Partecipazione procedimentale sull’informazione antimafia e valutazioni rimesse al legislatore

Partecipazione procedimentale sull’informazione antimafia e valutazioni rimesse al legislatore


Informativa antimafia – Comunicazione di avvio del procedimento – Eventualità.

    Il procedimento finalizzato all’emissione dell’informazione antimafia conosce una interlocuzione solo eventuale, prevista dall’art. 93, comma 7, d.lgs. n. 159 del 2011, secondo cui il Prefetto competente al rilascio dell’informazione, ove lo ritenga utile, sulla base della documentazione e delle informazioni acquisite, invita in sede di audizione personale i soggetti interessati a produrre, anche allegando elementi documentali, ogni informazione utile (1).
 

(1) Ha chiarito la sentenza che la Corte di Giustizia UE  si è pronunciata di recente sulla questione sollevata dal Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sede di Bari, in ordine alla carenza di contraddittorio procedimentale in sede antimafia e ha dichiarato, con l’ordinanza del 26 maggio 2020 in C-17/20, la questione manifestamente irricevibile, perché il giudice del rinvio non ha dimostrato l’esistenza di un criterio di collegamento tra il diritto dell’Unione, da un lato, e l’informazione antimafia o la decisione del Comune, in quella vicenda, di revocare la concessione di un terreno utilizzato dalla società ricorrente per lo svolgimento della sua attività economica.
Analogamente, nel caso di specie, gli odierni appellanti non hanno minimamente allegato, prima ancora che dimostrato, la rilevanza transfrontaliera della questione sollevata con il motivo in esame né quale sia il concreto criterio di collegamento con la normativa eurounitaria, limitandosi a richiamare solo la già citata ordinanza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sede di Bari.
Peraltro, non si può trascurare in punto di fatto che la seconda informazione antimafia, impugnata in questo giudizio e qui contestata con l’appello in esame (avendo il primo giudice annullato, come si è visto, la prima informazione antimafia), trae origine dall’ordinanza propulsiva emessa in sede cautelare dal Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, sede di Reggio Calabria, sicché la parte ha certamente avuto modo di conoscere le ragioni che hanno condotto al riesame del provvidimento interdittivo, analiticamente individuate dall’ordinanza, nonché le ulteriori conseguenti motivazioni che hanno condotto alla conferma del provvedimento interdittivo per il grave quadro di infiltrazione mafiosa sin qui descritto.
Sul piano generale non sfugge che la Corte di Giustizia UE, nel § 28 della propria ordinanza del 26 maggio 2020 in C-17/20, ha affermato, con un significativo obiter dictum, che il rispetto dei diritti di difesa, quale principio generale del diritto dell’Unione, trova applicazione quando l’amministrazione intende adottare nei confronti di una persona un atto che le arrechi pregiudizio e che, in forza di tale principio, i destinatari di decisioni che incidono sensibilmente sui loro interessi devono essere messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l’amministrazione intende fondare la sua decisione.
Il Consiglio di Stato, nelle sentenze n. 820 del 31 gennaio 2020 e n. 2854 del 26 maggio 2020, ha già chiarito che, ferma rimanendo ogni competenza della Corte di Giustizia UE sulla compatibilità della normativa italiana con il diritto eurounitario al cospetto di una questione che abbia rilevanza transfrontaliera, rilevanza nel caso di specie – come detto – assente e nemmeno dedotta dagli appellanti, il procedimento finalizzato all’emissione dell’informazione antimafia non sconta una totale assenza di contraddittorio, nel nostro ordinamento, ma conosce una interlocuzione solo eventuale, prevista dall’art. 93, comma 7, d.lgs. n. 159 del 2011, secondo cui il Prefetto competente al rilascio dell’informazione, ove lo ritenga utile, sulla base della documentazione e delle informazioni acquisite, invita in sede di audizione personale i soggetti interessati a produrre, anche allegando elementi documentali, ogni informazione utile.
L’audizione del soggetto interessato e l’invito a fornire informazioni o documenti presuppongono una valutazione discrezionale dell’autorità preposta alla tutela della sicurezza pubblica in ordine all’utilità di detto contraddittorio procedimentale in seno ad un procedimento informato da speditezza, riservatezza ed urgenza, per evidenti ragioni di ordine pubblico, e finalizzato, per espressa previsione legislativa (art. 84, comma 3, del d. lgs. n. 159 del 2011), a prevenire eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o delle imprese (Cons. St., sez. III, 30 gennaio 2019, n. 758; id. 5 settembre 2019, n. 6105 e, ora, Corte cost. 26 marzo 2020, n. 57).
La sentenza n. 820 del 31 gennaio 2020 di questo Consiglio di Stato ha osservato che la discovery anticipata, già in sede procedimentale, di elementi o notizie contenuti in atti di indagine coperti da segreto investigativo o in informative riservate delle forze di polizia, spesso connessi ad inchieste della magistratura inquirente contro la criminalità organizzata e agli atti delle indagini preliminari, potrebbe frustrare la finalità preventiva perseguita dalla legislazione antimafia, che ha l’obiettivo di prevenire il tentativo di infiltrazione da parte delle organizzazioni criminali, la cui capacità di penetrazione nell’economia legale ha assunto forme e “travestimenti” sempre più insidiosi.
Soprattutto nei casi di maggiore gravità, dove più radicato, ed evidente, è l’inquinamento delinquenziale nel contesto di talune realtà imprenditoriali, non di rado a base familiare, fortemente contigue o compromesse con logiche e interessi mafiosi, la conoscenza dell’imminente o probabile adozione di un provvedimento antimafia, acquisita in sede procedimentale, potrebbe vulnerare l’interesse pubblico sotteso all’adozione del provvedimento antimafia, in quanto le associazioni mafiose sono ben capaci di ricorrere a tecniche elusive delle norme in materia che, non a caso, prevedono come indicative di infiltrazioni mafiose anche, ad esempio, le sostituzioni degli organi sociali, nella rappresentanza legale della società nonché nella titolarità delle imprese individuali ovvero delle quote societarie, «con modalità che, per i tempi in cui vengono realizzati, il valore economico delle transazioni, il reddito dei soggetti coinvolti nonché le qualità professionali dei subentranti, denotino l’intento di eludere la normativa sulla documentazione antimafia» (art. 84, comma 4, lett. f), del d. lgs. n. 159 del 2011).
Si tratta di tecniche frequenti nella prassi e ben note all’esperienza giurisprudenziale dello stesso Consiglio di Stato, il quale riscontra forme sempre nuove con le quali le associazioni a delinquere di stampo mafioso, di fronte al “pericolo” dell’imminente informazione antimafia di cui abbiano avuto notizia, reagiscono mutando assetti societari, intestazioni di quote e di azioni, cariche sociali, soggetti prestanome, ma cercando di controllare comunque i soggetti economici che fungono da schermo, anche grazie alla distinta e rinnovata personalità giuridica, nei rapporti con le pubbliche amministrazioni.
Per questo nell’attuale legislazione il codice antimafia, senza escludere a priori e del tutto la partecipazione procedimentale (del resto ammessa per gli analoghi provvedimenti di iscrizione nella c.d. white list, emessi, però, su richiesta di parte ai sensi dell’art. 1, comma 52, della l. n. 190 del 2012: v., sul punto, Cons. St., sez. III, 20 settembre 2016, n. 3913), ne rimette, con l’art. 93, comma 7, del d. lgs. n. 159 del 2011, la prudente ammissione alla valutazione dell’autorità preposta all'emissione del provvedimento interdittivo in termini di utilità rispetto al fine pubblico perseguito.
Il principio del giusto procedimento, del resto, non ha una valenza assoluta, ma ammette deroghe limitate ad ipotesi eccezionali dovute alla tutela di interessi superiori afferenti alla tutela dell’ordine pubblico, come quella in esame, e proporzionate alla necessità del caso che, come si è detto, è qui assai grave per l’altissimo pericoloso infiltrativo che connota la società appellante.
Si obietta tuttavia che la partecipazione procedimentale, prima ancora che doverosa in base al principio del giusto procedimento, sarebbe utile per l’autorità prefettizia, nei termini di una più efficiente azione amministrativa rispondente al principio di buon andamento della p.a. (art. 97 Cost.), perché le consentirebbe di acquisire, in un quadro istruttorio più ampio e complesso, notizie ed elementi utili ad evitare l’emissione di un provvedimento tanto incisivo sulla libertà d’impresa, ma si trascura di considerare che, di fronte ai penetranti poteri di accesso e accertamento riconosciuti al Prefetto anche avvalendosi dei gruppi interforze, l’apporto procedimentale dell’impresa e le eventuali strategie dilatorie di questa in sede procedimentale potrebbero, per altro verso e nei casi che richiedono un’azione di contrasto immediata ed efficace, rallentare l’incisività e la rapidità di un provvedimento che deve colpire gli interessi economici della mafia prima che essi raggiungano il loro obiettivo, l’infiltrazione nel tessuto economico-sociale.
Il legislatore ha così dovuto operare, nel vigente codice antimafia, una scelta tra i due valori in gioco, la tutela dell’ordine pubblico e quello della libertà d’impresa, e lo ha fatto nei termini, sopra visti, di un contraddittorio eventuale ai sensi dell’art. 91, comma 7, d.lgs. n. 159 del 2011, riconoscendo una prevalenza al primo che non sacrifica del tutto il secondo. 

L’eventuale sacrificio di queste garanzie procedimentali e dei diritti di difesa, che deve essere necessario e proporzionato rispetto al fine perseguito, è compensato dal successivo sindacato giurisdizionale sull’atto adottato dal Prefetto che, contrariamente a quanto assume parte della dottrina, è pieno ed effettivo, in termini di full jurisdiction, anche secondo il diritto convenzionale, come ha riconosciuto la stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 57 del 26 marzo 2020, perché non solo investe, sul piano della c.d. tassatività sostanziale, l’esistenza di fatti indicatori di eventuale infiltrazione mafiosa, posti dall’autorità prefettizia a base del provvedimento interdittivo, ma sindaca anche, sul piano della c.d. tassatività processuale, la prognosi inferenziale circa la permeabilità mafiosa dell’impresa, nell’accezione, nuova e moderna, di una discrezionalità amministrativa declinata in questa delicata materia sotto l’aspetto del ragionamento probabilistico compiuto dall’amministrazione (Cons. St., sez. III, 30 gennaio 2019, n. 758; 5 settembre 2019, n. 6105).

Se queste sono le coordinate dell’attuale diritto positivo, non può tuttavia questo Collegio esimersi dal rilevare che un quantomeno parziale recupero delle garanzie procedimentali, nel rispetto dei diritti di difesa spettanti al soggetto destinatario del provvedimento, sarebbe auspicabile, de iure condendo, in tutte quelle ipotesi in cui la permeabilità mafiosa appaia alquanto dubbia, incerta, e presenti, per così dire, delle zone grigie o interstiziali, rispetto alle quali l’apporto procedimentale del soggetto potrebbe fornire utili elementi a chiarire alla stessa autorità procedente la natura dei rapporti tra il soggetto e le dinamiche, spesso ambigue e fluide, del mondo criminale.
In tutte queste ipotesi dunque, laddove la partecipazione procedimentale non frustri l’urgenza del provvedere e le particolari esigenze di celerità del procedimento – art. 7, l. n. 241 del 1990 – per bloccare un grave, incontrollabile o imminente pericolo di infiltrazione mafiosa e, dunque, non ostacoli la ratio stessa dell’informazione antimafia quale strumento di massima tutela preventiva nella lotta contro la mafia, la partecipazione procedimentale, prima di adottare un provvedimento interdittivo, potrebbe e dovrebbe essere ammessa in via generale perché:
a) consentirebbe all’impresa di esercitare in sede procedimentale i propri diritti di difesa e di spiegare le ragioni alternative di determinati atti o condotte, ritenuti dalla Prefettura sintomatici di infiltrazione mafiosa, nonché di adottare, eventualmente su proposta e sotto la supervisione della stessa Prefettura, misure di self cleaning, che lo stesso legislatore potrebbe introdurre già in sede procedimentale con un’apposita rivisitazione delle misure straordinarie, ad esempio, dall’art. 32, comma 10, del d.l. n. 90 del 2014, conv. con mod. in l. n. 114 del 2014, da ammettersi, ove la situazione lo consenta, prima e al fine di evitare che si adotti la misura più incisiva dell’informazione antimafia;
b) consentirebbe allo stesso Prefetto di intervenire con il provvedimento interdittivo quale extrema ratio solo a fronte di situazioni gravi, chiare, inequivocabili, non altrimenti giustificabili e giustificate dall’impresa, secondo la logica della probabilità cruciale, di infiltrazione mafiosa, all’esito di una istruttoria più completa, approfondita, meditata, che si rifletta in un apparato motivazionale del provvedimento amministrativo, fondamento e presidio della legalità sostanziale in un ordinamento democratico, che sia il più possibile esaustivo ed argomentato;
c) consentirebbe infine al giudice amministrativo di esercitare con maggiore pienezza il proprio sindacato giurisdizionale sugli elementi già valutati dalla Prefettura in sede procedimentale, anche previo approfondimento istruttorio nel contraddittorio con l’impresa, nonché sul conseguente corredo motivazionale del provvedimento prefettizio, e di affinare così ulteriormente, nell’ottica della full jurisdiction, i propri poteri cognitori e istruttori in questa delicata materia, crocevia di fondamentali valori costituzionali, eurounitari e convenzionali in gioco.
Tutto ciò, si aggiunga da ultimo ma non per ultimo, potrebbe far ritenere la stessa questione della determinatezza delle situazioni indicative di infiltrazione mafiosa, nell’ottica della c.d. tassatività sostanziale, meno assillante o persino superata perché, per rammentare le parole della Corte di Giustizia UE nell’ordinanza sopra citata del 26 maggio 2020 in C-17/20, il soggetto destinatario dell’informazione, già in sede procedimentale, potrebbe acquisire conoscenza e manifestare utilmente il proprio punto di vista «in merito agli elementi sui quali l’amministrazione intende fondare la sua decisione», anche quelli che, per la natura preventiva della misura, hanno un naturale, ineliminabile, margine di elasticità, e correggere così con le opportune misure, ove possibile, comportamenti o prassi che possono avvalorare il rischio di infiltrazione mafiosa.
L’incisività delle misure interdittive, come mostra anche l’aumento dei provvedimenti prefettizi negli ultimi anni, richiede che la lotta della mafia avvenga senza un sacrificio sproporzionato dei diritti di difesa, anzitutto, e della libertà di impresa, perché solo la proporzione è condizione di civiltà dell’azione amministrativa ed evita che la normativa di contrasto all’infiltrazione mafiosa purtroppo endemica nel nostro ordinamento, come ogni altro tipo di legislazione emergenziale, si trasformi in un diritto della paura, secondo quanto la Sezione ha già affermato nella sentenza n. 6105 del 2019.
​​​​​​​Spetterà alla saggezza del legislatore, anche nell’ottica di un delicato bilanciamento tra i valori in gioco che hanno una rilevanza, ormai, non solo nazionale, valutare simili o altri percorsi normativi, che evitino un sacrificio del diritto di difesa sproporzionato, in talune ipotesi che non siano contrassegnate dall’urgenza e dalle «particolari esigenze di celerità del procedimento» (le quali, come noto, possono comportare l’omissione delle garanzie partecipative, secondo quanto prevede in generale l’art. 7 della l. n. 241 del 1990), rispetto alla pure irrinunciabile, fondamentale, finalità del contrasto preventivo alla mafia. 


Anno di pubblicazione:

2020

Materia:

MISURE di prevenzione, INTERDITTIVA e informativa antimafia

MISURE di prevenzione

Tipologia:

Focus di giurisprudenza e pareri