Alla Corte costituzionale l’assenza di deroghe all’adozione della interdittiva antimafia per mancanza di mezzi di sostentamento all'interessato e alla famiglia

Alla Corte costituzionale l’assenza di deroghe all’adozione della interdittiva antimafia per mancanza di mezzi di sostentamento all'interessato e alla famiglia


Informativa antimafia – Disciplina – Valutazione conseguente  mancanza mezzi sostentamento – Art. 92, d.lgs. n. 159 del 2011 – Esclusione – Violazione artt. 3, comma 2, 4 e 24 Cost. – rilevanza e non manifesta infondatezza


    È rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 92, d.lg. 6 settembre 2011, n. 159, in relazione agli artt. 3, comma 2, 4 e 24 Cost.,  in quanto: l’impossibilità per il Prefetto, deputato ad emanare il provvedimento interdittivo, di esercitare i poteri previsti nel caso di adozione delle misure di prevenzione dall'art. 67, comma 5, d.lgs. n. 159 del 2011, concretizza una irragionevole violazione del principio di uguaglianza sostanziale di cui all’art. 3, comma 2, Cost.; gli effetti derivanti dall'adozione di un'informativa interdittiva incidono, violando l’art. 4 Cost., in maniera pervasiva sull’attività svolta dai soggetti che ne sono colpiti, inibiti non solo ai rapporti giuridici con la Pubblica amministrazione ma anche ad attività private, sottoposte a regime autorizzatorio, che possono essere intraprese su segnalazione certificata di inizio attività da parte del privato alla Pubblica amministrazione; precludere ai destinatari di detto provvedimento la possibilità di sottoporre all’autorità prefettizia le possibili conseguenze di esso, in termini di depauperamento dei mezzi di sostentamento suoi e della sua famiglia, violerebbe, appunto, l’art. 4 Cost. (1). 


 

(1) Ha chiarito la Sezione che è evidenziata la disparità di trattamento tra i soggetti destinatari di una misura di prevenzione e quelli attinti da informazione antimafia interdittiva, che deriverebbe dal fatto che, soltanto per i primi, il comma 5 dell’art. 67, d.lgs. n. 159 del 2011 prevede che "le decadenze e i divieti previsti dal presente articolo possono essere esclusi dal giudice nel caso in cui per effetto degli stessi verrebbero a mancare i mezzi di sostentamento all'interessato e alla famiglia". Tale misura, infatti, non è prevista in materia di informazione antimafia a contenuto interdittivo. La circostanza che in materia di interdittive antimafia sia preclusa al Prefetto, quale autorità che adotta l’atto, la possibilità di escludere le decadenze ed i divieti previsti, nel caso in cui per effetto degli stessi verrebbero a mancare i mezzi di sostentamento all'interessato ed alla sua famiglia, concretizzerebbe un’evidente ed irragionevole disparità di trattamento. 

Con riferimento alla violazione dell’art. 3 Cost. ha chiarito il Tar che posto, infatti, che le interdittive antimafia e le misure di prevenzione partecipano della medesima natura di provvedimenti idonei ad assicurare un’anticipata difesa della legalità e sono altresì accomunate dalle medesime conseguenze decadenziali previste dall’art. 67, d.lgs. n. 159 del 2011, la circostanza che il legislatore non abbia previsto la possibilità che l’autorità amministrativa preposta ad adottare il provvedimento interdittivo valuti l’incidenza di esso sui mezzi di sostentamento per l’interessato e per la sua famiglia, sembrerebbe concretizzare un’irragionevole disparità di trattamento. 

Rammenta inoltre il Tar come la medesima questione fu giudicata dalla Corte Costituzionale (con la richiamata sentenza n. 57 del 2020) meritevole di rimeditazione da parte del legislatore, ma non fu oggetto di una pronuncia specifica poiché, contrariamente a quanto avvenuto nella vicenda per cui è causa, non dedotta in modo autonomo in quel procedimento.
Il Tar ha aggiunto che la temporaneità del provvedimento interdittivo non appaia idonea a legittimare la disparità di trattamento tra i destinatari di interdittiva antimafia e di misure di prevenzione, atteso che dodici mesi (periodo di validità dell’informativa antimafia ai sensi dell'art. 86, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011, come precisato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 57 del 2020) di inattività appaiono un periodo ampiamente sufficiente a pregiudicare in modo definitivo qualsiasi attività di impresa, cagionando un vulnus evidente a chi da quell’attività dovesse trarre i mezzi di sostentamento suoi e della sua famiglia.
Né la disparità è esclusa per il fatto che ai sensi dell’art. 34 bis, comma 6, d.lgs. n. 159 del 2011, “Le imprese destinatarie di informazione antimafia interdittiva ai sensi dell'art. 84, comma 4, che abbiano proposto l'impugnazione del relativo provvedimento del prefetto, possono richiedere al tribunale competente per le misure di prevenzione l'applicazione del controllo giudiziario di cui alla lettera b) del comma 2 del presente articolo…”. Il controllo giudiziario infatti sospende, per il tempo della sua durata, gli effetti dell’interdittiva senza eliminarli e la sua applicazione, rimessa alla valutazione del Tribunale competente, è eventuale ed è condizionata dall’impugnazione del provvedimento interdittivo. Esso, in ogni caso, interviene quando questo ultimo ha già, almeno in parte, dispiegato i suoi effetti e non riabilita l’impresa ma, al contrario, presuppone la sussistenza e la permanenza del ripetuto provvedimento interdittivo (Cons. Stato, sez. V, n. 3268 del 2018). Data la natura del controllo giudiziario e atteso che da esso, come detto, discende la mera sospensione degli effetti dell’interdittiva (destinata, in quanto tale, ad operare per i rapporti futuri e non anche per il pregresso), non è neppure possibile riconoscere a tale misura una efficacia retroattiva, dalla quale discenda l’automatico travolgimento degli atti medio tempore adottati dall'amministrazione.
​​​​Con riguardo al profilo della ritenuta violazione dei principi di proporzionalità e ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. pare, infine, opportuno ricordare che la ragionevolezza delle leggi è corollario del principio di uguaglianza ed esige che le disposizioni normative contenute in atti aventi valore di legge siano adeguate, o congruenti, rispetto al fine perseguito dal legislatore, con la conseguenza che sussiste la violazione di tale principio laddove, come nel caso di specie, pare possibile riscontrare una contraddizione tra disposizioni legislative ispirate alla tutela del medesimo interesse pubblico. 

 

Con riferimento alla violazione dell’art. 4 Cost., appaiono evidenti gli effetti inibitori di tali provvedimenti sul diritto al lavoro di chi da essi venga attinto. Osserva il Tar come il diritto al lavoro costituisca diritto fondamentale di tutti i cittadini, e se tale deve ritenersi anche per il detenuto, per il quale il lavoro costituisce altresì componente essenziale del trattamento rieducativo (Corte cost. n. 532 del 2002), a maggior ragione lo si deve ritenere tale per soggetti colpiti da un provvedimento di natura cautelare e preventiva, finalizzato, appunto, a prevenire un evento che, per scelta del legislatore, non necessariamente è attuale, o inveratosi, ma anche solo potenziale, emesso da un’autorità amministrativa sulla base della regola causale del "più probabile che non", alla cui discrezionalità è rimessa l’attivazione del contraddittorio procedimentale e che, in ogni caso, nell’adozione del provvedimento in questione, non può tenere conto dell’eventualità che esso depauperi i mezzi di sostentamento che chi ne è colpito trae dal proprio lavoro.  

In altri termini, se il pieno sindacato sui fatti posti alla base dell'interdittiva, esercitato tenendo conto delle allegazioni della parte privata, consente di attuare nel processo quel contraddittorio che l’esigenza di contrastare efficacemente le mafie impedisce nel procedimento, tuttavia poiché i procedimenti in questione possono sfociare in provvedimenti idonei ad incidere sul diritto al lavoro dei loro destinatari, allora dovrebbe essere assicurato a questi ultimi che l’autorità prefettizia a ciò deputata, valuti se l’adozione dei provvedimenti in questione non pregiudichi irrimediabilmente le condizioni economiche dei destinatari. 

 

Con riferimento alla violazione dell’art. 4 Cost., il Tar ha ricordato che è “preclusa al soggetto colpito dall'interdittiva antimafia ogni possibilità di ottenere 'contributi, finanziamenti e mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità Europee, per lo svolgimento di attività imprenditoriali', stante l'esigenza di evitare ogni esborso di matrice pubblicistica in favore di imprese soggette ad infiltrazioni criminali" (Cons. Stato, sez. III, 4 marzo 2019, n. 1500; Cons. Stato, A.P., 6 aprile 2018, n. 3).In sostanza, l'adozione di un'informativa interdittiva nei confronti di un operatore, determina sempre e comunque in capo allo stesso uno stato di parziale incapacità giuridica, sì da determinare "la insuscettività … ad essere titolare di quelle situazioni giuridiche soggettive (diritti soggettivi, interessi legittimi) che determinano (sul proprio cd. lato esterno) rapporti giuridici con la Pubblica Amministrazione” (Cons. Stato, A.P., 6 aprile 2018, n. 3).

Il Tar non ignora che nell’interpretazione che ne dà il Giudice delle leggi (Corte cost. n. 128 del 1995) il diritto alla difesa non si estende nel suo pieno contenuto oltre la sfera della giurisdizione sino a coprire ogni procedimento contenzioso di natura amministrativa, ma ciò non significa che non possa avere riflessi anche in altri ambiti, rispecchiando un valore inerente ai diritti inviolabili della persona. 


Anno di pubblicazione:

2020

Materia:

MISURE di prevenzione, INTERDITTIVA e informativa antimafia

MISURE di prevenzione

Tipologia:

Focus di giurisprudenza e pareri