All’Adunanza plenaria l’assegno ad personam ai componenti laici del Consiglio Superiore della Magistratura

All’Adunanza plenaria l’assegno ad personam ai componenti laici del Consiglio Superiore della Magistratura


Magistrati – Consiglio Superiore della Magistratura - Componenti laici – Rientro nella Amministrazione di provenienza - Assegno ad personam – Dubbi in giurisprudenza – Rimessione all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 

     Sono rimesse all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato le questioni se le disposizioni normative sull’assegno ad personam di cui all’art. 1, commi 457 e 458, l. n. 147 del 2013, nonché quelle di cui all’art. 8, comma 5, l. n. 370 del 1999 (nel testo vigente) siano applicabili anche ai componenti cc.dd. ‘laici’ del Consiglio Superiore della Magistratura (con la conseguenza di rendere inapplicabili nei loro confronti l’istituto dell’assegno ad personam) ovvero se questi ultimi siano esclusi dalla applicazione delle norme ivi contenute, anche in ragione del particolare munus ad essi affidato (art. 104, comma 4, Cost.); b) in caso di risposta affermativa al primo quesito, se le disposizioni normative de quibus siano applicabili ai ratei da corrispondersi a partire dal 1° febbraio 2014, anche se il conferimento dell’incarico di componente c.d. ‘laico’ del Consiglio Superiore della Magistratura sia avvenuto antecedentemente alla data di entrata in vigore della l. n. 147 del 2013 (1). 

 

(1) Analoga rimessione è stata disposta con Cons. St., sez. VII, ord., 9 marzo 2022, n. 1673

Ha ricordato la Sezione che sulla questione si registra un contrasto giurisprudenziale.  

Secondo un primo orientamento (sez. VI, 5 marzo 2018 nn. 1384 e 1385) l’art. 1, comma 459, l. n. 147 del 2013 “impone a tutte le Amministrazioni, nei cui ruoli siano rientrati propri dipendenti cessati da precedenti ruoli o incarichi, di adeguare - senza alcuna distinzione - i relativi trattamenti giuridici ed economici (disponendo la cessazione degli assegni ad personam in precedenza corrisposti) “a partire dalla prima mensilità successiva alla data di entrata in vigore” della l. n. 147 del 2013. La prescrizione spiega dunque effetto per tutti i ratei retributivi da corrispondersi a partire dal 1 febbraio 2014 (ma, ovviamente, senza che vi sia luogo a restituzione di quanto fino a tale data percepito, in ciò sostanziandosi l'irretroattività, ove rettamente intesa, della norma sopravvenuta)”. 

Secondo tali decisioni, il richiamato obbligo di adeguamento opererebbe anche in relazione allo speciale assegno ad personam di cui all’art. 3, l. n. 312 del 1971. 

Il Consiglio di Stato (attraverso un percorso argomentativo che il Collegio ritiene in via di principio condivisibile) ha in particolare ritenuto che le nuove disposizioni normative siano connotate da retroattività c.d. “impropria”, che si realizza quando le norme sopravvenute regolano diversamente i tratti non esauriti dei rapporti di durata. Ha inoltre osservato che – pur dovendosi riconoscere ai richiamati interventi normativi valenza retroattiva, sia pure con salvaguardia degli emolumenti già corrisposti – gli stessi non si pongano in contrasto con i limiti che la giurisprudenza della Corte costituzionale e della Cedu hanno posto all’applicazione di discipline retroattive. È stato in particolare affermato che i richiamati interventi non si pongano in insanabile contrasto con le modalità e le condizioni di tutela del legittimo affidamento sancite – sia pure con declinazioni in parte diverse – dalla giurisprudenza costituzionale e da quella convenzionale. 

Le richiamate sentenze della Sesta Sezione hanno inoltre rilevato che l’abrogazione espressa dell’art. 202 T.U. n. 3 del 1957 ad opera della legge n. 147 del 2013 ha altresì determinato come conseguenza l’abrogazione implicita (o, secondo una prospettiva in parte diversa, un vero e proprio fenomeno di “svuotamento normativo”) dell’articolo 3 della legge n. 312 del 1971 (secondo cui, è bene ricordarlo, il riconoscimento dell’assegno ad personam in favore degli ex componenti cc.dd. ‘laici’ del CSM opera “agli effetti e nei limiti stabiliti dall’articolo 202 [del d.P.R. n. 3 del 1957]”).  

Ad analoghe conclusioni è pervenuto recentemente (con riguardo alla questione relativa al computo dell’assegno ad personam percepito da un componente c.d. ‘laico’ del Consiglio Superiore della Magistratura, ai fini della determinazione della indennità di buonuscita) il Consiglio di Stato, Sezione III, nella sentenza n. 8026 dell’1 dicembre 2021. 

Nelle predette pronunce è stato chiarito che le disposizioni normative introdotte nel 2013 dal legislatore nazionale, ai fini del contenimento della spesa pubblica, trovano applicazione anche agli incarichi di componente c.d. ‘laico’ del Consiglio Superiore della Magistratura, con la conseguenza che, a partire dalla mensilità successiva a quella di entrata in vigore della legge n. 147/2013, non si ha più diritto a percepire l’assegno ad personam che in precedenza veniva erogato, al momento del rientro in servizio presso le Amministrazioni di appartenenza, per aver fatto parte del Consiglio Superiore della Magistratura. 

 

La Sezione ha rilevato che in altre pronunce il Giudice amministrativo d’Appello è pervenuto a conclusioni sostanzialmente opposte. 

In particolare, il Consiglio della Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, nella sentenza 14 aprile 2016 n. 89, partendo dall’assunto che l'elezione da parte del Parlamento di un professore a componente del Consiglio Superiore della Magistratura, prevista dal quarto comma dell'art. 104 della Costituzione, non può essere equiparata alla nomina a un incarico o a un servizio amministrativo in relazione al fondamento costituzionale del relativo munus, è pervenuto alla conclusione di ritenere che “l’art. 3 comma 1, l. n. 312 del 1971 è stato previsto espressamente per i componenti del C.S.M. ed è stato previsto per ristorare i peculiari sacrifici conseguenti alla rinunzia di svolgere altre attività (….) è necessario ritenere che si tratti di una norma speciale cioè di una norma che regola casi assolutamente particolari e specificamente individuati e, come tale, non può ritenersi che venga abrogata da una norma di carattere generale contenuta nell'art. 202 del d.P.R. n. 3 del 1957 che - e questo sembra decisivo - comunque la si voglia interpretare fa riferimento a compiti, funzioni, incarichi svolti all'interno dell'amministrazione e non alle funzioni di competenza degli organi costituzionali”.  

 

La tesi da ultimo richiamata sembra essere sostanzialmente ripresa anche da questo Consiglio di Stato, Sezione VI, nella sentenza dell’11 dicembre 2017 n. 5801, nella quale, in sede di ottemperanza, si afferma che: “l’effetto abolitivo, che per il personale universitario è comunque superfluo stante l’art. 8, comma 5, della l. 19 ottobre 1999, n. 370 (sul divieto di mantenimento di trattamenti economici goduti nel servizio o incarico svolto precedentemente), ha riguardato soltanto il predetto art. 202, mentre nella specie si versa nel diverso caso dell’assegno ex art. 3, primo comma, della 312/1971 (norma non incisa dal citato comma 458, primo periodo); – tale assegno segue sì la morfologia strutturale di quelli ex art. 202 del DPR 3/1957 ed è sì ad personam, ma, in quanto afferente al munus ex art. 104, quarto comma, Cost., giammai è assimilabile a quelli inerenti a qualunque incarico amministrativo cui possa esser applicato un pubblico dipendente, onde esso resta regolato non già dalla norma generale del medesimo comma 458, bensì dalla fonte speciale e riservata (la legge n. 312) anche sotto il profilo funzionale, servendo esso a ristorare quei peculiari sacrifici connessi all’incarico di rilevanza costituzionale e conseguenti alla rinuncia ai vari vantaggi attuali o potenziali del componente eletto nel CSM, ristoro di cui il legislatore s’è dato carico con la predetta regola ad hoc”. 

 

La decisione da ultimo richiamata, in sintesi, perviene alla conclusione (di fatto, opposta rispetto a quella tracciata dalle richiamate sentenze numm. 1384 e 1385 del 2018) secondo cui gli interventi normativi del 2012-2013 non avrebbero determinato alcun effetto abrogativo nei confronti dello speciale assegno ad personam di cui alla legge n. 312 del 1971. E l’assenza di un tale effetto emergerebbe sia dalla mancanza di un’abrogazione espressa della richiamata disposizione, sia dal carattere del tutto speciale dell’attribuzione patrimoniale ivi disciplinata, che non potrebbe dirsi “travolta” in conseguenza dell’abrogazione dell’articolo 202 del d.P.R. n. 3 del 1957 ​​​​​​​


Anno di pubblicazione:

2022

Tipologia:

Focus di giurisprudenza e pareri