Galleria della Meridiana - Galleria - Palazzo Spada
Palazzo Spada
Palazzo Spada fu costruito nel 1540 per il cardinale Girolamo Recanati Capodiferro (1501–1559). L'architetto fu Bartolomeo Baronino da Casale Monferrato, mentre una squadra di lavoro coordinata da Giulio Mazzoni creò i sontuosi stucchi sia dell'interno che degli esterni. Il palazzo fu comprato nel 1632 dal cardinale Bernardino Spada, il quale incaricò Francesco Borromini di modificarlo secondo i nuovi gusti dell'epoca, propendenti per lo stile barocco.
Borromini creò, tra l'altro, il capolavoro di trompe-l'oeil della falsa prospettiva nell'androne dell'accesso al cortile, in cui la sequenza di colonne di altezza decrescente e il pavimento che si alza generano l'illusione ottica di una galleria lunga 37 metri (mentre è di 8); in fondo alla galleria, in un giardino illuminato dal sole, si trova una scultura che sembra a grandezza naturale, mentre in realtà è alta solo 60 centimetri. Per creare la sua falsa prospettiva, Borromini fu aiutato dal matematico, Padre Giovanni Maria da Bitonto.
La Galleria della Meridiana è così chiamata per la presenza della meridiana catottrica.
Questo tipo di meridiana è basata sulla riflessione della luce anziché dell’ombra, come nei tradizionali sistemi di misurazione delle ore. Il risultato si ottiene attraverso un sistema di specchi posto entro una piccola apertura praticata in alto al centro della parete che affaccia al cortile, in grado di proiettare sulla volta un punto luce, di giorno con i raggi del sole e di notte con quelli della luna. Uno specchio rotondo, di piccolo diametro, era sistemato in modo tale che potesse essere rimosso.
La decorazione della Galleria è stata eseguita nel 1644 dal pittore Giovan Battista Magni su progetto del matematico francese Padre Emmanuel Maignan (appartenente all'ordine dei minimi di S. Francesco di Paola). La decorazione comprende, otre ai caratteri matematici, anche motivi figurativi. Sulle pareti della meridiana sono ora affissi dieci bassorilievi ellenistici del II secolo dopo Cristo. Essi raffigurano Anfione e Zeto, Adone ferito, Diomede e Ulisse, Paride e la ninfa Enone, Bellerofonte abbevera Pegaso, Paride ed Eros.
I busti che si alternano tra le finestre della Galleria ritraggono vari personaggi della famiglia Spada. Al centro della serie spicca il busto di papa Urbano VIII di Gian Lorenzo Bernini. In una nicchia che sovrasta la porta che immette nel salone è custodita la Madonna con il Bambino, attribuita a Pietro Bernini.
Sulle pareti della Sala "de' fatti degl'antichi Romani" sono presenti frammenti di affreschi eseguiti nel 1550 da Girolamo Siciolante da Sermoneta (1521-1580) (con l'aiuto di altri artisti), pittore già impegnato negli anni 1543 - '44 e '47 a dipingere l'appartamento di Paolo III in Castel Sant'Angelo.
Più propriamente la partecipazione del Siciolante si rinviene nella zona sottostante della stanza. Ai collaboratori spettava la parte superiore. Inizialmente si riteneva che i fatti raffigurati si riferissero alle imprese di Alessandro Magno. In seguito vi sono stati letti episodi relativi alla vita di Scipione. Nelle scene di battaglia raffigurate nel fregio superiore, vi sono stati visti i conflitti tra Roma e Cartagine, in particolare le due grandi vittorie contro i Cartaginesi in Spagna e in Africa, cioè a Cartagena e a Zama. Altri tre episodi ravvisabili tra frammenti sono identificati con La continenza di Scipione, La consegna della corona a Caio Lelio e Le esercitazioni militari (Livio, Historiae, XXVI-XXX).
Nel 1721 il marchese Clemente Spada affidò la ridipintura del ciclo, ancora intero, a Giacomo Wernle, che si attivò insieme al figlio Ferdinando. La scomparsa della pittura va fatta risalire al 1835, periodo in cui sulle pareti furono incollati parati di carta e su questi furono applicati altri parati di stoffa.
La pitture sono riemerse così frammentarie, ma in tutto il loro splendore, in tre campagne di restauro del 1974, del 1979 e del 2000. Sulla parete di destra entrando, al di sotto del fregio con le battaglie, grande risonanza per bellezza ed esecuzione assume la figura femminile con cornucopia e timone, simbolo della Fortuna e dell'Abbondanza, con un'erma di lato. Essa è affine allo stile del Siciolante come lo sono del resto i ritratti di Cosimo de' Medici e di Giulio III, e la parte sinistra di un frammento con due militari che avanzano in primo piano.
La stanza si completa di un prezioso soffitto ligneo composto di lacunari quadrati e profondi con rosette intagliate e dorate, alternati a cassettoni più piccoli rettangolari con fregi anch'essi dorati.
La stanza attualmente è adibita a sala udienza della IV Sezione giurisdizionale.
La stanza "Amore e Psiche" è decorata da un fregio ad affresco con episodi della favola di Amore e Psiche, descritta nelle Metamorfosi da Apuleio, scrittore nord africano vissuto nel II secolo d.C..
La favola che più di ogni altra sintetizza le tematiche neoplatoniche, proprio nel rapporto Psiche-Anima e nel significato di ricerca disperata dell'anima verso la piena conoscenza di se stessa, ottenuta solo ricorrendo alle forme superiori di amore, secondo quanto proclamato dalle dottrine platoniche, divenne nota nel Rinascimento attraverso la versione in volgare pubblicata nel 1549 da Angelo Firenzuola, col titolo L'asino d'oro.
In ogni angolo del fregio, tra due figure allegoriche femminili alate, compaiono coppie di ignudi diversamente atteggiati, visibilmente ispirati agli ignudi michelangioleschi della cappella Sistina. Ai loro piedi siedono coppie di putti alati che mostrano un mascherone. Sono evidenti da parte dell'anonimo artista esecutore riferimenti all'arte del Siciolante e di Pellegrino Tibaldi, nel gigantismo di base.
Sulle pareti sono raffigurate quattro scene relative alla prima parte della favola, riprodotte in finti arazzi. Immersa in un rigoglioso paesaggio è la scena in cui, come vuole il romanzo, una vecchia comincia a raccontare la favola di Amore e Psiche alla giovane Carite, disperata per essere stata rapita dai banditi e per di più il giorno delle nozze. È presente anche Lucio, il protagonista del romanzo, trasformato in asino dopo aver incautamente usato un unguento magico.
Narra la favola che in una città vivevano un re e una regina che avevano tre figlie. La più giovane di nome Psiche era così bella che da tutto il mondo uomini e donne accorrevano per adorarla come fosse Venere. Ma la dea, sentendosi trascurata e indignata per gli onori tributati ad una comune mortale, ordinò a suo figlio Amore (Cupido) di colpire Psiche con una delle sue frecce per farla accendere d'amore verso l'essere più infimo della terra. La storia nel testo di Apuleio continua con l'innamoramento di Amore stesso per Psiche, la fuga di Amore dopo che la giovane aveva cercato di conoscere le sue sembianze, le fatiche e le sofferenze affrontate da lei per riconquistarlo e le nozze finali celebrate al cospetto degli dei.
Con il secondo arazzo prende avvio la storia vera e propria. È di fatto raffigurata Psiche adorata come dea, mentre Venere impartisce l'ordine a Cupido. In fondo a destra è visibile il padre di Psiche che interroga l'oracolo di Apollo sul futuro della figlia che, pur essendo bella, non riesce a trovare marito. Il responso dell'oracolo consiste nella raffigurazione della giovane figlia sulla vetta di un monte in corteo nuziale, ma adorata come morta, quindi con pompa funebre. Il suo futuro sposo sarebbe stato infatti un mostro crudele.
Nella terza scena si assiste al trasporto di Psiche prima di essere abbandonata sulla rupe. È sottinteso l'intervento di Cupido che l'afferra e la conduce con sé in una reggia dorata e ne diventa l'amante a condizione che ella non cerchi mai di conoscere il suo aspetto.
Nel quarto riquadro, purtroppo ridimensionato a causa dell'apertura delle due finestre nel mezzanino, è raffigurata Psiche che, contrariamente ad ogni promessa, tenta di guardare il volto di Amore: ma una goccia di olio caduta dalla lucerna provoca il suo risveglio e quindi la sua fuga. La seconda parte della favola è rimandata alle decorazioni della villa della Farnesina, su via della Lungara, nel ciclo eseguito antecedentemente, intorno al 1517, da Raffaello e la sua scuola. Di gusto raffinato si presenta il soffitto ligneo decorato a grisaglie su un fondo azzurrino.
La stanza attualmente è adibita a camera di consiglio della IV Sezione giurisdizionale.
La Stanza di Perseo chiude il ciclo figurativo sul tema dell'amore. Il soffitto di cui è dotata la Stanza di Amore e Psiche si ripete fedelmente nell'ambiente attiguo con dipinti riferiti al mito di Perseo (Ovidio, Metamorfosi, IV, 779-786), anch'essi stilisticamente affini ai precedenti nel senso cromatico e nel gigantismo delle immagini, in una sorta di continuità formale e simbolica.
Anche in questa sala le arti figurative, con l'uso allegorico del mito, assumono una funzione educatrice. Se da un lato la favola di Amore e Psiche vuole essere di monito all'uomo a non lasciarsi dominare dalle passioni e dalla superbia, il mito di Perseo vuole dimostrare che l'uomo con l'esercizio delle virtù e con l'aiuto della divinità può sconfiggere i vizi e conquistare la fama, simboleggiata dal cavallo Pegaso. Va ricordato che la sala, insieme alla vicina Stanza di Amore e Psiche, ripete specularmente l'iconografia presente nei due omonimi ambienti dell'appartamento di Paolo III di Castel Sant'Angelo, eseguiti pochi anni prima. Perseo, eroe della mitologia greca, era figlio di Danae che lo aveva concepito quando Giove si era unito con lei sotto forma di pioggia d'oro.
Delle sue gesta eroiche, le principali sono l'uccisione della Medusa e la liberazione di Andromeda che stava per essere uccisa da un mostro marino. Nella sala queste imprese sono rappresentate in quattro riquadri: il primo mostra Perseo che saluta sua madre Danae e il loro ospite Polidette. A destra Mercurio gli fa dono di calzari alati e di una spada, mentre Minerva gli consegna uno scudo lucente nel quale guardare l'immagine riflessa della Medusa. Nella seconda scena Perseo è sul punto di decapitare la Medusa. Intorno a lui, alcune figure pietrificate sono vittime dello sguardo della Gorgone. Nel fondo Pegaso, il cavallo alato nato dal sangue della Medusa, con un colpo di zoccolo fa scaturire la fonte dell'Elicona.
L'altra impresa di Perseo è narrata nella terza scena. Egli vede Andromeda legata a una rupe, vittima della vendetta di Nettuno contro la superbia della madre Cassiopea, rea di essersi dichiarata più bella delle Nereidi. Per salvarla dal mostro marino chiede in cambio la sua mano ai genitori, dopo uccide il mostro con la spada.
La conclusione dell'episodio è nell'ultimo riquadro: Perseo scende sulla riva del mare per lavarsi e posa la testa della Medusa su un cespo di verghe marine che a contatto con essa si pietrificano dando origine al corallo.
La stanza attualmente ospita l'ufficio del Presidente della Quarta Sezione giurisdizionale.
Realizzata da Giulio Mazzoni (con altri pittori), la Galleria degli Stucchi è un piccolo gioiello della decorazione manierista (Giulio Mazzoni, Piacenza 1525 – 1618, allievo del Vasari. Venuto a Roma si perfezionò sotto Daniele da Volterra).
Nell'apparato decorativo compositivo, denso di significato, la Galleria si ispira a quella di Francesco I di Fontainebleau, che il Cardinale Capodiferro poteva aver visionato, ma non mancano riflessi dell'arte michelangiolesca.
I soggetti e le scene raffigurate, eseguite ad olio su muro, tecnica che permetteva al Mazzoni lentezza e meticolosità esecutive per raggiungere effetti cromatici chiaroscurali, illustrano rispettivamente allegorie e scene mitologiche tratte dalle Metamorfosi di Ovidio.
Il primo riquadro che si vede sulla volta entrando dalla galleria della Meridiana rappresenta La morte di Adone, simbolo dell'uomo lussurioso che cerca di vincere il vizio dandosi alla caccia e al lavoro della terra.
Al centro della volta è raffigurato Ganimede rapito al cielo da Giove trasformatosi in aquila, e rappresenta l'anima che si eleva verso Dio, il vero amore.
Nel terzo riquadro appare Narciso mentre si specchia alla fonte, simbolo della superbia (rappresenta l'amore verso se stesso, si fa un primo passo verso il vero amore).
Il riquadro che si trova sulla porta confinante con la stanza di Callisto rappresenta Danae che riceve Giove sotto forma di pioggia di monete d'oro alla presenza di Cupido, come nel prototipo del Primaticcio nella Galleria di Francesco I.
L'immagine, ritenuta dalla teologia neoplatonica simbolo positivo della fecondazione e del concepimento ad opera dell'amore divino, diviene in questo ambito, secondo la tradizione moralistica mitografica, simbolo stesso della corruzione.
Sulle pareti si trovano otto dipinti del cinquecento disposti a coppie una di fronte l'altra, il cui motivi dominante è quello di una figura, quasi sempre femminile che atterra un'altra figura umana o mostruosa, esprimendo la lotta interiore tra bene e male, virtù e vizio.
A Roma se ne può ammirare solo un altro esempio nel Palazzo della Cancelleria, nell'appartamento cardinalizio, la Cappella del Pallio con affreschi e stucchi di Francesco Salviati datati 1547. Rappresenta la via della purificazione che permette l'elevazione dello spirito trasformando le virtù politiche in virtù superiori.
I dipinti alle pareti riguardano la storia di Callisto, infelice ninfa del seguito della dea Diana, votata alla castità. È l'unico mito greco che contiene una seduzione omosessuale fra due donne.
I quattro dipinti murali ad olio, incorniciati da decorazioni a stucco in forma ovale, raffigurano Giove e Callisto, Callisto che fugge alla vista di Diana, Callisto si giustifica con Diana e Callisto al bagno. Nel soffitto, a tempera, che reca al centro lo stemma Spada al posto di quello originario del cardinale Girolamo Capodiferro, sono inseriti quattro riquadri dipinti a tempera raffiguranti il seguito degli episodi narrati sulle pareti, e precisamente: Callisto percossa da Giunone, Callisto scacciata da Diana, Arcade e Giove, Giunone e le stelle dell'orsa.
Ovidio narra che Giove riuscì a sedurre Callisto trasformandosi in Diana stessa. Molto tempo dopo, mentre le ninfe con Diana si stavano per bagnare in un ruscello, fu scoperta la gravidanza di Callisto. Diana indignata scacciò Callisto e Giunone, che aveva saputo quel che era accaduto, la trasformò in Orsa. Nel frattempo però Callisto aveva dato alla luce un figlio di nome Arcade, il quale, divenuto cacciatore, un giorno incontrò la madre trasformata in Orsa, e stava per colpirla con l'arco quando Giove impietositosi trasformò entrambi in costellazioni: Orsa Maggiore e Orsa Minore. Giunone adirata con Giove andò da Oceano e Teti pregandoli di non permettere che queste stelle potessero trovare riposo tramontando.
In seguito ad una recente scoperta si è potuto appurare che queste decorazioni non illustrano il mito di Ovidio quanto l'interpretazione che ne diede nella prima metà del Cinquecento Niccolò de Agostini. Infatti, nella penultima scena sul soffitto, Arcade punta la sua freccia non verso l'orsa (che non appare nel dipinto) ma in alto verso Giove, adirato per il destino riservato a sua madre. Giove si vendica e rivolge la saetta verso il basso, uccidendo Arcade, punito per aver sfidato il proprio genitore. La figura di Callisto rappresenta nella sua trasformazione la corruzione della donna. Sempre in questa stanza troviamo due grossi quadri ad olio su tela con Giuditta e Oloferne e Lucrezia, entrambi copie di Guido Reni. Gli originali vennero infatti venduti intorno al 1801.
La stanza attualmente è adibita ad anticamera del Presidente del Consiglio di Stato.
La Stanza dei Feudi fu fatta decorare nel 1640 dal pittore Giovan Battista Magni, per incarico del cardinale Bernardino Spada, con lo scopo di raffigurare le vedute delle sue proprietà in Romagna e Orvieto, acquisite in seguito a quattro facoltosi matrimoni che lui e il fratello Virgilio erano riusciti ad assicurare ai loro nipoti primogeniti e secondogeniti. L'ultimo matrimonio avvenne nel 1636 fra Orazio Spada (1613-1687) e la marchesa Maria Veralli.
Le insegne dei quattro rami in cui si suddivide il casato Spada, i due romagnoli e i due laziali (Roma, Bologna, Faenza e Spoleto), campeggiano ai lati del soffitto ligneo a cassettoni intervallate da imprese racchiudenti motti moraleggianti.
Le vedute che oggi si osservano raffigurate, riguardanti i feudi orvietani ed emiliani di Tosignano, Castel Viscardo, Viceno e Fontana, risalgono tuttavia a un periodo successivo, commissionate da Clemente Spada (1679-1759) agli inizi del secolo XVIII al pittore Christian Reder. Soltanto in un angolo alla sinistra del riquadro con Castel Viscardo riemerge un brano della originale pittura del Magni, ricoperta da decorazioni monocromate su fondo giallo con elementi floreali e medaglioni centrali con maschere; dal pittore Giacomo Wernle e da suo figlio Ferdinando, nel 1721.
Dalla Stanza dei Feudi si accede allo Studio del Presidente del Consiglio di Stato e alla Stanza dello Zodiaco o di Apollo, Sala riunioni del Presidente del Consiglio di Stato.
La Stanza di Enea è decorata da affreschi nel fregio e nel soffitto raffiguranti episodi della vita di Enea, l'eroe troiano obbediente alla volontà divina, predestinato a fondare nel Lazio la nuova stirpe da cui avrebbe avuto origine Roma.
Nelle parti originali cinquecentesche delle pareti, incorniciate da decorazioni e da altorilievi in stucco, sono descritte le scene: Le navi di Enea salpano dalla Sicilia, Enea e Didone assistono alla fondazione di Cartagine, Enea e Didone al banchetto.
Nei riquadri che hanno subito rifacimenti seicenteschi al tempo del cardinale Bernardino Spada sono affrescati Gli amori di Enea e Didone, Il giudizio di Paride, Marte scacciato da Minerva, Mercurio e le Grazie. Il soffitto, decorato a grottesche su fondo oro, con al centro lo stemma Spada, racchiude agli angoli quattro ovali incorniciati in finto marmo riproducenti i gigli farnesiani, collegati tra di loro attraverso altri quattro riquadri raffiguranti scene con giochi funebri in onore di Anchise, ovvero: La gara con l'arco e la giostra dei cavalieri, La distruzione della flotta di Enea, La discesa di Enea agli inferi.
L'anonima équipe di artisti terminò le decorazioni, tratte dall'Eneide di Virgilio, alla vigilia della festa di San Jacopo del 1550, come si legge in un graffito inciso in una parasta con grottesche a destra della scena con il Banchetto di Enea e Didone.
La stanza attualmente ospita l'ufficio del Presidente del Consiglio di Stato.
Il terzo ambiente, non facente parte del palazzo Capodiferro, ma della vicina casa dell'Arco, acquistata dallo Spada dagli eredi Mignanelli nel 1648, è rappresentato dalla Stanza dello Zodiaco o di Apollo. Sul soffitto a tempera su tela sono raffigurate scene riferite ad Apollo: nel tondo centrale, Il carro di Apollo, nei due ovali laterali, Apollo e Marsia e Apollo e Dafne, tutt'intorno i segni dello zodiaco.
Ai tempi del cardinale Bernardino l'ambiente fungeva da biblioteca, mentre il cardinale Fabrizio Spada vi ospitò parte della sua collezione. Già fatto ristrutturare da Clemente Spada (1679-1759) dallo stesso pittore Wernle durante la fase che interessò la vicina stanza, subì l'attuale modifica a partire dagli inizi del 1807, in occasione del matrimonio di Clemente Spada (1778-1866), figlio di Giuseppe (1752-1842) con la duchessa Marianna di Beaufort, celebrato a Vienna nel novembre del 1807. I pittori incaricati, come risulta dai pagamenti, furono Felice Baldi, Vincenzo Angeloni e uno dei due fratelli Tofanelli, Agostino o Stefano.
Entrando nella sala si possono ammirare decorazioni a grottesche eseguite a tempera dentro pannelli rettangolari, dove trovano pure posto tra girali floreali, in un'atmosfera festosa, filiformi figurette di satiri e coppie danzanti, genietti alati, medaglioni figurati. A pannelli così dipinti si alternano finte finestre che lasciano intravedere, attraverso ampi tendaggi, paesaggi raffiguranti Una riviera con gregge e capanne, Un golfo marino con battelli, Un paesaggio fluviale con ponte in rovina.
La Stanza dello Zodiaco o di Apollo è adibita a Sala riunioni del Presidente del Consiglio di Stato.
Dopo aver decorato il soffitto della terza sala della quadreria, nel 1699, per conto del cardinale Fabrizio Spada, con Le Quattro Stagioni e le Quattro Parti del Mondo, il pittore Michelangelo Ricciolini tornerà a lavorare per per il Cardinale Spada agli inizi del 1703 e lo rimarrà fino alla metà del 1704.
I lavori eseguiti in questo arco di tempo si spostano negli appartamenti del Palazzo e riguardano la ricca decorazione del soffitto in tela della stanza della ex casa Massari che affaccia sulla terrazza sovrastante la prospettiva del Borromini e quella delle volte a crociera di due stanze attigue, ricavate mediante un tramezzo nella loggia del palazzetto Spada, oggi sede di Uffici del Segretariato Generale della Giustizia Amministrativa.
Nella stanza detta dell'Aurora è raffigurato a mo' di arazzo il Carro del Sole preceduto dall'Aurora che mette in fuga la notte, scena allegorica allusiva al trascorrere del tempo attraverso l'avvicendarsi delle ore e quindi del giorno e della notte. Entrando si è rapiti dalla scenografica visione dell'Aurora che nella mitologia greca era la sorella di Elio, cioè il sole. Ogni mattina sorgeva dal letto lasciando il vecchio marito Titone immerso nel sonno e guidava Elio nel cielo.
Nella volta Aurora infatti precede elegantemente in volo, cospargendo fiori, il carro d'oro di Elio a quattro cavalli, circondato da fanciulle, in un cielo aperto in cui le nubi notturne si allontanano e il cielo si rischiara. Posta davanti a loro, nel cedere il posto al nuovo giorno è la Notte, simboleggiata dalla donna col capo coperto e avvolta dall'ampio manto blu che si allontana fuggendo, dando l'impressione di precipitare in basso al di qua della cornice, arrecando spavento al putto vicino a lei che cerca di coprirsi gli occhi per non vedere.
Elemento cardine dell'intera rappresentazione è dato dalla scena dei cavalli al galoppo, ognuno di colore diverso a significare le quattro parti della giornata.
Nel ricco apparato decorativo le immagini si addensano morbide ai margini e si diradano al centro in un cielo arioso, in un movimento continuo che rimanda alla grandiosa decorazione con il Trionfo della Divina Provvidenza nella volta del salone in palazzo Barberini di Pietro da Cortona, eseguita dal 1633 al 1639.
La stanza attualmente ospita l'ufficio del Segretario Generale della Giustizia amministrativa.
La Stanza delle Porcellane fu fatta decorare da Fabrizio Spada da Michelangelo Ricciolini nel 1703-1704. È detta delle Porcellane per gli ornati che si ispirano alle maioliche di Delft.
Agli inizi del Settecento in Italia e in Francia dominano ancora ceramiche e porcellane con stilemi legati alla elaborazione di grottesche rinascimentali. In ambito tedesco e olandese erano però già in uso le decorazioni cinesi di tipo bianco-blu dovute alla popolarità delle porcellane cinesi di queste tonalità importate dalle campagne delle Indie. La città di Delft in Olanda ne era diventata il centro di diffusione. Si trattava di una maiolica fine su cui venivano copiate decorazioni cinesi d'epoca Ming, specie del periodo Wan-li (1573-1619) e poi del periodo K'ang-hsi (1622-1722).
Nella ricerca della raffinatezza e del lusso diventava determinante nella decorazione, oltre agli episodi di vita esotica, l'interesse per la natura attraverso stilizzate raffigurazioni di fiori, foglie, conchiglie, animali, frutta e verdura.
La materia, preziosa ed effimera, verrà utilizzata non solo per la fabbricazione del vasellame, ma anche come elemento integrativo nelle decorazioni degli interni, come nel caso di palazzo Spada, che resta uno dei primi e rari esempi settecenteschi romani di decorazione basata sul tipo di ceramiche di Delft. In essa ritorna la fastosa iconografia dei putti alati che giocano con ghirlande di fiori in un insieme di piatti, vasi e conchiglie anch'essi decorati, cineserie, animali esotici e figurine dai toni bianco-blu.
Al centro, ai bordi di un grande piatto, si susseguono le insegne araldiche della famiglia Spada, mentre nelle sei lunette sottostanti nonché putti con vasi traboccanti di frutta di tutte le stagioni, in riferimento alle Quattro Stagioni, tema caro al cardinale Fabrizio.
Di particolare interesse è l'orologio a parete di fattura Musy, pere et fils, illustre famiglia torinese, di gioiellieri ufficiali della Casa Reale Savoia, insigniti di Patente di orologiai dal 1765, da Luigi di Savoia (probabile provenienza dal Palazzo reale di Torino o da una delle residenze sabaude).
La stanza attualmente ospita l'ufficio del Presidente aggiunto del Consiglio di Stato.
La Stanza delle Virtù fu fatta decorare da Fabrizio Spada da Michelangelo Ricciolini nel 1703-1704.
La stanza è detta delle Virtù dalle Allegorie delle Virtù Cardinali raffigurate negli angoli della volta a crociera. La Prudenza è andata purtroppo perduta. Stilisticamente vicine alle immagini allegoriche femminili già dipinte dal Ricciolini nel soffitto della terza sala del Museo, esse sostengono imponenti, avvolte da ampi drappi, i loro attributi secondo la descrizione che ne fa il Ripa. La Giustizia sostiene la spada, emblema del suo potere, e la bilancia, indice di imparzialità; La Fortezza che riunisce in sé il coraggio, capacità di sopportazione e forza, è rappresentata come una guerriera, a somiglianza della dea Minerva, con l'elmo in capo e la corazza, lo scudo sul braccio e il leone al lato sinistro, altro suo attributo simbolo di coraggio; La Temperanza ha davanti a sé una brocca contenente, secondo la tradizione, acqua e vino che lei si accinge a mescolare. Nel Medioevo il temperante era colui che si asteneva dal bere.
La crociera della volta, decorata a finto mosaico e racemi, racchiude all'interno un tondo, anch'esso dipinto a racemi, attorno al quale si muovono coppie di ignudi sorreggenti festoni di alloro e si articolano quattro piccoli ovali riproducenti delicati paesaggini. La fascia che corre esternamente alla decorazione contiene ovali collegati tra loro da nastri, con ritratti maschili e femminili riferiti forse a componenti della famiglia Spada.
Nelle lunette sottostanti, tra vasi decorati e una miriade di oggetti preziosi, si scoprono finti tendaggi che si sollevano, come fossero gruppi scultorei in bronzo dorato, nonché scene relative a quattro delle dodici fatiche di Ercole, personificazione della forza fisica e del coraggio. Nella lunetta a sinistra entrando si ravvisa Ercole e il gigante Anteo e in quella accanto Ercole con il leone di Nemea che seminava terrore tra gli abitanti di Nemea. Nella scena successiva è raffigurato l'episodio riferito all'Idra di Lerna, un mostruoso drago acquatico con sette o nove teste che devastava la palude di Lerna, presso Argo.
La quarta scena è data dalla Lotta contro Acheloo, dio fluviale con la capacità di trasformarsi in serpente o in toro. In quest'ultima lunetta pendono raffigurati due collari con le croci dell'Ordine di Santo Stefano e dei Cavalieri di Malta, in riferimento al conte Nicola, figlio di Giacomo Filippo Spada, e ad Alviano, fratello di Fabrizio, diventato Cavaliere di Malta a soli nove anni.
La stanza attualmente ospita l'ufficio del Segretario delegato per i TT.AA.RR.
La Stanza di Achille è stata decorata nella metà del Cinquecento.
Gli affreschi del fregio illustrano storie della vita di Achille. La prima scena, sulla parete a sinistra entrando dalla stanza di Callisto, raffigura la nascita di Achille, figlio di Teti, ninfa marina, e di Peleo.
La seconda rappresenta Teti che consegna il giovane Achille al centauro Chirone affinché lo educhi adeguatamente.
La terza raffigura Teti che, conoscendo il destino del figlio, per evitargli di andare a combattere e morire nell'assedio di Troia, lo affida, travestito da donna, al re Licomede che abita nell'isola di Sciro, dove Achille visse insieme alle figlie del re.
La quarta illustra il momento in cui Ulisse, arrivato a Sciro, dopo aver mostrato numerosi doni preziosi alle figlie del re tra le quali si trovava anche Achille, astutamente vi aggiunge armi che attirano l'attenzione del giovane che viene così smascherato e costretto a partecipare alla guerra di Troia. Viene qui rappresentata la virtù civile.
I dipinti a tempera collocati nel soffitto riguardano storie antecedenti al tema svolto nel sottostante fregio affrescato.
La prima scena raffigurerebbe il vecchio Proteo che profetizza a Teti, dea marina, la nascita di un figlio che supererà per fama il padre. Giove, raffigurato in alto a destra a cavalcioni su un'aquila, si rifiutò di giacere con la dea marina. La seconda scena illustra il momento successivo quando Giove comanda al nipote Peleo di possedere Teti. Il terzo riquadro descrive il tentativo di Peleo di possedere Teti che si muta in albero. Il quarto quadro raffigura Peleo che sparge vino sulle onde, per propiziarsi gli dei del mare, fino a quando Proteo gli rivela il segreto di come possedere Teti, cioè tenendola tra le braccia senza farsi ingannare dalle sue trasformazioni. E così facendo Peleo riesce a fecondare Teti e da questo rapporto nascerà Achille.
La stanza attualmente ospita le adunanza della Prima Sezione consultiva e Sezione consultiva per gli atti normativi.
Le scene raffigurate nella Stanza dei Fasti Romulei derivano dal primo libro delle Historiae di Tito Livio. L'anonimo artista appare fortemente influenzato dal Mazzoni.
Il primo affresco del fregio, sulla parete a sinistra entrando dalla stanza di Achille, illustra i Consuali, cioè i ludi solenni in onore di Nettuno Equestre. Furono stabiliti da Romolo per attirare le popolazioni vicine, specie i Sabini che accorsero tutti con mogli e figli. In basso a destra compare il mezzo busto di un giovane, identificato con Pier Paolo Mignanelli, il nipote del cardinale Capodiferro. Nel pieno dello spettacolo i romani provocarono un tumulto per poter rapire le fanciulle, come appare dal secondo riquadro.
Nella terza scena è raffigurata La punizione di Tarpeia, figlia di Spurio Tarpeio, comandante della rocca romana, corrotta dai Sabini perché potessero entrare armati nella città. Ma appena entrati la uccisero seppellendola sotto i loro scudi.
Segue quindi nel quarto riquadro la battaglia tra Romani e Sabini che, ormai vinti, furono respinti da Romolo presso la porta Palatina. Ai lati di ogni riquadro sono dipinte le Virtù Teologali e Cardinali.
Tra esse spicca l'Allegoria della Provvidenza, posta a sottolineare il legame tra storia classica e fede cattolica e a giustificare il potere temporale del papato.
Decorata con stucchi e dipinti ad affresco e ad olio su muro, questi ultimi di acceso colorismo, con episodi della vita di Cristo e della Madonna.
La Cappella, realizzata su progetto del Mazzoni, fu portata a termine dai suoi collaboratori, divisi in due gruppi, uno dedicato all'esecuzione degli affreschi, l'altro ai dipinti su muro.
Negli ovali della volta sono raffigurati i quattro Evangelisti e nei riquadri: L'Annunciazione con al centro il Padre Eterno, La Visitazione, La Presentazione al Tempio della Vergine, Lo Sposalizio della Vergine e La Circoncisione; nelle lunette sono dipinte L'Adorazione dei pastori e La Nascita della Vergine, tutte opere eseguite ad affresco, come è dipinta ad affresco la scena della Fuga in Egitto, nella zona inferiore, nel cui volto di San Giuseppe è impresso quello di Paolo III Farnese.
Ad olio su muro sono stati dipinti invece riquadri con la Strage degli innocenti, I Santi Pietro e Paolo con i monocromi sottostanti, e la pala d'altare con L'Adorazione dei Magi dove vive il ritratto del cardinale Capodiferro alle spalle della Madonna, mentre i volti dei due Magi rappresentano in realtà i volti del cardinale Alessandro Farnese e di papa Giulio III, che compare anche nella lunetta con L'Adorazione dei pastori, nella figura di San Giuseppe.
Sotto la finestra, in fase di restauro sono emerse tracce di un monocromo con il Battesimo di Cristo.
Nella Sala delle Quattro Stagioni sono dipinte le figure simboliche delle Quattro stagioni (l'Inverno è rappresentato da Saturno, l'Estate da Cerere coronata di spighe e con la falce della mietitura, la Primavera da Flora, e l'Autunno da Bacco con gli attributi della vendemmia), che si trovano al fianco di quadri più grandi che rappresentano i quattro elementi (terra, acqua, aria e fuoco).
In quello che rappresenta la terra si vedono un uomo e una donna che emergono da un albero (questo si ritrova nell'Eneide quando il re Evandro ricorda ad Enea l'esistenza di un'antica stirpe di uomini “uscita dal tronco delle querce” che costituivano i primi abitanti del Lazio) e in basso a sinistra un altro uomo fuoriesce dalla terra. Al centro del dipinto due divinità fluviali.
Più a destra la coppia Plutone-Proserpina che simboleggia la ricchezza delle viscere e del suolo della terra, con lo sguardo rivolto a destra dove si trovano uomini con attrezzi per lavorare la terra e bestiame da allevare. L'elemento aria è di più difficile interpretazione. Le due figure in lotta al centro potrebbero raffigurare un episodio mitologico o biblico, per esempio Caino che uccide Abele. Le figure femminili disposte ai due lati della composizione sono state interpretate come l'Anima (Luna-Diana) congiunta con l'intelletto.
L'elemento acqua fronteggia quello con l'elemento terra e rappresenta la Nascita di Venere.
Sulla destra possiamo vedere le figure di Nettuno e dei Venti, capeggiati da Eolo, a sinistra le divinità Marte, Diana, Minerva e Apollo. Al centro si trova Venere su una conchiglia e trasportata da un delfino. L'elemento fuoco fronteggia quello con l'elemento aria. In primo piano a destra e a sinistra due figure femminili, una rappresentante la religione ebraica con le tavole della legge date a Mosè e con la spada della Giustizia, l'altra la religione cristiana con gli attributi della fede nella mano sinistra la croce nella mano destra, il calice sormontato dall'ostia.
Il vecchio identificato con Abramo si inchina verso il calice come per rendere omaggio al Cristo eucaristico. La figura a destra, in piedi con il capo velato, potrebbe rappresentare la Carità che conversa con la Fede. Le due figure in fondo, una a destra e una a sinistra, si possono identificare con l'uomo e la donna, mentre la figura a sinistra in piedi potrebbe rappresentare Venere. In alto le due figure nude che volano nell'aria dovrebbero raffigurare l'Anima che si sublima congiunta con l'Amore divino. Alle spalle di queste due figure appare il disco solare e a destra si vede la Fenice, mitico uccello che rinasce dalle proprie ceneri, simbolo per i cristiani della Resurrezione di Cristo. Tutti questi dipinti eseguiti a olio su muro sono incorniciati da una ricca decorazione in stucco. Come per la galleria degli Stucchi, l'artista esecutore va identificato con Giulio Mazzoni e collaboratori.
Al Mazzoni in particolare spetta l'esecuzione dell'Elemento Terra e delle figure laterali michelangiolesche dell'Inverno e dell'Estate. Nel soffitto vi è simbolicamente celebrato il matrimonio tra Orazio Farnese, nipote di Paolo III e Diana di Francia, figlia naturale legittima di Enrico II.
Questo matrimonio è frutto di una grande missione diplomatica che il cardinale Girolamo Capodiferro, quale legato pontificio, compì nel 1547, che suggellò l'unione dei gigli farnesiani con quelli francesi; infatti nei lacunari del soffitto le mezze lune, attribuite alla dea Diana, si intrecciano con i gigli farnesi. Purtroppo l'unione tra Orazio e Diana non ebbe lunga durata.
Il 19 luglio 1553, mentre conduceva una spedizione francese contro le truppi imperiali di Carlo V, Orazio venne ucciso da due colpi di archibugio.
La stanza attualmente ospita le adunanze della Seconda Sezione consultiva.
Il Salone di Pompeo prende il nome dalla statua che custodisce, ritenuta l'effigie di Pompeo, donata da Giulio III a Girolamo Capodiferro intorno al 1552, dopo essere stata ritrovata in via dei Leutari, presso la Cancelleria. L'opinione che raffigurasse Pompeo derivava proprio dal luogo del rinvenimento, dove in antichità erano ubicate le abitazioni del condottiero romano. Se la leggenda fosse vera, si tratterebbe della statua ai piedi della quale cadde Cesare nel 44 a.c., ucciso dai congiurati. Ma la gigantesca scultura, alta tre metri, è posteriore a questa data, di arte romana riferibile alla fine del primo o agli inizi del secolo successivo. Il personaggio, un imperatore effigiato in nudità eroica, che aveva sul capo una corona trionfale o diadema e un simulacro della Vittoria sul globo della mano sinistra, si configura piuttosto con Domiziano, dal sostegno a tronco di palma e dal gorgoneo nella fibula sopra il mantello.
La sua attuale collocazione, al centro della parete, nella quale originariamente si alzava un grande camino, è la stessa voluta da Bernardino in occasione dei lavori di ristrutturazione.
È una sala particolarmente grandiosa che rispecchia il gusto fastoso e magniloquente dello stesso Cardinale. È infatti il più vistoso rimaneggiamento del Palazzo cinquecentesco operato da lui che, per ottenerlo di così grandi dimensioni, fece demolire il solaio di due sale al piano superiore. Chiamò quindi per farlo dipingere i padri del quadraturismo (genere di decorazione pittorica consistente in prospettive architettoniche illusionistiche affrescate sulle pareti e sulle volte), i bolognesi Angelo Michele Colonna (Ravenna, 1600-Bologna, 1687) e Agostino Mitelli (Bologna, 1609-Madrid, 1660), con grandi scenografie quadraturistiche per proporre all'interno quello stesso gusto di dilatazione spaziale cui si ispirerà la prospettiva del Borromini.
Grandi quinte architettoniche, tali da richiamare simbolicamente brani del cortile del Palazzo stesso, si aprono su atri, scale, prospettive lontane, dove le figure prospetticamente rimpicciolite o ingrandite insieme a effetti illusionistici sondano lo spazio in profondità e in lontananza. Ovunque si notano figure che vanno salendo e scendendo per i gradini, in abiti vari e strani. Nel repertorio delle immagini appaiono dame e paggi che si affacciano alla balaustrata di un'alta loggia, un giovane che spia col cannocchiale, musici, un armigero, un moro, una gabbia con pappagallo, un pavone, un cane, elementi ravvisabili particolarmente nelle sale di palazzo Pitti e nel palazzo Ducale di Sassuolo.
L'esecuzione degli affreschi, rigorosamente a tempera, avvenne nell'autunno del 1635, come risulta dal contratto di pagamento con i due pittori del 20 settembre di questo anno. Il soffitto a cassettoni dipinto da Giovan Battista Magni (Modena, 1592-Roma, 1674), pittore di fiducia del Cardinale, è stato più volte rimaneggiato. Nel 1683, fu fatto restaurare da Orazio Spada.
Le decorazioni oggi visibili risalgono a quelle eseguite nel 1760 dal pittore Pietro Orta. Il riquadro centrale con lo stemma Spada-Veralli è dovuto a Filippo Sambaldi nel 1775.
Probabilmente in questa occasione si provvide a sostituire il vecchio pavimento, risalente al 1645, con quello attuale, percorso dalla fascia ondata e dalla rosa, emblemi della famiglia Spada-Veralli.
La tematica delle decorazioni rispecchia la politica territoriale perseguita da Urbano VIII Barberini, le cui api araldiche sono disseminate ovunque nelle pareti e ritornano nello stemma del Cardinale, quale omaggio al pontefice che lo aveva eletto cardinale e sempre protetto. È infatti celebrato il potere temporale della Chiesa attraverso le sue figure più rappresentative. Sulle pareti lunghe sono raffigurate scene con la Donazione di Costantino e Carlo Magno che incontra Adriano I; sul lato opposto, la Contessa Matilde di Canossa paladina della Chiesa contro Enrico IV e il Cardinale Egidio di Albornoz che consegna al papa Urbano V di ritorno da Avignone un carro con le chiavi delle città di nuovo sottomesse alla Chiesa.
Al di sopra di ogni scena, il protagonista è nuovamente raffigurato entro un'edicola con il proprio attributo di riconoscimento.
Sulle pareti brevi e su quella lunga a destra entrando, sono dipinti sei medaglioni con figure femminili raffiguranti la Virtù e la Prudenza, nella parete verso il giardino; la Fede e l'Umiltà, nella parete verso il cortile; la Verità e la Dignità, nella parete di destra. Su quest'ultima parete, le decorazioni della zona inferiore subirono modifiche da parte del pittore Clemente Maioli, quando nei lavori di prolungamento di quel lato del Palazzo, le finestre furono trasformate in porte.
La stanza attualmente ospita l'Adunanza generale del Consiglio di Stato e le sedute del Consiglio di Presidenza della Giustizia amministrativa.