Alla Adunanza plenaria per una rimeditazione della questione relativa agli effetti della dichiarazione di dissesto in caso di creazione di una massa separata affidata alla gestione di un organo straordinario, distinto dagli organi istituzionali dell’ente locale

Alla Adunanza plenaria per una rimeditazione della questione relativa agli effetti della dichiarazione di dissesto in caso di creazione di una massa separata affidata alla gestione di un organo straordinario, distinto dagli organi istituzionali dell’ente locale


Enti locali – Comuni – Dichiarazione di dissesto – Creazione di una massa separata affidata alla gestione di un organo straordinario, distinto dagli organi istituzionali dell’ente locale – Effetti – Nuova rimessione all’Adunanza plenaria. 

 

          È nuovamente rimessa all’Adunanza plenaria – che già aveva pronunciato sul punto con la sentenza 5 agosto 2020, n. 15 – per una rimeditazione, la questione relativa alla conclusione secondo cui la disciplina normativa sul dissesto, basata sulla creazione di una massa separata affidata alla gestione di un organo straordinario, distinto dagli organi istituzionali dell’ente locale, può produrre effetti positivi soltanto se tutte le poste passive riferibili a fatti antecedenti al riequilibrio del bilancio dell’ente possono essere attratte alla predetta gestione, benché il relativo accertamento (giurisdizionale o amministrativo) sia successivo. 

 

(1) Ha ricordato la Sezione che con la sentenza 5 agosto 2020, n. 15 l’Adunanza plenaria ha affermato il principio secondo cui sono attratti nella competenza dell’OSL (Organo Straordinario di Liquidazione) - e non rientrano quindi nella gestione ordinaria - non solo le poste passive pecuniarie già contabilizzate alla data della dichiarazione di dissesto sia sotto il profilo contabile sia sotto il profilo della competenza amministrativa, ma anche tutte le svariate obbligazioni che, pur se stricto jure sorte in seguito, costituiscano comunque la conseguenza diretta ed immediata di “atti e fatti di gestione” pregressi alla dichiarazione di dissesto. 

Nella sentenza n. 43780/2004 del 24 settembre 2013, De Luca c/o Italia, la CEDU ha avuto modo di affermare che “l'avvio della procedura di dissesto finanziario a carico di un ente locale e la nomina di un organo straordinario liquidatore, nonché il successivo d.l. n. 80/2004 che impediva i pagamenti delle somme dovute fino al riequilibrio del bilancio dell'ente, non giustificano il mancato pagamento dei debiti accertati in sede giudiziaria, poiché lesive dei principi in materia di protezione della proprietà e di accesso alla giustizia riconosciuti dalla convenzione europea dei diritti dell'uomo. Ne consegue l'obbligo per lo Stato di appartenenza di pagare le somme dovute dagli enti locali nei termini e secondo le modalità prescritte dalla convenzione”. 

Nel ribadire la propria giurisprudenza in materia (Hornsby c. Grecia, 19 marzo 1997, § 40, Raccolta delle sentenze e decisioni 1997 II, e Bourdov c. Russia (n. 2), n. 33509/04, § 65, 15 gennaio 2009), la CEDU rammenta che il “diritto ad un tribunale”, in questo caso il diritto di adire un tribunale in materia civile, costituisce un aspetto fondamentale della tutela dei diritti: sarebbe illusorio se l’ordinamento giuridico interno di uno Stato contraente permettesse che una decisione giudiziaria definitiva ed obbligatoria restasse inefficace a scapito di una parte. L’esecuzione di una sentenza, di qualsiasi giudice, deve quindi essere considerata facente parte integrante del “processo” ai sensi dell’art. 6 della Convenzione sui diritti dell’Uomo. 

A questo proposito la Corte ha osservato che, ai sensi dell’art. 248, comma 2, d.lgs. 267 del 2000, dalla data della dichiarazione di dissesto e fino all’approvazione del rendiconto, non potevano essere intraprese o proseguite azioni esecutive nei confronti del comune per i crediti che rientravano nella competenza dell’OSL. L’art. 5, comma 2, l. n. 140 del 2004 ha esteso questa regola anche ai crediti che erano stati accertati con provvedimento giurisdizionale successivo alla dichiarazione di dissesto. Il Consiglio di Stato ha applicato questa disposizione nelle sue decisioni n. 3715 del 30 luglio 2004 e n. 6438 del 21 novembre 2005

Si doveva ritenere che il ricorrente aveva per questo subito un’ingerenza nell’esercizio del suo diritto di accesso ad un tribunale. 

Si deve entrare quindi nel concetto rammentato dalla CEDU secondo cui un “credito” può costituire un “bene” ai sensi dell’art. 1 del Protocollo n. 1 se è sufficientemente accertato per essere esigibile (De Luca c. Italia n. 43780 del 24 settembre 2004; Raffinerie greche Stran e Stratis Andreadis c. Grecia, 9 dicembre 1994, § 59, serie A n. 301-B, e Bourdov c. Russia, n. 59498/00, § 40, CEDU 2002-III). 

Nel caso di specie, la CEDU ha osservato che il ricorrente era titolare di un credito accertato, liquido ed esigibile per effetto della sentenza del tribunale civile italiano del 18 novembre 2003, che aveva condannato il Comune di Benevento a versargli un risarcimento nella misura di €. 17.604,46, al quale si aggiungevano gli interessi legali e una somma a titolo di rivalutazione monetaria. Tale sentenza era divenuta definitiva il 9 maggio 2004. In seguito alla dichiarazione di dissesto finanziario del Comune, intervenuta nel dicembre 1993, nonché all’entrata in vigore del d.lgs. n. 267 del 18 agosto 2000 e della l. n. 140 del 28 maggio 2004, il ricorrente si era trovato nell’impossibilità di intraprendere un’azione esecutiva nei confronti del Comune. Peraltro, quest’ultimo non aveva pagato il suo debito, ledendo il diritto del ricorrente al rispetto dei suoi beni, quale enunciato nella prima frase del primo paragrafo dell’art. 1 del Protocollo n. 1. 

La Corte rammentava sotto il profilo dell’art. 6 § 1 della Convenzione che il “diritto ad un tribunale”, di cui il diritto di accesso – vale a dire il diritto di adire un tribunale in materia civile – costituisce un aspetto, sarebbe illusorio se l’ordinamento giuridico interno di uno Stato contraente permettesse che una decisione giudiziaria definitiva ed obbligatoria restasse inefficace a scapito di una parte. L’esecuzione di una sentenza, di qualsiasi giudice, deve quindi essere considerata facente parte integrante del “processo” ai sensi dell’art. 6 (Hornsby c. Grecia, 19 marzo 1997, § 40, Raccolta delle sentenze e decisioni 1997 II, e Bourdov c. Russia (n. 2), n. 33509/04, § 65, 15 gennaio 2009). 

 

Ha aggiunto la Sezione che se può essere opinato che il combinato disposto dell’art. 252, comma 4, d.lgs. n. 267 del 2000, nonché dell’art. 5, comma 2, d.l. n. 80 del 2004 convertito nella l. n. 140 del 2004 ha il ruolo di porre sul piede di parità i creditori e anche ciò ha un rilievo costituzionale, va anche richiamato il fatto che la CEDU ha rammentato che un credito può costituire un “bene” ai sensi dell’art. 1 del Protocollo n. 1 della Convenzione europea sui diritti dell’Uomo. 

Nel caso all’esame della Sezione il credito, ossia il “bene”, è un credito da lavoro, dunque il frutto di uno dei cardini costituzionali, il quale gode di privilegi nelle procedure concorsuali riguardanti i privati. 

Tutto quanto sopra sembra imporre, ad avviso della Sezione, un’interpretazione del combinato disposto dell’art. 252, comma 4, d.lgs. n. 267 del 2000, nonché dell’art. 5, comma 2, d.l. n. 80 del 2004, convertito nella l. n. 140 del 2004, che deve essere costituzionalmente orientata ed inoltre conforme ai principi dettati dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo. 

Per completezza va aggiunto che l’attuale controversia si è sviluppata tutta su un piano giurisdizionale con una interdizione all’esecuzione di un provvedimento appartenente a tale genere, mentre la fattispecie regolata dall’Adunanza plenaria si fonda essenzialmente sull’inerzia inerente la conclusione di un procedimento amministrativo, per la precisione di un’acquisizione espropriativa, senza l’emissione di pronunce giurisdizionali di tipo cognitorio. 


Anno di pubblicazione:

2021

Materia:

COMUNE e provincia, PROCEDURA DI DISSESTO

COMUNE e provincia

Tipologia:

Focus di giurisprudenza e pareri