Alla Corte di Giustizia Ue l’obbligo di rimessione del giudice di appello e questioni legate ai depositi fiscali

Alla Corte di Giustizia Ue l’obbligo di rimessione del giudice di appello e questioni legate ai depositi fiscali


Processo amministrativo - Rinvio pregiudiziale alla corte di giustizia Ue – Giudice di appello – Obbligo - Rimessione alla Corte di Giustizia Ue. 

Dogana – Depositi commerciali di gas di petrolio - Deposito fiscale – Autorizzazione – Compatibilità comunitaria – Rimessione alla Corte di Giustizia Ue. 

 

                 Sono rimesse alla Corte di Giustizia Ue le questioni: a) se la corretta interpretazione dell’art. 267 TFUE imponga al giudice nazionale, avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno, di operare il rinvio pregiudiziale su una questione di interpretazione del diritto unionale rilevante nell’ambito della controversia principale, anche qualora possa escludersi un dubbio interpretativo sul significato da attribuire alla pertinente disposizione europea - tenuto conto della terminologia e del significato propri del diritto unionale attribuibili alle parole componenti la relativa disposizione, del contesto normativo europeo in cui la stessa è inserita e degli obiettivi di tutela sottesi alla sua previsione, considerando lo stadio di evoluzione del diritto europeo al momento in cui va data applicazione alla disposizione rilevante nell’ambito del giudizio nazionale – ma non sia possibile provare in maniera circostanziata, sotto un profilo soggettivo, avuto riguardo alla condotta di altri organi giurisdizionali, che l’interpretazione fornita dal giudice procedente sia la stessa di quella suscettibile di essere data dai giudici degli altri Stati membri e dalla Corte di Giustizia ove investiti di identica questione; b) se – per salvaguardare i valori costituzionali ed europei della indipendenza del giudice e della ragionevole durata dei processi – sia possibile interpretare l’art. 267 TFUE, nel senso di escludere che il giudice supremo nazionale, che abbia preso in esame e ricusato la richiesta di rinvio pregiudiziale di interpretazione del diritto della Unione europea, sia sottoposto automaticamente, ovvero a discrezione della sola parte che propone l’azione, ad un procedimento per responsabilità civile e disciplinare (1)

 

 Sono rimesse alla Corte di giustizia Ue le questioni pregiudiziali: a) se la corretta interpretazione degli artt. da 101 a 106 TFUE, nonché del quadro normativo espresso dalle direttive 2006/123/CE e 2008/118/CE osti ad una norma nazionale, quale quella desumibile dall’art. 23, comma 3, d.lgs. 16 ottobre 1995, n. 504, come successivamente modificato e integrato, che prevede che “3. La gestione in regime di deposito fiscale può essere autorizzata, laddove sussistano effettive necessità operative e di approvvigionamento dell'impianto, per i depositi commerciali di gas di petrolio liquefatti di capacità non inferiore a 400 metri cubi e per i depositi commerciali di altri prodotti energetici di capacità non inferiore a 10.000 metri cubi; b)  se la corretta interpretazione degli artt. da 101 a 106 TFUE, nonché del quadro normativo espresso dalle direttive 2006/123/CE e 2008/118/CE osti ad una norma nazionale, quale quella desumibile dall’art. 23, comma 4, lettere a) e b), d.lgs. 16 ottobre 1995, n. 504, come successivamente modificato e integrato, che prevede che la gestione in regime di deposito fiscale possa essere autorizzata, in particolare, per i depositi commerciali di gas di petrolio liquefatti di capacità inferiore a 400 metri cubi e per i depositi commerciali di altri prodotti energetici di capacità inferiore a 10.000 metri cubi quando, oltre ai presupposti di cui al comma 3, ricorra almeno una delle seguenti condizioni: 1) il deposito effettui forniture di prodotto in esenzione di accisa o ad accisa agevolata o trasferimenti di prodotti energetici in regime sospensivo verso Paesi dell’Unione europea ovvero verso Paesi non appartenenti all’Unione europea, in misura complessiva pari ad almeno il 30 per cento del totale delle estrazioni del biennio; 2) il deposito sia propaggine di un deposito fiscale ubicato nelle immediate vicinanze appartenente allo stesso gruppo societario o, se di diversa titolarità, sia stabilmente destinato ad operare al servizio del predetto deposito; e) se la corretta interpretazione ed applicazione del principio di proporzionalità, in combinazione con gli articoli da 101 a 106 TFUE e il quadro normativo espresso dalle direttive 2006/123/CE e 2008/118/CE e in particolare dagli artt. 9, 14 n. 5, 15 par. 2 della direttiva 2006/123/CE osti a misure regolatorie (circolari, regolamenti od altro) assunte dall’Autorità nazionale volte a chiarire, integrandole, le predette condizioni di cui all’art. 23, comma 4, lett. a) e b), d.lgs. 26 ottobre 1995, n. 504 s.m.i. (2)

 

(1) Consiglio di Stato, giudice di ultima istanza nell’ambito dell’ordinamento processuale italiano, è chiamato a pronunciare su una controversia nazionale in cui vengono dedotte alcune questioni di interpretazione e di corretta applicazione di disposizioni e principi unionali. 

In particolare, secondo la tesi di parte ricorrente, per statuire sul primo e sul terzo motivo del ricorso di primo grado (riproposti in appello al punto I e II) sarebbe necessario ricostruire il quadro normativo espresso dalle direttive 2008/18/CE e 2006/123/CE, nonché applicare i principi di libera concorrenza, libera circolazione dei servizi, proporzionalità e non discriminazione, in maniera da verificare se le misure adottate dal legislatore nazionale, con cui sono state fissate condizioni alla gestione in regime di deposito fiscale di prodotti energetici in sospensione di accisa, abbiano una base normativa, siano proporzionate e non determinino una irragionevole discriminazione tra operatori di piccole, medie e grandi dimensioni, riferite al fatturato o ad altri parametri e una irragionevole restrizione dell’offerta. 

In coerenza con quanto di recente osservato da questo Consiglio (sez. VI, n. 5588 del 2020) si evidenzia come, nel presente giudizio, vengano sollevate questioni interpretative nell’ambito di una causa principale nazionale in cui si controverte della disciplina normativa di regolazione, interpretazione e attuazione adottata dalle Autorità nazionali (altresì) in applicazione di disposizioni interne di recepimento del diritto europeo, fra l’altro, riguardanti l’intero territorio nazionale e applicate anche a trasferimenti di prodotti energetici in regime sospensivo verso Paesi dell’Unione europea. 

La giurisprudenza della Corte di giustizia, a partire dalla sentenza del 6 ottobre 1982, Cilfit, in causa C 283/81, ha precisato che, al fine di evitare che in un qualsiasi Stato membro si consolidi una giurisprudenza nazionale in contrasto con le norme del diritto dell’Unione, qualora non sia previsto alcun ricorso giurisdizionale avverso la decisione di un giudice nazionale, quest’ultimo è, in linea di principio, tenuto a rivolgersi alla Corte ai sensi dell’articolo 267, terzo comma, TFUE quando è chiamato a pronunciarsi su una questione d’interpretazione del diritto europeo. 

L’obbligo di rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE, gravante sul giudice di ultima istanza, rientra, infatti, nell’ambito della cooperazione istituita al fine di garantire la corretta applicazione e l’interpretazione uniforme del diritto dell’Unione nell’insieme degli Stati membri, fra i giudici nazionali, in quanto incaricati dell’applicazione del diritto dell’Unione, e la Corte (Corte di giustizia, sentenza del 15 marzo 2017, in causa C-3/16, Aquino, punto 32). 

La violazione di tale obbligo è idonea a configurare un inadempimento dello Stato membro, la cui responsabilità può essere affermata a prescindere dalla natura dell’organo statale che abbia dato luogo alla trasgressione, quindi, anche se si tratti di un’istituzione costituzionalmente indipendente, qual è il giudice nazionale (Corte di giustizia, sentenza del 4 ottobre 2018, in causa C-416/17, Commissione c. Repubblica francese, punto 107). 

Gli organi giurisdizionali non sono, invece, tenuti a disporre il rinvio pregiudiziale qualora constatino che la questione sollevata non sia rilevante o che la disposizione del diritto dell’Unione di cui trattasi sia già stata oggetto d’interpretazione da parte della Corte, ovvero che la corretta applicazione del diritto dell’Unione si imponga con tale evidenza da non lasciar adito a ragionevoli dubbi. 

Con riferimento a tale ultima condizione, come indicato dalla Corte di giustizia nella sentenza Cilfit cit., occorrerebbe accertare che “la corretta applicazione del diritto comunitario può imporsi con tale evidenza da non lasciar adito ad alcun ragionevole dubbio sulla soluzione da dare alla questione sollevata. Prima di giungere a tale conclusione, il giudice nazionale deve maturare il convincimento che la stessa evidenza si imporrebbe anche ai giudici degli altri Stati membri ed alla Corte di Giustizia. Solo in presenza di tali condizioni il giudice nazionale può astenersi dal sottoporre la questione alla corte risolvendola sotto la propria responsabilità” (sentenza del 6 ottobre 1982, Cilfit e a., in causa 283/81, punto 16). 

La configurabilità di una simile eventualità dovrebbe essere valutata in funzione delle caratteristiche proprie del diritto dell’Unione e delle particolari difficoltà che la sua interpretazione presenta, in maniera da evitare il rischio di divergenze giurisprudenziali all’interno dell’Unione. 

In particolare, occorrerebbe: 

a) provvedere ad un raffronto tra le varie versioni linguistiche in cui la disposizione è stata redatta; 

b) anche nel caso di piena concordanza delle versioni linguistiche, considerare che il diritto europeo impiega una terminologia che gli è propria e che le nozioni giuridiche non presentano necessariamente lo stesso contenuto nel diritto unionale e nei vari diritti nazionali; 

c) collocare ogni disposizione di diritto europeo nel proprio contesto, interpretandola alla luce dell’insieme delle disposizioni componenti il diritto unionale, delle sue finalità e del suo stadio di evoluzione al momento in cui va data applicazione alla disposizione rilevante nell’ambito del giudizio nazionale. 

La giurisprudenza successiva ha confermato i principi espressi dalla sentenza Cilfit cit., ribadendo che, al fine di escludere ogni ragionevole dubbio sulla soluzione da dare alla questione di interpretazione del diritto unionale e, pertanto, al fine di escludere la necessità del rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE, “il giudice nazionale di ultima istanza deve maturare il convincimento che la stessa evidenza si imporrebbe anche ai giudici degli altri Stati membri ed alla Corte. Solo in presenza di tali condizioni, il giudice nazionale può astenersi dal sottoporre la questione alla Corte risolvendola sotto la propria responsabilità” (Corte di giustizia, sentenza del 28 luglio 2016, in causa C-379/15, Association France Nature Environnement, punto 48); con la precisazione, da un lato, che “il giudice nazionale, le cui decisioni non siano più soggette a ricorso giurisdizionale, è tenuto a rivolgersi alla Corte in via pregiudiziale in presenza del minimo dubbio riguardo all’interpretazione o alla corretta applicazione del diritto dell’Unione” (sentenza del 28 luglio 2016, in causa C-379/15, Association France Nature Environnement, punto 51); dall’altro, che “l’assenza di dubbi in tal senso necessita di prova circostanziata” (sentenza del 28 luglio 2016, in causa C-379/15, Association France Nature Environnement, punto 52). 

Le condizioni poste da codesta Corte di giustizia, per escludere l’obbligo di rinvio pregiudiziale gravante sul giudice di ultima istanza ex art. 267 TFUE, risultano: 

- di difficile accertamento nella parte in cui fanno riferimento alla necessità che il giudice procedente, certo dell’interpretazione e dell’applicazione da dare al diritto unionale rilevante per la soluzione della controversia nazionale, provi in maniera circostanziata che la medesima evidenza si imponga anche presso i giudici degli altri Stati membri e la Corte; 

- foriere di responsabilità civile per il giudice supremo nazionale italiano, in base alla norma sancita dall’art. 2, comma 3-bis, l. n. 117 del 1988 secondo cui << 3-bis. Fermo restando il giudizio di responsabilità contabile di cui al decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 543, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 dicembre 1996, n. 639, ai fini della determinazione dei casi in cui sussiste la violazione manifesta della legge nonché del diritto dell'Unione europea si tiene conto, in particolare, del grado di chiarezza e precisione delle norme violate nonché dell'inescusabilità e della gravità dell'inosservanza. In caso di violazione manifesta del diritto dell'Unione europea si deve tener conto anche della mancata osservanza dell'obbligo di rinvio pregiudiziale ai sensi dell'articolo 267, terzo paragrafo, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, nonché del contrasto dell'atto o del provvedimento con l'interpretazione espressa dalla Corte di giustizia dell'Unione europea. >>. Di modo che - allo scopo di prevenire la proposizione dell’azione di risarcimento del danno (ma anche la certezza di essere coinvolti in un accertamento disciplinare ai sensi dell’art. 9, comma 1, l. n. 117 cit., pure dopo le precisazioni operate dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 169 del 2021) - il giudice nazionale è costretto a disporre un rinvio pregiudiziale pur che sia, allungando di molto i tempi di risoluzione della controversia, in violazione del principio costituzionale (art. 111, comma 2, Cost.) ed europeo (art. 47, comma 2, Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea), della ragionevole durata del processo. 

La ricostruzione del significato precettivo da assegnare alle norme giuridiche, siano esse di fonte sovranazionale o nazionale, per propria natura, è esposta alla soggettività dell’attività interpretativa, che, per quanto possa essere limitata, non risulta in radice eliminabile; sicché appare arduo, se non impossibile, escludere nel caso concreto ogni “minimo dubbio” (sentenza del 28 luglio 2016, in causa C-379/15, Association France Nature Environnement, punto 51), in ordine all’eventualità che altro giudice nazionale appartenente ad uno Stato membro o la stessa Corte di Giustizia decida la medesima questione pregiudiziale in maniera, anche soltanto in parte, divergente da quanto ritenuto dal giudice nazionale procedente. 

La prova circostanziata di una tale evidenza si tradurrebbe, in particolare, in una probatio diabolica, con la conseguenza che il giudice nazionale di ultima istanza sarebbe costretto al rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE, ogniqualvolta la questione interpretativa posta nel giudizio nazionale, rilevante ai fini della soluzione della controversia, non sia materialmente identica ad altra questione, sollevata in relazione ad analoga fattispecie, che sia già stata decisa in via pregiudiziale. 

Al fine di evitare il rischio di inadempimento dello Stato membro di appartenenza (foriero, altresì, di responsabilità risarcitoria, come ritenuto da codesta Corte, ex aliis, con sentenza del 30 settembre 2003, in causa C 224/01, Köbler e del 13 giugno 2006, in causa C‑173/03, Traghetti del Mediterraneo), il giudice nazionale di ultima istanza, riscontrando l’assenza di precedenti afferenti ad identica questione decisa da codesta Corte di giustizia, sarebbe, infatti, indotto al rinvio pregiudiziale, anche ove non ritenesse dubbia la soluzione da fornire alla questione pregiudiziale unionale, alla luce del tenore letterale delle pertinenti disposizioni europee rilevanti nel caso concreto, del loro contesto e degli obiettivi perseguiti dalla normativa di cui fanno parte, come ricostruibili sulla base dei principi generali di diritto espressi dal diritto primario e interpretati da codesta Corte di giustizia. 

In ciò si rileva un’altra incongruità del sistema euro nazionale: infatti, pure in presenza di una attività esegetica motivatamente svolta dal giudice nazionale (come nel caso di specie), quest’ultimo può essere attinto dalla minaccia della sanzione risarcitoria e disciplinare per gli esiti (non graditi) della interpretazione, con una evidente lesione del valore della indipendenza della magistratura, elemento costitutivo della declamata rule of law

In maniera da assicurare una concreta possibilità di applicazione delle condizioni enunciate da codesta Corte di giustizia come deroga all’obbligo di rinvio pregiudiziale ex art. 274 TFUE, nella parte in cui si riferiscono all’evidenza nella corretta applicazione del diritto europeo “tale da non lasciar adito ad alcun ragionevole dubbio sulla soluzione da dare alla questione sollevata”, occorre, quindi, un chiarimento da parte di codesta Corte di giustizia, richiesto nell’ambito della stretta cooperazione tra la Corte e i giudici degli Stati membri alla base del procedimento pregiudiziale (cfr. punto 2 raccomandazioni all’attenzione dei giudici nazionali, relative alla presentazione di domande di pronuncia pregiudiziale - 2018/C 257/01). 

 

(2) Ha chiarito la Sezione che, una volta venute meno le condizioni che avevano consentito di operare in regime di sospensione di accisa, l’operatore può chiedere di riqualificarsi come esercente di deposito commerciale, chiedendo la licenza di esercizio ai sensi dell’art. 25, comma 4, come previsto dall’art. 23, comma 12, t.u.a. 

L’art. 23, nel prevedere la soglia minima del 30%, non determina una discriminazione nei confronti del prestatore né si risolve in una barriera all’ingresso o in un trattamento discriminatorio ai danni delle piccole e medie imprese poiché si limita a richiedere che sia assicurato un limite di estrazione di prodotto agevolato non in termini assoluti bensì in percentuale rispetto alle operazioni effettuate, di talché anche un’azienda di dimensioni piccole o medie può raggiungere il 30% di estrazioni nel biennio. 

Da tale ricostruzione consegue che il regime di sospensione fiscale opera su un piano del tutto distinto da quello commerciale poiché è correlato esclusivamente a necessità funzionali dell’azienda, ma non ha effetti di barriera all’ingresso del mercato dei prodotti energetici e non comporta distorsioni sproporzionate e irrazionali della libera concorrenza, sicché è inconferente il richiamo alla direttiva 2006/123/CE, come pure inconferente è l’asserito contrasto, peraltro soltanto genericamente dedotto, rispetto agli artt. 101-106 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea. 

La Sezione non ravvisa altresì profili di contrasto con le direttive 2008/118/CE e 2006/123/CE (artt. 9 e ss.) nella suddivisione del mercato in due fasce dimensionali ai sensi dei commi 3 e 4 dell’art. 23, poiché il criterio utilizzato dal legislatore è di tipo quantitativo ed è quindi di tipo oggettivo, e prende a riferimento la capacità in termini di metri cubi di prodotti energetici depositati. Trattasi quindi di criterio che rispetta i principii di proporzionalità e ragionevolezza. 

Non sussistono elementi di difformità rispetto alle richiamate fonti eurounitarie neanche per quanto concerne il comma 4 dell’art. 23, giacché il requisito dell’essere “propaggine di un deposito fiscale ubicato nelle immediate vicinanze appartenente allo stesso gruppo societario o, se di diversa titolarità, destinato stabilmente ad operare al servizio del predetto deposito” risulta conforme alla ratio della disciplina normativa, sia euro unitaria sia nazionale, in materia di controllo dei fenomeni elusivi in materia di accise, per cui i depositi con le caratteristiche indicati al comma 4 sono ritenuti, in base ad una presunzione del legislatore, più sicuri dal punto di vista del controllo del rispetto delle disposizioni che consentono di accedere al regime di sospensione fiscale. 

Per quanto concerne il contrasto con le norme interposte della l. 234 del 2012 – sotto il profilo che la modifica del d.lgs. n. 504 del 1995 avrebbe dovuto essere apportata con la procedura rafforzata ivi prevista dagli artt. 29 e 30 e non a mezzo della legge di bilancio n. 232 del 2016 - la questione è manifestamente infondata sia per le motivazioni esposte dal giudice di primo grado con riferimento alla circostanza che la legge di bilancio ha la finalità di reperire fonti di finanziamento per il bilancio dello Stato, tra cui rientra anche la lotta all’evasione e all’elusione di fiscale (nel caso di specie con riferimento al fenomeno nel settore delle accise), sia perché la Costituzione non prevede che il recepimento delle fonti eurounitarie avvenga con meccanismi procedurali rafforzati, quali quelli di cui alla l. n. 234 del 2012, potendo, bensì, avvenire con qualsivoglia strumento legislativo qualora

necessario o maggiormente funzionale agli scopi da raggiungere


Anno di pubblicazione:

2021

Materia:

UNIONE Europea, RINVIO pregiudiziale alla Corte di giustizia UE

GIUSTIZIA amministrativa

DOGANA

Tipologia:

Focus di giurisprudenza e pareri