Alla Corte costituzionale la sospensione della retribuzione per violazione dell’obbligo vaccinale

Alla Corte costituzionale la sospensione della retribuzione per violazione dell’obbligo vaccinale


Sanità pubblica - Vaccinazioni – Violazione dell'obbligo – Sospensione della retribuzione e di ogni altro emolumento - Questione di legittimità costituzionale

     E’ rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 4, comma 5, del decreto legge 1 aprile 2021 n. 44, convertito nella legge 28 maggio 2021 n. 76, per come modificato dall’articolo 1, comma 1, lettera b), del decreto legge 26 novembre 2021 n. 172, convertito nella legge 21 gennaio 2022 n. 3, e successive modificazioni, nella parte in cui dispone che "Per il periodo di sospensione dall’esercizio della professione sanitaria non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominato", per contrasto con i principi di ragionevolezza e di proporzionalità, di cui all’articolo 3 della Costituzione, anche in riferimento alla violazione dell’articolo 2 della Costituzione. (1)


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(1) Ha evidenziato il T.a.r. Lombardia, sede di Milano, che la privazione di ogni forma di sostentamento economico durante il periodo di sospensione dal servizio ha determinato un ingiustificato peggioramento delle condizioni di vita dei lavoratori dipendenti, sia per via della proroga ex lege dell’obbligo di sottoporsi a vaccinazione, sia per via dell’abrogazione dell’obbligo condizionato del datore di lavoro di adibire il dipendente che non abbia adempiuto all’obbligo vaccinale a mansioni diverse, anche inferiori e comunque prive di rischi di contagio, con attribuzione del relativo trattamento economico.

La nuova disciplina normativa introdotta dall’articolo 1, comma 1, lettera b), del decreto legge 26 novembre 2021 n. 172, convertito nella legge 21 gennaio 2022 n. 3, ha infatti eliminato quel meccanismo di gradualità temperata che consentiva al datore di lavoro di ricollocare il dipendente inadempiente all’obbligo vaccinale, nei limiti dell’organizzazione del servizio, a mansioni diverse, anche inferiori, per le quali gli corrispondeva la retribuzione. Sicché il dipendente che, nell’esercizio della sua libertà di autodeterminazione, non intendeva sottoporsi a vaccinazione, prima di essere sospeso dal servizio senza retribuzione, poteva fare affidamento sull’eventuale corresponsione della retribuzione conseguente al demansionamento.

L’attuale disciplina normativa pone invece il dipendente inadempiente all’obbligo vaccinale dinanzi ad una scelta obbligata tra l’adempimento dell’obbligo vaccinale e la sospensione dal servizio senza attribuzione di alcun trattamento economico. Essa si rivela pertanto sproporzionata rispetto alla realizzazione del fine di tutela della salute pubblica mediante l’erogazione delle prestazioni sanitarie in condizioni di sicurezza, in quanto l’esito del bilanciamento dei rilevantissimi interessi coinvolti, effettuato dal legislatore nell’esercizio dell’ampia discrezionalità politica, conduce ad un risultato implausibile.

Con la recente introduzione di misure di sostegno sociale l’ordinamento mostra infatti di orientarsi sempre più verso forme di protezione volte ad assicurare le prestazioni imprescindibili per alleviare situazioni di estremo bisogno, in particolare, alimentare L’effetto automaticamente ed integralmente preclusivo di ogni trattamento economico non pare inoltre giustificato da sopravvenute esigenze di tutela dell’interesse antagonista e rischia pertanto di creare un’irragionevole disparità di trattamento con tutte le altre fattispecie di sospensione dal servizio di natura preventiva, quali appunto quelle della sospensione cautelare del dipendente disposta in corso di un procedimento disciplinare o penale, in cui, sia pure in assenza del sinallagma contrattuale, viene invece percepita una quota della retribuzione, a titolo assistenziale.

Né può ragionevolmente sostenersi che la mancata corresponsione di una misura di sostegno per tutto il periodo di durata della sospensione dal servizio sia un sacrificio tollerabile rispetto ai fini pubblici da perseguire.

Il T.a.r. ha, quindi, ritenuto che la temporaneità della misura interdittiva adottata dal legislatore non sia idonea a giustificare il sacrificio totale degli interessi antagonisti e che la soppressione di ogni forma di sostegno economico per un periodo di tempo consistente e potenzialmente indeterminato rischia di determinare effetti pregiudizievoli ed irreversibili per la soddisfazione delle essenziali esigenze di vita del dipendente che non abbia adempiuto all’obbligo vaccinale.

In materia di diritti fondamentali non sono infatti tollerabili automatismi di sorta, per cui la privazione automatica ed assoluta di ogni forma di sostegno economico per l’intera durata del periodo di sospensione dal servizio, senza possibilità di prevedere adeguate misure di sostegno economico, è irragionevole e sproporzionata anche in riferimento al principio di tutela della dignità dell’individuo, di cui all’articolo 2 della Costituzione.


Anno di pubblicazione:

2022

Materia:

SANITÀ pubblica e sanitari, VACCINO

Tipologia:

Focus di giurisprudenza e pareri