Alla Corte di Giustizia il cumulo del trattamento pensionistico e stipendiale per i magistrati di nomina governativa.

Alla Corte di Giustizia il cumulo del trattamento pensionistico e stipendiale per i magistrati di nomina governativa.


Magistrati – Magistrati di nomina governativa – Trattamento economico – Cumulo trattamento stipendiale e pensionistico - Massimale di € 240.000,00 - Art. 1, comma 489, l. n. 147 del 2013 – Conseguenza in termini di cumulo – Compatibilità alla disciplina comunitaria – Rimessione alla Corte di giustizia Ue.

Sono rimesse alla Corte di giustizia UE le questioni se: a) l’art. 3, commi 2 e 3, TUE, gli artt. 9, 45, 126, 145, 146, 147, 151, comma 1, TFUE, l’art. 15, comma 2, della Carta dei Diritti Fondamentali della Unione Europea, gli artt. 3 e 5 del Pilastro europeo dei diritti sociali, ostino ad una disposizione nazionale, quale è l’art. 1, comma 489, l. n. 147 del 2013, nella misura in cui tale norma incoraggia le amministrazioni pubbliche italiane a preferire, nelle assunzioni o nel conferimento di incarichi, solo lavoratori (nella specie, magistrati della Corte dei conti di nomina governativa) già titolari di trattamento pensionistico erogato da enti previdenziali pubblici italiani; b) gli artt. 106, comma 1, e 107 TFUE ostino ad una disposizione nazionale, quale è l’art. 1, comma 489, l. n. 147 del 2013, che consente alle amministrazioni pubbliche italiane che svolgono attività economica, soggette al rispetto degli artt. 101 e seguenti TFUE, di avvalersi della attività lavorativa di soggetti che abbiano consentito a rinunciare, in tutto o in parte, alla relativa retribuzione, così conseguendo un risparmio di costi idoneo ad avvantaggiare l’amministrazione medesima nella competizione con altri operatori economici; c) gli artt.  2, 3, 6 TUE, gli artt. 126 e 151, comma 1, TFUE, l’art. 15, comma 2, della Carta dei Diritti Fondamentali della Unione Europea, gli artt. 3 e 7, lett. a), del Pilastro europeo dei diritti sociali, ostino ad una disposizione nazionale, quale è l’art. 1, comma 489, l. n. 147 del 2013, che, nelle condizioni indicate dalla norma, ammette che un lavoratore possa esprimere validamente la rinuncia, totale o parziale, alla retribuzione, pur essendo tale rinuncia finalizzata esclusivamente a evitare la perdita della attività lavorativa; d) gli artt. 2, 3 e 6 TUE, gli artt. 14, 15, comma 1, 126 e 151, comma 1, TFUE, l’art. 31, comma 1, della Carta dei Diritti Fondamentali della Unione Europea, gli artt. 5, 6 e 10 del Pilastro europeo dei diritti sociali ostino ad una disposizione nazionale, quale è l’art. 1, comma 489, l. n. 147 del 2013, che, nelle condizioni indicate dalla norma, consente ad un lavoratore di prestare, a favore di una amministrazione pubblica italiana, attività lavorativa rinunciando in tutto o in parte al relativo compenso, anche se a fronte di tale rinuncia non sia previsto alcun mutamento dell’assetto lavorativo, né in termini di orario di lavoro né sul piano della quantità e qualità del lavoro richiesto e delle responsabilità che da esso conseguono, e quindi anche se con la rinuncia a parte della retribuzione si determina una significativa alterazione del sinallagma lavorativo, sia dal punto di vista della proporzionalità tra la retribuzione e la qualità e quantità del lavoro svolto, sia perché in tal modo il lavoratore finisce per essere costretto a prestare la propria attività in condizioni lavorative non ottimali, che predispongono ad un minor impegno lavorativo e costituiscono il presupposto di una azione amministrazione meno efficiente; e) gli artt. 2, 3 e 6 TUE, gli artt. 126 e 151, comma 1, TFUE, l’art. 15, comma 2, della Carta dei Diritti Fondamentali della Unione Europea e l’art. 6 del Pilastro europeo dei diritti sociali ostino al combinato disposto degli artt. 1, comma 489, l. n. 147 del 2013 e 23 ter, comma 1, d.l. n. 201 del 2011, convertito nella l. n. 214 del 2011, nella misura in cui tali norme consentono/impongono ad una amministrazione pubblica italiana, anche in pendenza del rapporto di lavoro o di collaborazione, di decurtare la retribuzione spettante al lavoratore in dipendenza del variare del massimale retributivo al quale fa riferimento il predetto art. 23 ter, comma 1, d.l. n. 201 del 2011, convertito nella l. n. 214 del 2011, e quindi in conseguenza di un evento non prevedibile e comunque in applicazione di un meccanismo di non immediata comprensione ed a dispetto delle informazioni fornite al lavoratore all’inizio del rapporto di lavoro; f) gli artt. 2, 3 e 6 TUE, gli artt. 8 e 126 TFUE, gli artt. 20 e 21 della Carta dei Diritti Fondamentali della Unione Europea e gli artt. 10 e 15 del Pilastro europeo dei diritti sociali ostino ad una disposizione nazionale, quale è l’art. 1, comma 489, l. n. 147 del 2013, che, nelle condizioni indicate dalla norma, impone alle amministrazioni pubbliche italiane di ridurre i compensi spettanti ai propri dipendenti e collaboratori che siano titolari di un trattamento pensionistico erogato da un ente previdenziale pubblico, penalizzando tali lavoratori per ragioni connesse alla disponibilità di altre entrate patrimoniali, così disincentivando il prolungamento della vita lavorativa, l’iniziativa economica privata e la creazione e la crescita dei patrimoni privati, che costituiscono comunque una ricchezza ed una risorsa per la nazione (1).

 

(1) Ha ricordato la sezione che l’art. 1, comma 489, l. n. 147 del 2013 ha previsto che “Ai soggetti già titolari di trattamenti pensionistici erogati da gestioni previdenziali pubbliche, le amministrazioni e gli enti pubblici compresi nell'elenco ISTAT di cui all'art. 1, comma 2, l. 31 dicembre 2009, n. 196, e successive modificazioni, non possono erogare trattamenti economici onnicomprensivi che, sommati al trattamento pensionistico, eccedano il limite fissato ai sensi dell'art. 23-ter, comma 1, d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla l.  22 dicembre 2011, n. 214. Nei trattamenti pensionistici di cui al presente comma sono compresi i vitalizi, anche conseguenti a funzioni pubbliche elettive. Sono fatti salvi i contratti e gli incarichi in corso fino alla loro naturale scadenza prevista negli stessi. Gli organi costituzionali applicano i principi di cui al presente comma nel rispetto dei propri ordinamenti”. La norma in questione in sostanza ha esteso l’obbligo di rispettare il massimale previsto dall’art. 23 ter, d.l. n. 201 del 2011 e fissato in € 240.000,00 annui lordi dall’art. 13, d.l. n. 66 del 2014, anche al caso in cui il soggetto che svolge attività lavorativa a favore di una amministrazione pubblica - percependo un trattamento economico a fronte di tale attività - sia già titolare di un trattamento pensionistico erogato da un ente previdenziale pubblico. Più precisamente, discende dalla applicazione dell’art. 1, comma 489, l. n. 147 del 2013 che, nel caso in cui il trattamento pensionistico e quello retributivo percepiti dal soggetto superino, sommati insieme, il massimale di € 240.000,00, l’amministrazione che eroga il trattamento retributivo deve effettuare una decurtazione dello stesso nella misura necessaria a rientrare nel predetto massimale.

La norma da ultimo citata deve essere interpretata nel senso che la sommatoria delle entrate elargite dallo Stato e godute, da un soggetto, a titolo di trattamento pensionistico e retributivo vada effettuata al solo fine di verificare se l’importo complessivo di tali entrate superi o meno il massimale di 240.000,00 euro annui lordi, e non già anche al fine di operare una rideterminazione del trattamento pensionistico: la norma è infatti chiara nello stabilire che l’eventuale superamento del massimale obbliga la sola amministrazione pubblica che eroga il trattamento retributivo, corrisposto a fronte della attività lavorativa del soggetto, ad effettuare la decurtazione. Segue da tale constatazione che il trattamento pensionistico rimane fermo e, correlativamente, solo il trattamento retributivo corrisposto a fronte della attività lavorativa subisce una decurtazione che varia unicamente in funzione del variare del trattamento pensionistico.

Il soggetto colpito dalla decurtazione retributiva prevista dall’art. 1, comma 489, l. n. 147 del 2013 non ha altra alternativa che quella di continuare a prestare l’attività lavorativa alle nuove condizioni economiche ovvero di dimettersi dal rapporto di lavoro: non è infatti previsto che a fronte della decurtazione il lavoratore possa pretendere una riduzione dell’orario di lavoro o una modifica delle mansioni lavorative. Pertanto, ove questi scelga di continuare l’attività lavorativa egli ciò farà rinunciando, di fatto, ad una parte significativa – o anche alla totalità - della retribuzione che gli spetterebbe e che invece continua ad essere generalmente riconosciuta a tutti coloro che svolgono la medesima attività lavorativa. La parte della retribuzione oggetto di rinuncia risulta poi tanto più elevata quanto più il trattamento pensionistico si avvicina al (o pareggia o supera il) tetto di 240.000,00 euro.

La Sezione ha quindi affermato che l’art. 1, comma 489, l. n. 147 del 2013 possa interessare anche cittadini della Unione Europea, precisamente quelli tra essi che, avendo maturato in Italia il diritto ad un trattamento pensionistico erogato da un ente previdenziale pubblico (ovviamente anche in esito ad una prolungata attività lavorativa nell’ambito privato), siano chiamati ad un incarico pubblico la cui elevata remunerazione rischia di determinare lo sforamento del massimale annuo di retribuzione o di trattamento pensionistico erogabile a carico delle finanze pubbliche.

 

Tutto ciò chiarito, ha affermato la Sezione che l’art. 1, comma 489, l. n. 147 del 2013 determina conseguenze di vario tipo, che si dubita non essere conformi alle norme europee sopra ricordate ed ai principi generali che da esse possono farsi discendere. Preliminarmente, tuttavia, si ritiene di dover chiarire alla Corte le ragioni che inducono ad affermare la sussistenza di un interesse transfrontaliero e, quindi, la competenza della Corte a valutare se l’art. 1, comma 489, l. n. 147 del 2013, sia o meno conforme al diritto europeo.

Sussiste un interesse transfrontaliero che ormai il diritto interno italiano è indirizzato nel senso di riconoscere a tutti i cittadini dell’Unione la possibilità di accedere ad impieghi o incarichi pubblici, anche di livello estremamente elevato, segnatamente di livello dirigenziale, con la sola eccezione per gli impieghi ed incarichi che comportino l’esercizio di potestà pubbliche: si tratta, dunque, di una apertura di notevole rilievo ed importanza pratica. Tenuto conto di ciò, della natura non transitoria della norma, e considerato che già oggi, e comunque in avvenire, è possibile che cittadini della Unione percepiscano un trattamento pensionistico erogato da un ente previdenziale italiano, per aver lavorato per molti anni in Italia, è possibile affermare che è concreta l’ipotesi che un cittadino della Unione possa venire a trovarsi nella situazione di dover scegliere tra il rinunciare ad un incarico o impiego pubblico presso una amministrazione italiana, ovvero di accettarlo, o di proseguirlo, a condizioni economiche significativamente deteriori - quando non irrisorie o persino nulle - rispetto a quelle che possono considerarsi adeguate, per essere riconosciute a tutti gli altri lavoratori che svolgono attività identica.

Sempre ad avviso della Sezione si deve inoltre considerare che l’art. 1, comma 489, l. n. 147 del 2013 è in grado di incidere, riducendola, sulla possibilità che i cittadini della Unione hanno di accedere agli impieghi ed incarichi pubblici di cui si è detto al paragrafo che precede; le amministrazioni italiane, infatti, potrebbero rivelarsi inclini a privilegiare il conferimento di incarichi ed impieghi a favore di coloro che già godono di un trattamento pensionistico erogato da un ente pubblico italiano e che, proprio in applicazione dell’art. 1, comma 489, l. n. 147 del 2013, esse non sono tenute a remunerare con lo stipendio generalmente riconosciuto ai lavoratori che esercitano identica attività, potendo viceversa contare su un notevole risparmio di risorse, tanto più notevole ed evidente ove il soggetto sia chiamato ad esercitare più di un incarico o impiego, anche di elevato livello. Tale considerazione consente di evidenziare immediatamente una delle incongruenze indotte dalla norma citata, la quale, al fine di perseguire il contenimento della spesa gravante sulla finanza pubblica e a dispetto del dichiarato intento di disincentivare il cumulo, su un medesimo soggetto, di più incarichi o impieghi, in realtà è idonea a perseguire esattamente l’opposto risultato, e cioè la convergenza, su un soggetto già titolare di trattamento pensionistico, di altri incarichi o impieghi pubblici, che rimangono in tal modo sottratti al mercato del lavoro. Da questo punto di vista l’art. 1, comma 489, l. n. 147 del 2013 evidenzia non conformità a quelle, tra le norme europee sopra ricordate, che affermano la necessità di incentivare un livello occupazionale elevato e duraturo, la mobilità professionale, la transizione verso forme di lavoro a tempo indeterminato e pari opportunità in materia di occupazione.

In realtà questo “effetto collaterale” dovrebbe essere, teoricamente, scongiurato dall’obbligo che le amministrazioni pubbliche hanno di espletare procedure ad evidenza pubblica per selezionare tanto i destinatari di incarichi professionali che il personale da assumere con lavoro di tipo subordinato. La gratuità del lavoro svolto in applicazione dell’art. 1, comma 489, l. n. 147 del 2013, non dovrebbe però naturalmente costituire criterio di affidamento di un incarico professionale né di selezione di un dipendente, in applicazione del principio di par condicio dei partecipanti alla selezione. Tuttavia è innegabile il vantaggio che consegue una amministrazione nell’assumere o nel conferire un incarico professionale avvalendosi di significative riduzioni sulla retribuzione, e quindi non si può escludere che le amministrazioni cerchino di sottrarsi all’obbligo di selezionare il destinatario di un certo incarico o impiego proprio al fine di conseguire l’indicato risparmio di costi.

Il Tar ha anche ricordato che la Corte di Giustizia UE, con sentenza resa in causa C-70/95, ha già riconosciuto che gli artt. 52, 58, 85 e 86 del Trattato CE non ostano ad una normativa nazionale che consente di affidare solo ad operatori privati che agiscono senza fini di lucro l’affidamento di servizi di natura sociale-assistenziale, corrispondendo agli stessi solo un rimborso spese.

La Sezione ha dunque ritenuto che la norma in esame, ammettendo la possibilità di ricorrere alla competenza e professionalità di determinati soggetti a titolo in tutto o in parte gratuito, possa spingere verso prassi o verso evoluzioni della legislazione italiana tendenti a consentire alle amministrazioni italiane di avvalersi con maggior libertà della collaborazione di tali soggetti, segnatamente senza ricorrere a procedure ad evidenza pubblica. Tale evenienza, ove pure fossero superati i dubbi di non conformità alle norme europee sulla concorrenza – come nel caso esaminato dalla Corte di Giustizia UE nella sentenza C-70/95 – sarebbe idonea a precludere l’accesso a determinate posizioni da parte di lavoratori non già titolari di trattamento pensionistico, come tali esclusi dalla sfera di applicazione dell’art. 1, comma 489, l. n. 147 del 2013. Da questo punto di vista l’art. 1, comma 489, l. n. 147 del 2013, costituisce norma idonea, nel presente ed in avvenire, a rendere più difficile l’accesso a determinati impieghi ed incarichi pubblici per coloro che non sono titolari di un trattamento pensionistico erogato da un ente pubblico.

D’altro canto occorre considerare che l’amministrazione pubblica che svolga attività economica e sia tenuta come tale al rispetto delle norme sulla concorrenza, nel momento in cui si avvale della collaborazione di un soggetto che essa, in base ad una norma dello Stato, non è tenuta a retribuire nella misura ordinariamente stabilita, consegue un risparmio di costi che potrebbe integrare un aiuto di Stato concesso in violazione degli artt. 106 e 107, comma 1, TFUE, il quale aiuto non rientrerebbe in alcuna delle deroghe previste dall’art. 107 TFUE, e non risulta neppure autorizzato ai sensi degli artt. 107, comma 2, 109 e 108, comma 3, TFUE.


Anno di pubblicazione:

2018

Materia:

ORDINAMENTO giudiziario

Tipologia:

Focus di giurisprudenza e pareri