Sull’onere di diligenza esigibile dal soggetto danneggiato

Sull’onere di diligenza esigibile dal soggetto danneggiato


Giustizia amministrativa – Azione risarcitoria – Responsabilità aquiliana - Onere di diligenza 

Gli artt. 1227 c.c. e 30, comma 3, c.p.a. non possono essere interpretati in modo così ampio e rigido da tradursi, di fatto, in una forma di denegata giustizia; in particolare, esigere non solo l’impugnativa degli atti lesivi e la proposizione di un’istanza cautelare, ma anche la proposizione di ogni possibile censura significa denegare, in concreto, l’esistenza stessa di quella cognizione, che rende la tutela del g.a. effettiva, piena e satisfattiva (1).


(1)    Non risultano precedenti in tali esatti termini. 

La pronuncia della sezione conclude una complessa vicenda, che può essere sintetizzata come segue. 
Una società aveva ottenuto dal Comune il permesso di costruire un complesso residenziale; l’Anas l’aveva tuttavia diffidata dall’eseguire i lavori, sostenendo che la realizzazione del complesso in questione avrebbe violato la fascia di rispetto autostradale (determinata, dall’Anas, in 60 metri). 
La società aveva impugnato le predette diffide dinanzi al T.a.r., proponendo anche l’istanza cautelare; il giudice di primo grado aveva respinto il ricorso, perché l’unica censura fondata (la fascia di rispetto applicabile non era di 60 bensì di 30 metri) era stata proposta con memoria non notificata alla controparte. Il Consiglio di Stato, in appello, confermava la sentenza di primo grado pur ritenendo auspicabile una riconsiderazione dell’intera vicenda da parte delle amministrazioni coinvolte (atteso che, in realtà, il complesso ben poteva essere realizzato, situandosi a distanza sufficiente a garantire il rispetto della fascia di 30 metri). 
A questo punto, il permesso di costruire veniva rilasciato e la società citava l’Anas, dinanzi al giudice ordinario, per ottenere il risarcimento dei danni da ritardo. 
In seguito a regolamento di giurisdizione promosso dall’Anas, le sezioni unite stabilivano che sulla controversia sussisteva la giurisdizione del g.a.; il processo veniva riassunto dinanzi al T.a.r. e quest’ultimo respingeva la domanda risarcitoria, ritenendo applicabili gli artt. 1227 c.c. e 30 comma 3 c.p.a., sulla base della considerazione che la società non avrebbe proposto ritualmente l’unico motivo ritenuto (in astratto) suscettibile di accoglimento dal giudice di appello.
La sezione, formulando il principio in massima, ha accolto l’appello, ritenendo che l’onere di diligenza imposto al soggetto danneggiato non possa essere inteso in senso così ampio e rigido da comportare un vulnus alla pienezza ed all’effettività della tutela; in particolare, “l’attribuzione al giudice amministrativo (in tempi relativamente recenti) della cognizione piena in materia risarcitoria gli imponga di approfondire sotto ogni aspetto la pretesa economica oltre che giuridica delle parti, facendosi carico anche dell’evoluzione di un contesto di mercato (anzi, di mercati) sempre più complesso”. Inoltre, “non può essere un ostacolo (a volte implicito) la pur oggettiva difficoltà, per il giudice amministrativo, di quantificazione del danno effettivamente subito, specie in situazioni peculiari come quella di specie (in cui si verte pacificamente del solo danno da ritardo nell’accertamento di una pretesa poi effettivamente riconosciuta, ma con conseguenze economiche che si assumono molto gravi per la parte ricorrente). Se tale quantificazione può, almeno in parte, essere particolarmente complessa e finanche esulare dalle conoscenze tecniche del giudice, si può ricorrere a meccanismi di quantificazione ad hoc, opportunamente predisposti dal sistema (cfr. infra, i punti 9 e ss.), ma non si può giungere alla totale negazione, in fatto, di quei remedies che l’ordinamento ha ormai pacificamente incardinato in capo al giudice amministrativo”.
 


Anno di pubblicazione:

2023

Materia:

GIUSTIZIA amministrativa, AZIONE risarcitoria

Tipologia:

Focus di giurisprudenza e pareri