Attività di cartomanzia lecita

Attività di cartomanzia lecita


Professioni e mestieri – Cartomanti – Esercizio non truffaldino – Liceità.

 

          Non è vietata, ai sensi dell’art. 121 T.U.L.P.S., l’attività di cartomanzia che non sia esercitata con modalità truffaldine o comunque idonee ad abusare della credulità popolare (1).

 

 

(1) Ha chiarito la Sezione che sulla base della definizione semantica del termine, dopo averlo opportunamente sfrondato da soverchi relitti storico-letterario (come quello inteso a rievocare la figura romantica del venditore girovago di pozioni miracolose o filtri magici), tale può considerarsi, nel contesto storico attuale, chi non si limita ad offrire al pubblico un servizio o prodotto, per quanto di scientificamente indimostrata ed indimostrabile utilità ed efficacia, ma ne esalta le proprietà e le virtù con il ricorso a tecniche persuasive atte ad indebolire e vincere le capacità critiche e discretive dei possibili acquirenti.

Deve invero osservarsi che nell’ambito di un ordinamento giuridico imperniato, come quello vigente, sul principio di libera determinazione degli individui, in cui lo Stato ha pressoché dismesso ogni funzione latamente paternalistico-protettiva e di orientamento etico nei confronti dei consociati, anche le dinamiche di mercato sono tendenzialmente affidate, dal lato della domanda e dell’offerta, alla libera interazione dei suoi protagonisti, i quali, con le loro scelte, determinano l’oggetto dello scambio, ne apprezzano, secondo insindacabili valutazioni di carattere soggettivo, l’utilità e ne determinano, infine, il valore (economico): sempre che, naturalmente, non vengano compromessi beni e valori di carattere superiore (come l’ordine pubblico, il buon costume, la salute dei cittadini ecc.), di cui lo Stato conserva l’irrinunciabile funzione di tutela.

In tale contesto, anche un servizio che, in apparenza, sia oggettivamente privo o comunque di indimostrabile utilità, quale può essere considerata l’attività divinatoria propria del cartomante, in quanto riconducibile alle cd. scienze occulte o esoteriche (per definizione non sottoponibili a prove di verificabilità), può rappresentare un bene “commerciabile”, perché idoneo a rispondere ad una esigenza, per quanto illusoria ed opinabile, meritevole di soddisfacimento e, in quanto tale, suscettibile di generare, in termini mercantili, una corrispondente “domanda”.

Tale può essere, appunto, quella di chi cerchi l’alleviamento dei suoi dubbi esistenziali o la rassicurazione delle sue certezze nei “segni” ricavabili, attraverso la mediazione del cartomante, dalla lettura ed interpretazione delle “carte”.

Del resto, proprio la complessità del mondo attuale, generatrice di incertezza e smarrimento, fa sì che la cartomanzia, con la sua aspirazione a trovare un ordine invisibile in una realtà frammentata e incoerente, assuma una funzione (non solo non dannosa, ma) anche - socialmente o individualmente - utile, fornendo (o tentando di fornire), a chi non sappia o voglia trovarlo su più affidabili terreni, riparo dalle paure e dalle contraddizioni della modernità.

Inoltre, è evidente che se in un contesto sociale di bassa alfabetizzazione, quindi di maggiore esposizione del pubblico alle lusinghe di spregiudicati imbonitori, quale era quello degli inizi del secondo ventesimo, la soglia della difesa sociale era opportunamente fissata ad un livello inferiore, questa non potrebbe che attestarsi ad un punto più avanzato una volta che la stessa società, grazie al processo di diffusione culturale realizzatosi nei decenni successivi (fino a raggiungere l’acme nel tempo attuale), ha generato gli “anticorpi” necessari a proteggere i suoi componenti dalla tentazione di cedere alle fragili quanto illusorie speranze di precognizione del futuro: ciò che induce a ritenere che chi si rivolge al cartomante non è necessariamente mosso da ingenua credulità (ma, ad esempio, da semplice curiosità o desiderio di svago) né fatalmente abdica al proprio spirito critico, abbandonandosi remissivamente alle sue suggestioni.

In tale quadro, di cui non può non tenere conto l’interpretazione di disposizioni nate in un diverso e ben più risalente (dal punto di vista socio-economico ed istituzionale) contesto, deve rilevarsi che, come anticipato, la stessa fattispecie regolamentare pone l’accento sulle specifiche modalità di svolgimento dell’attività del cartomante, disponendo che essa, per non tracimare nella sfera operativa del divieto, non debba tradursi nella “speculazione sull’altrui credulità” ovvero nello “sfruttamento o alimentazione dell’altrui pregiudizio”.

Ebbene, premesso che anche il servizio cartomantico implica l’impegno di energie (materiali ed intellettuali), e quindi ha una sua concreta tangibilità economica, atta a fungere da elemento corrispettivo del contratto stipulato con il richiedente (sebbene nelle forme semplificate proprie del contatto telefonico o comunque “a distanza”), e che i concetti stessi di “speculazione” e di “sfruttamento” implicano la ricerca ed il conseguimento di un utile sovradimensionato rispetto alle risorse impiegate o all’effettivo valore economico del bene e/o servizio scambiato, ciò che assume non secondario rilievo, per i fini de quibus, è appunto la sussistenza di un rapporto di proporzione tra il “servizio” divinatorio offerto ed il prezzo richiesto e pagato per riceverlo: con la conseguenza che, a segnare il discrimine tra attività di cartomanzia e ciarlataneria, ovvero al fine di identificare la connotazione “speculativa” o “profittatrice” della stessa, sono proprio i mezzi e le modalità impiegate al fine di offrire al pubblico la “prestazione” profetica.

Da tale punto di vista, lo sconfinamento nell’area della “ciarlataneria” si verifica appunto quando il “messaggio” commerciale che accompagna l’offerta del servizio tende a rappresentare la prestazione divinatoria non nella sua impalpabile valenza predittiva, ma come strumento realmente efficace ed infallibile per la preveggenza del futuro, con la connessa richiesta di una contropartita commisurata al maggior valore che la prestazione, per come artatamente rappresentata, assumerebbe, ovvero quando, per le modalità e/o le circostanze in cui si svolge la relazione tra cartomante e cliente, essa denota l’approfittamento da parte del primo della eventuale situazione di particolare debolezza psicologica del secondo.

In altre parole, finché la prestazione cartomantica viene offerta nella sua reale essenza ed il corrispettivo pattuito conserva un ragionevole equilibrio con la stessa, non è dato discutere di “speculatività” dell’attività del soggetto erogatore; laddove, invece, alla stessa vengano attribuite proprietà prodigiose o taumaturgiche e, facendo leva su di esse, sia richiesto un corrispettivo sproporzionato rispetto alla sua valenza meramente “consolatoria”, potrà dirsi integrata l’ipotesi (vietata) della “ciarlataneria”.


Anno di pubblicazione:

2020

Materia:

PROFESSIONI intellettuali

Tipologia:

Focus di giurisprudenza e pareri