volta dal d.lgs. n. 22 del 1997, dunque, andava semplicemente a completare, integrare e precisare il regime e le forme della responsabilità conseguente alla commissione di condotte che già, comunque, erano ab origine contra jus.

Ciò è tanto più vero con riguardo all’inquinamento derivante dalla dispersione nell’ambiente di mercurio, sostanza già da tempo riconosciuta come pericolosa e gravemente nociva per la salute.

In senso contrario non rilevano:

- né il fatto che le direttive europee in materia di obblighi di bonifica disciplinino solo fatti commessi dopo la rispettiva entrata in vigore, in quanto il diritto dell’Unione non esclude la possibilità per i legislatori nazionali di introdurre regimi di maggior tutela dell’ambiente, correlando obblighi di bonifica anche a contaminazioni storiche;

- né la giurisprudenza della Corte di cassazione in materia di responsabilità penale per contaminazioni ambientali, in quanto in materia penale i principi di irretroattività del reato e della pena si impongono in termini assoluti e stringenti, mentre gli obblighi di bonifica previsti dal Titolo IV del Codice dell’ambiente non hanno finalità sanzionatoria di una condotta pregressa, bensì natura riparatoria e ripristinatoria in relazione ad una situazione di (ancora) attuale inquinamento (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 4 dicembre 2017, n. 5668); 

- né il generale principio di tutela dell’affidamento, che, invero, è da riferirsi all’affidamento incolpevole, chiaramente non predicabile con riferimento al soggetto che, a suo tempo, abbia consapevolmente posto in essere, nell’esercizio di attività giuridicamente qualificabili come pericolose, condotte che, a prescindere da specifiche disposizioni di settore all’epoca in vigore, avevano un’oggettiva, intrinseca ed evidente capacità, quanto meno potenziale, di determinare, aggravare o, comunque, agevolare la contaminazione dell’ambiente.
 

(3) In linea con numerosi precedenti di questo Consiglio (Cons. Stato, sez. V, 5 dicembre 2008, n. 6055; sez. VI, 10 settembre 2015, n. 4225; sez. IV, 7 maggio 2019, n. 2926), la cessione di ramo di azienda, ancorché intervenuta prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 22 del 1997, non elide gli obblighi di bonifica della società cedente per fenomeni di contaminazione che si siano verificati in epoca antecedente alla cessione.

In proposito, occorre anzitutto ribadire che al principio “chi inquina paga”, sotteso alla disciplina nazionale dettata in tema di distribuzione degli oneri conseguenti alla contaminazione di aree (si tratta, in particolare, della Parte IV - Titolo V del codice dell’ambiente, ossia gli artt. 240 e ss.), deve essere riconosciuta, anche in ragione della derivazione euro-unitaria del principio medesimo (artt. 191 e 192 del TFUE), valenza inderogabile di normativa di ordine pubblico, in quanto tale insuscettibile di deroghe di carattere pattizio (Cons. Stato, sez. VI, 10 settembre 2015, n. 4225).

Non hanno, dunque, in radice alcun rilievo né le previsioni contenute nel contratto di cessione di ramo d’azienda a suo tempo stipulato, né l’accordo transattivo, di natura novativa, successivamente intercorso (nel 2003) fra Eni ed Edison, peraltro, a quanto consta, afferente alla più ampia questione del regolamento delle conseguenze economiche del fallito tentativo di integrazione delle rispettive attività industriali nel settore chimico.

Ha osservato la Sezione che la cessione del ramo di azienda non determina una vicenda estintiva né a livello soggettivo, né a livello oggettivo: invero, il cedente, quale soggetto di diritto, permane pur dopo la cessione; specularmente, rimangono in capo al cedente le obbligazioni già gravanti sul medesimo prima della cessione.

Si ponga mente, in proposito, all’art. 2560, comma 1, c.c., a tenore del quale il cedente, anche dopo la cessione, rimane ex lege titolare degli obblighi (e, più in generale, delle posizioni di responsabilità) rivenienti dalla gestione del ramo di azienda precedente alla cessione.


 


Anno di pubblicazione:

2020

Materia:

AMBIENTE, INQUINAMENTO

AMBIENTE

Tipologia:

Focus di giurisprudenza e pareri