Alla Corte costituzionale i limiti alla proposizione o continuazione di azioni esecutive nei confronti degli enti del servizio sanitario della Regione Calabria

Alla Corte costituzionale i limiti alla proposizione o continuazione di azioni esecutive nei confronti degli enti del servizio sanitario della Regione Calabria


Processo amministrativo – Giudizio di ottemperanza - Azione esecutiva – Regione Calabria – Servizio sanitario regionale - Art. 16-septies, comma 2, lett. g), d.l. n. 146 del 2021 – Limiti – Violazione artt. 24 e 113 Cost. – Rilevanza e non manifesta infondatezza.  

 

            È rilevante e non manifestamente infondata la questione di    legittimità costituzionale dell’art. 16-septies, comma 2, lett. g), d.l. 21 ottobre 2021, n. 146, come introdotto dalla legge di conversione, e cioè la l. 17 dicembre 2021, n. 215, per contrasto con l’art. 24 Cost., da solo e, nella misura in cui riguardi anche il giudizio d’ottemperanza svolto davanti al giudice amministrativo, in combinata lettura con l’art. 113 Cost. nella parte in cui prevede che «al fine di coadiuvare le attività previste dal presente comma (e cioè le attività di controllo, liquidazione e pagamento delle fatture, sia per la gestione corrente che per il pregresso, nonché le attività di monitoraggio e di gestione del contenzioso), assicurando al servizio sanitario della Regione Calabria la liquidità necessaria allo svolgimento delle predette attività finalizzate anche al tempestivo pagamento dei debiti commerciali, nei confronti degli enti del servizio sanitario della Regione Calabria di cui all'art. 19, d.lgs. 23 giugno 2011, n. 118, non possono essere intraprese o proseguite azioni esecutive (…). Le disposizioni della presente lettera si applicano fino al 31 dicembre 2025» (1). 

 

(1) Analoghe remissioni sono state disposte con ordd. 28 febbraio 2022, n. nn. 357 e 358. 

Ha chiarito la Sezione che il dubbio di incompatibilità tra l’art. 16-septies, comma 2, lett. g), d.l. 21 ottobre 2021, n. 146, e l’art. 24 Cost. è alimentato dall’esame della giurisprudenza della Corte costituzionale 

Essa ha ripetutamente affermato che la garanzia di poter agire in giudizio per la tutela dei propri diritti comprende anche l’esecuzione forzata, che è diretta a rendere effettiva l’attuazione del provvedimento del giudice (sentenza n. 522 del 2002). 

La tutela in sede esecutiva, infatti, è componente essenziale del diritto di accesso al giudice: l’azione esecutiva rappresenta uno strumento indispensabile per l’effettività della tutela giurisdizionale perché consente al creditore di soddisfare la propria pretesa in mancanza di adempimento spontaneo da parte del debitore (ex plurimis, cfr. le sentenze n. 225 del 2018, n. 198 del 2010, n. 335 del 2004, n. 522 del 2002 e n. 321 del 1998; ordinanza n. 331 del 2001). 

La fase di esecuzione coattiva delle decisioni di giustizia, proprio in quanto componente intrinseca ed essenziale della funzione giurisdizionale, deve ritenersi costituzionalmente necessaria (sentenza n. 419 del 1995), stante che «il principio di effettività della tutela giurisdizionale […] rappresenta un connotato rilevante di ogni modello processuale» (sentenze n. 225 del 2018 e n. 304 del 2011). 

È certo riservata alla discrezionalità del legislatore la conformazione degli istituti processuali, con il limite della manifesta irragionevolezza o arbitrarietà della disciplina (ex plurimis, sentenze n. 44 del 2016, n. 10 del 2013 e n. 221 del 2008); ma tale limite è valicato «ogniqualvolta emerga un’ingiustificabile compressione del diritto di agire» (sentenza n. 225 del 2018; negli stessi termini, tra le tante, sentenze n. 87 del 2021, n. 271 del 2019, n. 44 del 2016 e n. 335 del 2004). 

La sospensione delle procedure esecutive deve costituire, pertanto, un evento eccezionale: «un intervento legislativo − che di fatto svuoti di contenuto i titoli esecutivi giudiziali conseguiti nei confronti di un soggetto debitore − può ritenersi giustificato da particolari esigenze transitorie qualora […] siffatto svuotamento sia limitato ad un ristretto periodo temporale» (sentenza n. 186 del 2013). 

È ben vero che il legislatore ordinario – in presenza di altri diritti meritevoli di tutela – può procrastinare la soddisfazione del diritto del creditore alla tutela giurisdizionale anche in sede esecutiva. 

Deve però sussistere un ragionevole bilanciamento tra i valori costituzionali in conflitto, da valutarsi considerando la proporzionalità dei mezzi scelti in relazione alle esigenze obiettive da soddisfare e alle finalità perseguite (ex plurimis, cfr. le sentenze n. 212 del 2020, n. 71 del 2015, n. 17 del 2011, n. 229 e n. 50 del 2010, n. 221 del 2008 e n. 1130 del 1988). 

Sulla base dei principi testé illustrati, la Corte ha già dichiarato illegittimo, con sentenza del 12 luglio 2013, n. 186, l'art. 1, comma 51, l. 13 dicembre 2010, n. 220, sia nel testo risultante a seguito delle modificazioni introdotte dall'art. 17, comma 4, lettera e), d.l. 6 luglio 2011, n. 98, conv. con mod. con l. 15 luglio 2011, n. 111, sia nel testo risultante a seguito delle ulteriori modificazioni apportate dall'art. 6-bis, comma 2, lettere a) e b), d.l. 13 settembre 2012, n. 158, conv. con mod. con l. 8 novembre 2012, n. 189, nella parte in cui prevedeva che, nelle Regioni già commissariate in quanto sottoposte a piano di rientro dei disavanzi sanitari, non potessero essere intraprese o proseguite azioni esecutive, anche ai sensi dell'articolo 112 c.p.a., nei confronti delle aziende sanitarie locali e ospedaliere delle regioni medesime, fino al 31 dicembre 2012. 

La Corte ha ribadito che un intervento legislativo - che di fatto svuoti di contenuto i titoli esecutivi giudiziali conseguiti nei confronti di un soggetto debitore - può ritenersi giustificato da particolari esigenze transitorie qualora, per un verso, siffatto svuotamento sia limitato ad un ristretto periodo temporale (sentenze n. 155 del 2004 e n. 310 del 2003) e, per altro verso, le disposizioni di carattere processuale che incidono sui giudizi pendenti, determinandone l'estinzione, siano controbilanciate da disposizioni di carattere sostanziale che, a loro volta, garantiscano, anche per altra via che non sia quella della esecuzione giudiziale, la sostanziale realizzazione dei diritti oggetto delle procedure estinte (sentenze n. 277 del 2012 e n. 364 del 2007). 

Viceversa, la disposizione in quella sede censurata, la cui durata nel tempo, inizialmente prevista per un anno, era stata differita di ulteriori due anni sino al 31 dicembre 2013, oltre a prevedere la estinzione delle procedure esecutive iniziate e la contestuale cessazione del vincolo pignoratizio gravante sui beni bloccati ad istanza dei creditori delle aziende sanitarie ubicate nelle Regioni commissariate, con derivante e definitivo accollo, a carico degli esecutanti, della spese di esecuzione già affrontate, non prevedeva alcun meccanismo certo, quantomeno sotto il profilo di ordinate procedure concorsuali garantite da adeguata copertura finanziaria, in ordine alla soddisfazione delle posizioni sostanziali sottostanti ai titoli esecutivi inutilmente azionati. 

Essa, pertanto, si poneva, in entrambe le sue versioni, in contrasto con l'art. 24 Cost. in quanto, in conseguenza della norma censurata, venivano vanificati gli effetti della tutela giurisdizionale già conseguita dai numerosi creditori delle aziende sanitarie procedenti nei giudizi esecutivi. 

Costoro non soltanto si trovano, in alcuni casi da più di un triennio, nella impossibilità di trarre dal titolo da loro conseguito l'utilità ad esso ordinariamente connessa, ma dovevano, altresì, sopportare, in considerazione della automatica estinzione (o, nella versione precedente, della inefficacia) delle procedure esecutive già intraprese e della liberazione dal vincolo pignoratizio dei beni già asserviti alla procedura, i costi da loro anticipati per l'avvio della procedura stessa. 

Né si verificava la condizione che, secondo la giurisprudenza costituzionale, rende legittimo il blocco delle azioni esecutive, cioè la previsione di un meccanismo di risanamento che, come detto, canalizzasse in una unica procedura concorsuale le singole azioni esecutive, con meccanismi di tutela dei diritti dei creditori che non si rinvenivano nei piani di rientro cui la disposizione faceva riferimento, sicché la posizione sostanziale dei creditori trovasse una modalità sostitutiva di soddisfazione. 

La disposizione in esame, infatti, non conteneva la disciplina di tale tipo di procedura né identificava le risorse finanziarie da cui attingere per il suo eventuale svolgimento. 

La Corte ha, altresì, considerato rilevante la circostanza che, con la disposizione censurata, il legislatore statale avesse creato una fattispecie di ius singulare che determinava lo sbilanciamento fra le due posizioni in gioco, esentando quella pubblica, di cui lo Stato risponde economicamente, dagli effetti pregiudizievoli della condanna giudiziaria, con violazione del principio della parità delle parti di cui all'art. 111 Cost. 

Né poteva, infine, valere a giustificare l'intervento legislativo censurato il fatto che questo potesse essere ritenuto strumentale ad assicurare la continuità della erogazione delle funzioni essenziali connesse al servizio sanitario: infatti, a presidio di tale essenziale esigenza già risultava da tempo essere posta la previsione di cui all'art. 1, comma 5, del d.l. 18 gennaio 1993, n. 9, conv. con mod. con l. 18 marzo 1993, n. 67, in base alla quale è assicurata la impignorabilità dei fondi a destinazione vincolata essenziali ai fini della erogazione dei servizi sanitari. 

Recentissimamente, con la sentenza del 7 dicembre 2021, n. 236, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 8, d.l. 31 dicembre 2020, n. 183, conv. con l. 26 febbraio 2021, n. 21, che, in ragione dell’emergenza derivante dall’epidemia di Covid-19, aveva prorogato la sospensione delle esecuzioni e l’inefficacia dei pignoramenti nei confronti degli enti del Servizio sanitario nazionale, già precedentemente disposta. 

Dopo aver ripercorso la motivazione della precedentemente evocata sentenza n. 186 del 2013, la Corte ha precisato che, nonostante l’evoluzione dell’emergenza sanitaria e la possibilità di ricalibrare su di essa la programmazione di cassa, la disposizione censurata aveva prorogato la misura in danno dei creditori per un intero anno senza alcun aggiornamento della valutazione comparativa tra i loro diritti giudizialmente accertati e gli interessi dell’esecutato pubblico. 

In tal modo, gli effetti negativi della protrazione del “blocco” delle esecuzioni venivano lasciati invariabilmente a carico dei creditori, tra i quali pure possono trovarsi anche soggetti cui è stato riconosciuto un risarcimento in quanto gravemente danneggiati nella salute o operatori economici a rischio di espulsione dal mercato. 

Costituzionalmente tollerabile ab origine, la misura era divenuta sproporzionata e irragionevole per effetto di una proroga di lungo corso e non bilanciata da una più specifica ponderazione degli interessi in gioco, che ha leso il diritto di tutela giurisdizionale ex art. 24 Cost. nonché, al contempo, la parità delle parti e la ragionevole durata del processo esecutivo. 

Il protratto sacrificio imposto ai creditori sul piano della tutela giurisdizionale avrebbe potuto essere ricondotto a conformità con i parametri costituzionali ove fosse stata approntata una tutela alternativa di contenuto sostanziale, che però non era stata nella specie predisposta. 

Ebbene, la disposizione che in questa sede va applicata replica, a parere di questo Tribunale, tutti i profili di illegittimità evidenziati con riferimento ai precedenti provvedimenti di sospensione. 

Essa impedisce, per un lunghissimo periodo di quattro anni (che si aggiungono ai quasi due anni in cui, sino alla sentenza della Corte costituzionale n. 236 del 2021, le procedure esecutive nei confronti di tutti gli Enti del Servizio Sanitario Nazionale sono rimaste sospese), l’accesso alla tutela esecutiva. 

Non prevede una procedura concorsuale idonea a garantire la soddisfazione, quanto meno pro quota, delle pretese dei creditori. 

Crea un’ingiustificata disparità tra debitore pubblico e creditori privati, tra i quali possono ben esservi soggetti socialmente o economicamente svantaggiati. 

Per tali ragioni, essa si pone in diretto contrasto con l’art. 24 Cost., che invece assicura a tutti il diritto ad agire, anche esecutivamente. 

La violazione dell’art. 24 Cost. si apprezza, trattandosi di giudizio di ottemperanza davanti al giudice amministrativo, anche in combinato disposto con l’art. 113 Cost, che assicura sempre «la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa» e ne vieta l’esclusione o la limitazione a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti. 

 

Infatti, ciò che la norma in questione determina è proprio l’impossibilità per il creditore degli Enti del servizio sanitario regionale della Calabria di ottenere dal giudice amministrativo la tutela giurisdizionale esecutiva, in ragione del provvedimento giurisdizionale definitivo ottenuto dal giudice ordinario. 

Risulta quindi violato anche l’art. 113 Cost. 

 


Anno di pubblicazione:

2022

Materia:

GIUSTIZIA amministrativa, GIUDIZIO di ottemperanza

Tipologia:

Focus di giurisprudenza e pareri