Alla Corte di Giustizia UE alcune questioni su componenti di ricambio, oggetto di appalto di fornitura, realizzate da fabbricante diverso dal costruttore dell’autobus destinato al servizio pubblico

Alla Corte di Giustizia UE alcune questioni su componenti di ricambio, oggetto di appalto di fornitura, realizzate da fabbricante diverso dal costruttore dell’autobus destinato al servizio pubblico


Contratti della Pubblica amministrazione – Appalto fornitura - Autobus destinati al servizio pubblico - Componenti di ricambio – Realizzate da fabbricante diverso dal costruttore del veicolo – Non omologate unitamente al veicolo – Fornitore autoqualificatosi come “costruttore” di una determinata componente di ricambio non originale – Compatibilità con disciplina comunitaria – Rimessione alla Corte di Giustizia Ue. 

 

       Devono essere rimesse alla corte di Giustizia Ue le questioni: a) se sia conforme al diritto europeo - e, in particolare, alle previsioni della direttiva 2007/46/CE (di cui agli artt. 10, 19 e 28 della detta direttiva comunitaria), nonché ai principi di parità di trattamento ed imparzialità, di piena concorrenzialità e buon andamento dell’azione amministrativa - che, con specifico riferimento alla fornitura mediante appalto pubblico di componenti di ricambio per autobus destinati al servizio pubblico, sia consentito alla Stazione appaltante accettare componenti di ricambio destinate ad un determinato veicolo, realizzate da un fabbricante diverso dal costruttore del veicolo, quindi non omologate unitamente al veicolo, rientranti in una delle tipologie di componenti contemplate dalle normative tecniche elencate nell’allegato IV della su indicata direttiva (Elenco delle prescrizioni per l'omologazione CE dei veicoli) ed offerte in gara senza il corredo del certificato di omologazione e senza alcuna notizia sull’effettiva omologazione ed anzi sul presupposto che l’omologazione non sarebbe necessaria, risultando sufficiente solo una dichiarazione di equivalenza all’originale omologato resa dall’offerente; b)se sia conforme al diritto europeo - e, in particolare, all’art. 3, punto 27, della direttiva 2007/46/CE – che, in relazione alla fornitura mediante appalto pubblico di componenti di ricambio per autobus destinati al servizio pubblico, sia consentito al singolo concorrente di autoqualificarsi come “costruttore” di una determinata componente di ricambio non originale destinata ad un determinato veicolo, in particolare ove rientrante in una delle tipologie di componenti contemplate dalle normative tecniche elencate nell’allegato IV (Elenco delle prescrizioni per l'omologazione CE dei veicoli) della direttiva 2007/46/Ce, ovvero se detto concorrente debba invece provare – per ciascuno delle componenti di ricambio così offerte e per attestarne l’equivalenza alle specifiche tecniche di gara - di essere il soggetto responsabile verso l’autorità di omologazione di tutti gli aspetti del procedimento di omologazione nonché della conformità della produzione e relativo livello qualitativo e di realizzare direttamente almeno alcune delle fasi di costruzione del componente soggetto all’omologazione, chiarendo altresì, in caso affermativo, con quali mezzi debba essere fornita detta prova (1). 


 

(1) In termini v. anche Cons. St., sez. V, ord., 14 dicembre 2020, n. 7965.  

 

Ha premesso l’ordinanza che l’art. 68, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 disciplina l’inserimento nei documenti di gara delle specifiche tecniche indicate al punto 1 dell’allegato XIII del Codice che definiscono le caratteristiche previste per i lavori, servizi o forniture oggetto della procedura. Tali caratteristiche devono essere attinenti all’oggetto dell’appalto e proporzionate al suo valore e ai suoi obiettivi.
Allo scopo di evitare che la previsione di specifiche tecniche impedisca la libera concorrenza degli offerenti, determinando ostacoli ingiustificati all’accesso alla procedura degli operatori economici, il comma 7 dell’art. 68 cit. prevede che le Stazioni appaltanti, nei casi in cui si avvalgono della possibilità di fare riferimento alle specifiche tecniche di cui al comma 5, lettera b), non possono dichiarare inammissibile o escludere un’offerta in ragione del fatto che i lavori, le forniture o i servizi offerti non sono conformi alle specifiche tecniche alle quali hanno fatto riferimento, se nella propria offerta il partecipante dimostra che le soluzioni dallo stesso proposte ottemperano in maniera equivalente ai requisiti definiti dalle specifiche tecniche. Tale dimostrazione può essere fornita dall’offerente con qualsiasi mezzo appropriato, compresi i mezzi di prova di cui all’art. 86 dello stesso Codice dei contratti pubblici. 
La disciplina descritta stabilisce, dunque, l’applicazione, in tema di specifiche tecniche, del principio dell’equivalenza: detto principio consente appunto agli operatori di mercato che siano sprovvisti delle particolari caratteristiche tecniche previste dalla lex specialis di gara, di partecipare comunque alla procedura di appalto dando prova, con mezzi idonei, di poter fornire alla Stazione appaltante requisiti tecnici equivalenti a quelli dalla stessa richiesta.
Tali mezzi di prova possono essere (cfr. art. 86 e allegato XVII, d.lgs. n. 50 del 2016, nonché art. 62 direttiva 2014/24/CE): “una relazione di prova di un organismo di valutazione della conformità o un certificato rilasciato da un organismo di valutazione della conformità” oppure “una documentazione tecnica del fabbricante”.
Il Codice dei contratti pubblici intende attribuire rilievo al contenuto sostanziale dell’offerta, ossia alla sussistenza di caratteristiche del prodotto atte a soddisfare le esigenze della stazione appaltante, rispetto al fine che la stessa intende conseguire, conciliandolo con il necessario rispetto dell’interesse pubblico ad una partecipazione più ampia possibile alla procedura di gara. 
Ove l’operatore economico in sede di offerta non fornisca, con qualsiasi mezzo appropriato, la citata prova della corrispondenza delle soluzioni proposte, in maniera equivalente, ai requisiti richiesti dalle specifiche tecniche, egli dovrebbe essere escluso dalla gara, senza che possa ravvisarsi in capo alla Stazione appaltante un onere di attività di indagine circa l’eventuale equivalenza ovvero di attivazione del soccorso istruttorio (che comporterebbe l’alterazione della par condicio tra gli offerenti).
A livello europeo la Direttiva UE- 2007/46/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 5 settembre 2007 (“Omologazione veicoli a motore e rimorchi”) istituisce un quadro per l’omologazione dei veicoli a motore e dei loro rimorchi, nonché dei sistemi, componenti ed entità tecniche destinati a tali veicoli. Tale Direttiva è stata recepita con Decreto del ministero delle infrastrutture e dei trasporti 28 aprile 2008, n. 32721 (Omologazione dei veicoli a motore e dei loro rimorchi), il cui art. 3, lett. ff), definisce "costruttore" la persona o l'ente responsabile, verso l'autorità di omologazione, di tutti gli aspetti del procedimento di omologazione e della conformità della produzione, anche se “non è indispensabile che detta persona o ente partecipino direttamente a tutte le fasi di costruzione del veicolo, del sistema, del componente o dell'entità tecnica soggetti all'omologazione”.
Così delineate le questioni oggetto della controversia, occorre, in primo luogo, stabilire se sia necessaria l’omologazione per i componenti non originali realizzati da un componentista: si tratta, in particolare, di accertare se per i ricambi equivalenti soggetti ad omologazione, individuabili sulla base dei rinvii alla disciplina di settore contenuti nella disciplina di gara, il concorrente debba produrre, a pena di esclusione della propria offerta, anche il certificato di omologazione a comprova dell’effettiva corrispondenza con l’originale e ai fini dell’utilizzabilità (sul piano legale e tecnico) sui veicoli ai quali il ricambio è destinato (o quanto meno provare in concreto l’avvenuta omologazione dello stesso), oppure se sia sufficiente, in alternativa a tale produzione documentale, una dichiarazione dell’impresa concorrente che attesti l’equivalenza agli originali dei ricambi offerti. 
In secondo luogo, occorre stabilire da quale soggetto debbano provenire le attestazioni di equivalenza, e, in particolare, se esse debbano necessariamente provenire dal costruttore della parte o componente offerta ovvero possono provenire anche dal mero rivenditore e commerciante. 
In relazione al primo profilo, sembra a questo giudice che il portato precettivo di cui al combinato disposto della direttiva 2007/46/Ce e normativa nazionale di recepimento sulla omologazione dei veicoli e dei componenti consente di ritenere che la disciplina ivi recata non differisca se la parte, il ricambio e la componente sia destinata al primo impianto o al c.d. After Market automobilistico, né se a realizzarla sia un costruttore di veicoli o un componentista. Tale opzione interpretativa, nel quadro normativo delineato, appare equilibrata poiché sottopone ai medesimi obblighi costruttori (i quali omologano la vettura complessivamente e, così facendo, omologano automaticamente, in via sostitutiva, anche ciascuna parte di quel veicolo) e componentisti (che progettano e fabbricano autonomamente singole componenti del veicolo).
Pertanto, se una parte o componente ricade in un “regulatory act” comunitario (cfr. allegato IV alla direttiva 2007/46/Ce) anch’essa potrebbe essere commercializzata (al pari delle componenti omologate unitamente al veicolo) solo se previamente omologata: e ciò in conformità alle corrispondenti previsioni della direttiva 2007/46/CE e conformemente ai principi di parità di trattamento, ragionevolezza, buon andamento e imparzialità. 
Tuttavia, la disciplina comunitaria e nazionale relativa all’omologazione dei veicoli e dei loro componenti non pare interpretabile sono nel senso anzidetto, potendo anche sostenersi, come prospettato dalle parti appellate, che l’offerta avente ad oggetto le componenti rientranti nelle tipologie di cui all’allegato IV, realizzate da soggetti del tutto autonomi dal costruttore dal veicolo e destinate ad un determinato veicolo, non devono essere anch’esse obbligatoriamente corredate da rigorosa e attendibile documentazione tecnica che comprovi che le stesse sono state assoggettate alle medesime prove alle quali devono essere sottoposte le componenti originali del veicolo per conseguire la prescritta omologazione, e che possa risultare sufficiente, in alternativa a tale documentazione, anche una generica attestazione di equivalenza che dichiari la conformità del ricambio alle specifiche tecniche previste dalla legge di gara e la corrispondenza delle soluzioni proposte a quanto ivi richiesto. 
In relazione al secondo profilo controverso, giova anzitutto evidenziare che, alla luce della normativa comunitaria e nazionale in materia, le figure di costruttore e fornitore appaiono ben distinte. 
​​​​​​​In particolare, il costruttore è, secondo la definizione fornita dall’art. 3, lett. ff), d.m. 28 aprile 2008, che riporta integralmente l’art. 3, n. 27 della citata Direttiva del 5 settembre 2007, il soggetto che partecipa direttamente ad almeno una delle fasi della materiale costruzione e fabbricazione dei pezzi di ricambio. 
Al fine di circoscrivere e delineare più precisamente tale figura, si può aggiungere che secondo l’art. 2.1.1. del Regolamento UNECE su dischi freno e tamburi il “Fabbricante” è definito come “l’organismo che può assumersi la responsabilità tecnica degli insiemi di guarnizioni per freni o delle guarnizioni per freni a tamburo e può dimostrare di possedere i mezzi necessari per ottenere la conformità della produzione”.
Il fornitore è invece il soggetto che si occupa della commercializzazione e distribuzione di ricambi costruiti da altri, non avendo partecipato a nessuna delle fasi costruttive del ricambio e rimanendo perciò totalmente estraneo al relativo processo produttivo.
Tanto emerge anche dalla normativa comunitaria in materia di sicurezza dei consumatori e sicurezza generale dei prodotti, richiamata dalle parti del giudizio (cfr. in particolare, la definizione di «distributore» di cui all’art. 2 Dir. 2001/95/CE e all’art. 2 del Reg. CE n. 765/08).
Così delineate le figure di costruttore e fornitore, è bene allora evidenziare che qui si controverte sia circa l’interpretazione del termine “costruttore”, sia in ordine alla possibilità che l’attestazione di equivalenza possa provenire anche dal mero fornitore e rivenditore del ricambio che non sia il costruttore. 
Di tale nozione si può fornire, infatti, sia un’interpretazione restrittiva che lo fa coincidere con quella del fabbricante, sia un’interpretazione estensiva, in base alla quale il costruttore può essere inteso, in senso più ampio, anche come produttore (nel significato che assume nella normativa a tutela del consumatore), ovvero come il soggetto che immette sul mercato e commercializza, a proprio nome e sotto la propria responsabilità, i ricambi equivalenti fabbricati da altri.
A favore della prima tesi depone quanto già prescritto dal Regolamento (CE) 31 luglio 2002, n. 1400/2002 (Regolamento della Commissione relativo all'applicazione dell'articolo 81, paragrafo 3, del trattato a categorie di accordi verticali e pratiche concordate nel settore automobilistico) che definisce (art. 1, comma 1, lett. u) “pezzi di ricambio di qualità corrispondente” solo i “pezzi di ricambio fabbricati da qualsiasi impresa che possa certificare in qualunque momento che la qualità di detti pezzi di ricambio corrisponde a quella dei componenti che sono stati usati per l'assemblaggio degli autoveicoli”. 
Secondo questa tesi l’equivalenza del ricambio deve essere certificata esclusivamente dal fabbricante, poiché è proprio il riferimento a quest’ultimo che consente l’esatta identificazione del prodotto e, mediante la certificazione, delle sue caratteristiche tecniche. Ogni singolo pezzo da indicare nell’offerta deve essere, infatti, non un ricambio equivalente qualsiasi, ma un ricambio ex ante ben individuato (cioè il ricambio di un certo costruttore, tenuto a certificarne l’equivalenza rispetto all’originale), identificato o identificabile: diversamente, ciò consentirebbe all’impresa concorrente di riservarsi il potere di scegliere, divenuta aggiudicataria, all’atto della fornitura del pezzo, il prodotto economicamente più conveniente.
Inoltre, secondo tale tesi, non potrebbe farsi riferimento, ai fini della delimitazione della figura di costruttore, ad altre discipline non pertinenti, quale la normativa sui consumatori che ha un ambito di applicazione delimitato ai rapporti tra operatori economici e consumatori o utenti, i quali agiscono per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta.
Il costruttore del ricambio sarebbe, dunque, l’unico soggetto, in virtù della sua diretta partecipazione al processo produttivo (o quanto meno ad una fase di tale processo), in grado di attestarne l’equivalenza. Il mero fornitore che si limita ad apporre il proprio marchio sul prodotto finito, senza fornire contributo alcuno al materiale processo di fabbricazione, non sarebbe in possesso delle competenze necessarie onde attestare la conformità dei beni offerti alle specifiche tecniche richieste dal bando di gara. I mezzi di prova appropriati devono, infatti, essere idonei a consentire alla Stazione appaltante lo svolgimento di un giudizio di idoneità tecnica dell’offerta e di equivalenza dei requisiti del prodotto offerto alle specifiche tecniche, legato non a formalistici riscontri, ma a criteri di conformità sostanziale delle soluzioni tecniche offerte.
La seconda opzione, prospettata dalle parti appellate, è fondata invece sul richiamo ad altre normative (in primis quella in materia di tutela dei consumatori) che estendono la nozione del produttore fino a ricomprendervi chi si limiti a commercializzare il prodotto, apponendovi il proprio marchio, pur senza aver materialmente partecipato neanche ad una fase del relativo processo di costruzione. 
Secondo tale tesi, per costruttore o produttore dei ricambi non deve intendersi soltanto chi “concretamente fabbrica un certo componente”, ma anche il soggetto che realizza con un proprio marchio il prodotto o parte di esso, anche attraverso attività di assemblaggio o esternalizzazione a terzi di parti o componenti e sul quale ricade l’onere della garanzia in caso di non conformità del prodotto: tale essendo in definitiva non soltanto chi produce direttamente i ricambi richiesti, ma anche chi assume la responsabilità del loro utilizzo, attraverso la certificazione di equivalenza all’originale o ancora prestando la garanzia per il loro corretto funzionamento e per l’assenza di vizi di costruzione. 
Dunque, ai fini dell’individuazione della qualifica di costruttore, non sarebbe condizione necessaria, richiesta dalla citata disposizione di cui all’art. 3 della Direttiva (e dal corrispondente articolo del D.M. di recepimento), la titolarità dello stabilimento o del laboratorio ove il ricambio viene confezionato né la partecipazione alle varie fasi della costruzione del prodotto.
Applicando tali coordinate al caso oggetto di giudizio, se per l’appellante la necessità di tutelare l’interesse generale alla qualità e alla sicurezza del trasporto pubblico dei cittadini esige, da un lato, che il concorrente fornisca, a corredo dell’offerta, il certificato di omologazione o comunque dettagliate informazioni al riguardo, non potendo il difetto di tale documentazione essere superato mediante la mera dichiarazione di equivalenza del ricambio all’originale, e dall’altro che tale dichiarazione di equivalenza provenga unicamente dal costruttore (inteso quale fabbricante) del pezzo di ricambio (in quanto unico soggetto ad avere diretta conoscenza degli stati e fatti relativi al processo di fabbricazione del prodotto e, come tale, unico a poterne attestare la conformità e la corrispondenza alle specifiche tecniche della gara), viceversa secondo la Stazione appellante e l’aggiudicataria non è invece necessaria a pena di esclusione la presentazione della documentazione comprovante l’omologazione del ricambio, risultando sufficiente l’attestazione di equivalenza all’originale, da comprovarsi anche attraverso una mera unilaterale dichiarazione sostitutiva del produttore o del fornitore che affermi la conformità alle specifiche tecniche e alle norme di produzione del costruttore del veicolo su cui il ricambio dovrà essere installato. 
Alle su indicate conclusioni, i fautori della prima tesi interpretativa pervengono esaminando il quadro normativo generale di riferimento per l’equivalenza delle specifiche tecniche in tutte le procedure di gara (si veda, in particolare, combinato disposto di cui agli artt. 42 e 44 della Direttiva comunitaria n. 2014/24/UE; art. 34 della Direttiva 2004/17/CE, esplicitamente richiamata dalla Corte di Giustizia UE nella sentenza C-14/7 del 12 luglio 2018; artt. 68, 86 ed Allegato XVII, Parte II, del D.lgs. 50/2016- Codice dei Contratti Pubblici). 
Anzitutto, a conferma della dedotta tassatività degli strumenti probatori, si osserva che gli artt. 68 e 86 del Codice, in combinato disposto, esigono che le specifiche tecniche (nella specie l’equivalenza del ricambio di concorrenza rispetto al ricambio originale) non siano dimostrate con “mezzi di prova diversi da quelli di cui al presente articolo” o di quelli di cui “all’Allegato XVII (…)” del D.lgs n. 50/2016 (ossia certificati e dichiarazioni del fabbricante).
Tra questi significativamente non sarebbe contemplata la dichiarazione sostitutiva del fornitore, che non può considerarsi “altro mezzo di prova appropriato”, dovendo per appropriatezza senz’altro intendersi la rispondenza funzionale all’obiettivo di comprovare le specifiche tecniche.
Quali debbano ritenersi i “mezzi probatori appropriati” si evincerebbe poi, in maniera inequivoca, dalle seguenti fonti normative e giurisprudenziali: a) art. 44, Dir. n. 2014/24/UE, rubricato “Relazioni di prova, certificazione e altri mezzi di prova”; b) Allegato XVII, Parte II, D.lgs n. 50/2016, richiamato dall’art. 86 stesso Codice, che “per i prodotti da fornire” individua quali mezzi di prova idonei “campioni, descrizioni o fotografie la cui autenticità deve poter essere certificata a richiesta dell’amministrazione aggiudicatrice” (lett. i); oppure “i certificati rilasciati da istituti o servizi ufficiali incaricati del controllo della qualità, di riconosciuta competenza, i quali attestino la conformità di prodotti ben individuati mediante riferimenti a determinate specifiche tecniche o norme” (lett. ii); c) art. 34 della Direttiva n. 2004/17/CE, in base al quale i “mezzi appropriati” per comprovare le specifiche tecniche sono “una documentazione tecnica del fabbricante” ovvero “una relazione di prova di un organismo riconosciuto”, laddove per “organismi riconosciuti” si intendono espressamente “i laboratori di prova e di calibratura e gli organismi di ispezione e di certificazione conformi alle norme europee applicabili”.
Alla luce di tali disposizioni, l’appellante prospetta allora l’illegittimità e l’illogicità della lex specialis di appalti di fornitura di ricambi se interpretati nel senso di consentire che l’attestazione di equivalenza possa essere effettuata anche mediante dichiarazione del partecipante che sia mero rivenditore o fornitore e non fabbricante della componente o parte, in quanto lesiva dei principi di tassatività e appropriatezza dei mezzi di prova: la discrezionalità di cui pure certamente gode la Stazione appaltante nell’indicare nella disciplina di gara gli strumenti probatori andrebbe pur sempre esercitata entro i limiti di appropriatezza dettati dalla normativa di settore, comunitaria e nazionale, sì da consentirle di effettuare un’effettiva e proficua verifica. 
Il certificato di equivalenza che può ritenersi “appropriato” sotto il profilo oggettivo deve necessariamente illustrare alla Stazione appaltante i dati tecnici relativi al ricambio cui si riferisce: in altri termini, l’appropriatezza del mezzo di prova presuppone necessariamente che la documentazione prodotta in gara dettagli le specifiche tecniche dei ricambi equivalenti offerti.
Poiché la prova dell’equivalenza è un elemento sostanziale dell’offerta, la Stazione appaltante deve poter verificare in concreto, esaminando la documentazione tecnica prodotta dai concorrenti, che vi sia conformità rispetto alle specifiche tecniche richieste dalla lex specialis: e ciò sarebbe garantito soltanto dalla presentazione a corredo dell’offerta della certificazione tecnica proveniente dal fabbricante o dal costruttore del ricambio equivalente. Diversamente, l’attestazione di equivalenza, da elemento fondamentale dell’offerta, finirebbe per tradursi in mero simulacro ed orpello formale, privo di qualsiasi valore sostanziale e probatorio
Per converso, la Stazione appaltante e l’aggiudicataria evidenziano come la normativa applicabile alla fattispecie non individua specifiche e peculiari modalità procedimentali di accertamento dell’equivalenza: può essere dunque idonea a tal fine non solo la certificazione di corrispondenza del costruttore, ma anche ogni altro elemento appropriato capace di dimostrare in modo soddisfacente e oggettivo l’equivalenza dei prodotti offerti. Di conseguenza, sarebbe consentito provare la conformità del prodotto attraverso una mera dichiarazione sostitutiva del concorrente, anche a prescindere da ogni dimostrazione sulla sua qualità di costruttore del ricambio offerto. 
Altro problema, strettamente correlato alle questioni finora delineate, attiene all’individuazione delle modalità con le quali può essere dimostrata la propria qualità di costruttore del prodotto (ovvero l’effettivo esercizio dell’attività di fabbricazione dei ricambi equivalenti offerti) e se, a tal fine, assumano rilievo o possano di loro reputarsi sufficienti, quali strumenti idonei a comprovare un requisito di capacità tecnica del concorrente in sede di gara, le indicazioni del certificato di qualità nonché l’oggetto sociale come riportato nelle visure camerali, dalle quali possano trarsi indicazioni sull’attività prevalentemente svolta.
Se è vero che per essere qualificato come “costruttore” ai sensi dell’art. 3 della citata Direttiva non è necessario partecipare a tutte le fasi della costruzione del prodotto, è anche vero che ciò sembra presupporre che si dimostri di aver partecipato ad almeno una fase di tale processo. È dubbio, inoltre, se sia necessario che il concorrente abbia la disponibilità, diretta o contrattuale, di stabilimenti di produzione, ovvero se sia sufficiente dimostrare che tutti i ricambi per i quali ha certificato l’equivalenza sarebbero prodotti da terzi secondo le proprie direttive (direzione tecnica e responsabilità tecnica) e, in caso positivo, con quali modalità. 
​​​​​​​In dettaglio, la concorrente che attesti l’equivalenza dei prodotti offerti dovrebbe poter allegare e dimostrare, per ciascun ricambio per il quale si dichiara costruttore: (i) di essere in possesso del progetto di fabbricazione e del know-how tecnico per produrre il ricambio; (ii) di realizzare e documentare il controllo dei semilavorati eventualmente impiegati rispetto alle specifiche di progetto di realizzazione del prodotto; (iii) di essere il soggetto responsabile verso l’autorità di omologazione (ove il singolo componente sia soggetto ad omologazione specifica) di tutti gli aspetti del relativo procedimento e della conformità della produzione; (iv) in ogni caso, di avere stipulato con terzi fabbricanti contratti di sub-fornitura industriale per la costruzione/fabbricazione, su sue specifiche tecniche e controllo di qualità, dei ricambi in questione.


Anno di pubblicazione:

2020

Materia:

CONTRATTI pubblici e obbligazioni della pubblica amministrazione, APPALTO di forniture

Tipologia:

Focus di giurisprudenza e pareri