Alla Corte costituzionale la legge della Regione Puglia sull’accreditamento delle strutture sanitarie private

Alla Corte costituzionale la legge della Regione Puglia sull’accreditamento delle strutture sanitarie private


Sanità pubblica – Regione Puglia – Accreditamento – Automatica conseguenza dell’autorizzazione alla realizzazione e all’esercizio delle strutture sanitarie - Art. 19, comma 3, l. reg. Puglia n. 9 del 2017 - Violazione art. 117, comma 3, Cost. – Rilevanza e non manifesta infondatezza. 

 

E’ rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, in relazione all’art. 117, comma 3, Cost., dell’art. 19, comma 3, l. reg. Puglia n. 9 del 2017, nella versione antecedente alle modifiche introdotte dagli artt. 49, comma 1, l. reg. 30 novembre 2019, n. 52 e 9, comma 1, l. reg. 7 luglio 2020, nella parte in cui introduce una deroga al principio generale in forza del quale l’autorizzazione alla realizzazione e all’esercizio delle strutture sanitarie e sociosanitarie non produce effetti vincolanti ai fini della procedura di accreditamento istituzionale, che si fonda sul criterio di funzionalità rispetto alla programmazione regionale (1). 

 

(1) Ha chiarito la Sezione che l’art. 19, comma 3, l. reg. n. 9 del 2017 -  nella versione antecedente alle modifiche introdotte dagli artt. 49, comma 1, l. reg. 30 novembre 2019, n. 52 e 9, comma 1, l. reg. 7 luglio 2020, dichiarate costituzionalmente illegittime rispettivamente con sentenza 12 marzo 2021, n. 36 e 15 ottobre 2021, n. 195 (dichiarate costituzionalmente illegittime rispettivamente con sentenza 12 marzo 2021, n. 36 e 15 ottobre 2021, n. 195, a mente della quale “L’autorizzazione alla realizzazione e all’esercizio non produce effetti vincolanti ai fini della procedura di accreditamento istituzionale, che si fonda sul criterio di funzionalità rispetto alla programmazione regionale, salvo che non si tratti di modifiche, ampliamento e trasformazione di cui all’art. 5, comma 2, inerenti strutture già accreditate”) - pone, in presenza di strutture già accreditate per altre attività, l’obbligo dell’Amministrazione di prendere atto ai fini del rilascio di un ulteriore provvedimento di accreditamento – e senza la mediazione costitutiva di una propria autonoma e specifica valutazione quanto alla funzionalità rispetto alla programmazione regionale – della già intervenuta autorizzazione alla realizzazione e all’esercizio di attività costituenti modifiche, ampliamento e trasformazione di cui all’art. 5, comma 2, evenienza questa già sopra acclarata. 

In siffatte evenienze viene, dunque, introdotta una deroga al principio generale in forza del quale l’autorizzazione alla realizzazione e all’esercizio delle strutture sanitarie e sociosanitarie non produce effetti vincolanti ai fini della procedura di accreditamento istituzionale, che si fonda sul criterio di funzionalità rispetto alla programmazione regionale. 

È, infatti, finanche esplicitata nell’economia della suindicata fattispecie normativa (L’autorizzazione alla realizzazione e all’esercizio non produce effetti vincolanti ai fini della procedura di accreditamento istituzionale…. salvo che non si tratti di modifiche, ampliamento e trasformazione di cui all’art. 5, comma 2, inerenti strutture già accreditate) la circostanza che, in presenza delle condizioni derogatorie ivi espressamente previste (modifiche, ampliamento e trasformazione di cui all’art. 5, comma 2, inerenti strutture già accreditate), l’accreditamento risulti legato, sotto il profilo genetico, da un rapporto vincolato e automatico con il distinto e presupposto provvedimento autorizzatorio, senza che, nei suddetti casi, sull’an del rilascio possano in alcun modo interferire valutazioni discrezionali dell’Amministrazione nell’ambito (come avviene di norma) di un apposito procedimento amministrativo, da ritenersi viceversa indispensabile siccome forma indefettibile della funzione amministrativa. 

In altri termini, in presenza delle menzionate fattispecie derogatorie, il provvedimento di rilascio dell’accreditamento si pone come misura rigorosamente attuativa di norme vincolanti che rendono la statuizione amministrativa atto dovuto ed a contenuto vincolato. 

Ad avviso della Sezione la  menzionata disposizione si pone in contrasto con l’art. 117, comma 3, Cost., in relazione ai principi fondamentali posti dalla legge statale in materia di tutela della salute nella specie declinati agli artt. 8, comma 4, 8 bis, 8-ter e 8-quater, d.lgs. n. 502 del 1992, per le medesime ragioni già evidenziate dal Giudice delle leggi nelle decisioni del 12 marzo 2021, n. 36 e del 15 ottobre 2021, n. 195, non direttamente applicabili in quanto riferite a norme diverse da quella qui in rilievo, ma replicabili nei principi ivi affermati siccome riferiti a una fattispecie parimenti governata da una vincolante sequenza di effetti giuridici ampliativi, geneticamente collegati in via ordinaria a distinti e autonomi provvedimenti, ma qui scandita, per effetto di derogatorie previsioni normative regionali, da rigidi automatismi ingeneranti una non consentita sovrapposizione tra autorizzazione e accreditamento. 

Com’è noto, la competenza regionale in materia di autorizzazione ed accreditamento di istituzioni sanitarie private deve essere inquadrata nella più generale potestà legislativa concorrente in materia di tutela della salute, che vincola le Regioni al rispetto dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato e nel reticolo delle disposizioni sopra menzionate il legislatore statale pone in rapporto di autonomia i provvedimenti di autorizzazione e di accreditamento di strutture sanitarie, dovendo soggiungersi che la necessità della mediazione costitutiva di un atto di accreditamento s’impone anche nel caso di ampliamento di una struttura preesistente ai sensi dell’art. 8 quater, comma 7, d.lgs. n. 502 del 1992 (Corte cost. n. 132 del 2013). 

La res controversa oggi all’esame appare, dunque, del tutto speculare rispetto a quelle scrutinate dalle pronunce appena ricordate: viene, invero, nuovamente in rilievo una deroga incentrata su un’autorizzazione già rilasciata che vincola, secondo la legge regionale, il successivo accreditamento. 

 

La Sezione ha escluso che assuma rilievo la circostanza che la norma in argomento, e vigente al momento dell’atto impugnato in prime cure, sia stata successivamente abrogata. La Corte costituzionale ha costantemente affermato la persistenza della rilevanza della questione anche nel caso in cui la norma sottoposta a scrutinio sia sostituita da una successiva, perché la legittimità dell’atto deve essere esaminata, in virtù del principio tempus regit actum, con riguardo alla situazione di fatto e di diritto esistente al momento della sua adozione (sentenze 24 aprile 2013, n. 78; 11 luglio 2012, n. 177; nonché, tra le altre, sentenze 25 novembre 2011, n. 321; 11 giugno 2010, n. 209 ; 28 novembre 2008, n. 391; 20 novembre 2000 n. 509). Segnatamente, in una vicenda analoga a quella qui in rilievo la Corte, nella sentenza n. 177 del 2021, ha precisato che “Il fatto che la norma da scrutinare sia stata sostituita da una successiva, poi dichiarata costituzionalmente illegittima, non toglie di per sé rilevanza alla questione di legittimità costituzionale avente ad oggetto la disposizione precedente; questa Corte ha avuto modo di precisare in altre occasioni, infatti, che, ove un determinato atto amministrativo sia stato adottato sulla base di una norma poi abrogata – o, come nella specie, dichiarata costituzionalmente illegittima – la legittimità dell’atto deve essere esaminata, in virtù del principio tempus regit actum, «con riguardo alla situazione di fatto e di diritto» esistente al momento della sua adozione (sentenza n. 209 del 2010, nonché, in precedenza, sentenza n. 509 del 2000)”. 

Del resto, i due istituti giuridici dell'abrogazione e della illegittimità costituzionale delle leggi non sono eguali fra loro, ma si muovono su piani diversi ed hanno, soprattutto, effetti diversi. Mentre la dichiarazione di incostituzionalità di una legge o di un atto avente forza di legge rende la norma inefficace ex tunc e quindi estende la sua invalidità a tutti i rapporti giuridici ancora pendenti al momento della decisione della Corte, restandone così esclusi soltanto i «rapporti esauriti», (cfr. l’art. 136 Cost., e l’art. 30, comma 3, l. 11 marzo 1953, n. 87) l’abrogazione, salvo il caso (in questo caso non ricorrente) dell’abrogazione con effetti retroattivi, opera solo per l’avvenire, atteso che anche la legge abrogante é sottoposta alla regola di cui all’art. 11 delle Disposizioni sulla legge in generale (c.d. Preleggi), secondo cui “la legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo”.


Anno di pubblicazione:

2021

Materia:

SANITÀ pubblica e sanitari

Tipologia:

Focus di giurisprudenza e pareri