Orario di deposito delle memorie per l’udienza in regime di PAT - Le spese di lite nelle controversie in materia ambientale alla luce del diritto europeo

Orario di deposito delle memorie per l’udienza in regime di PAT - Le spese di lite nelle controversie in materia ambientale alla luce del diritto europeo


Processo amministrativo – Depositi – Orario - Ore 12 dell’ultimo giorno utile – Ambito di operatività. 

Processo amministrativo – Spese di giudizio – Controversie in materia ambientale – Condanna alla parte soccombente - Convenzione di Aarhus del 25 giugno 1998 – Non deroga.


       L'apparente antinomia, rilevabile tra il primo ed il terzo periodo dell'art. 4, comma 4, disp. att. c.p.a., va risolta nel senso che il termine delle ore 24.00 per il deposito degli atti di parte vale solo per quegli atti processuali che non siano depositati in vista di una camera di consiglio o di un'udienza di cui sia (in quel momento) già fissata o già nota la data; invece, in presenza di una camera di consiglio o di un'udienza già fissata, il deposito effettuato oltre le ore 12.00 dell'ultimo giorno utile è inammissibile (1).

La Convenzione di Aarhus del 25 giugno 1998 sull'accesso alle informazioni ambientali e le direttive applicative - che, in parte qua, non introducono precetti puntuali e inderogabili in capo agli Stati lasciando loro ampi margini di flessibilità applicativa - non comportano una deroga al principio della soccombenza di cui all’art. 26 c.p.a., posto che il pagamento delle spese di lite non configura una barriera all’accesso alla giustizia in materia ambientale, mentre il diritto UE mira principalmente a questo obbiettivo e solo in via riflessa alle difficoltà insite nella gestione del processo (2).


(1) C.g.a. 7 giugno 2018, n. 344  - Cons. St., sez. III, 24 maggio 2018, n. 3136.

Ha chiarito la Sezione che stante la mancanza di un chiaro sistema di preclusioni quanto alla proposizione delle eccezioni di parte, nonché quanto alla deduzione dei fatti e delle prove, la soluzione più rigorosa è quella più aderente alla lettera della legge, ove si tenga presente che i termini processuali per il deposito di atti e memorie sono generalmente ritenuti perentori e che la loro violazione è ritenuta suscettibile di essere rilevata d'ufficio. Pertanto, nel momento in cui un deposito effettuato oltre le ore 12.00 dell'ultimo giorno utile viene qualificato dalla legge come «effettuato il giorno successivo», pare logico dedurne l'inammissibilità, ovviamente nel caso in cui il termine per il deposito di atti e memorie vada computato a ritroso. Infatti ad altri fini, in particolare ai fini del calcolo dei termini dilatori minimi per la trattazione in udienze pubbliche e o in camere di consiglio, non sembra dubbio che il deposito ad es. del ricorso introduttivo dopo le ore 12.00, ma prima delle ore 24.00, dell'ultimo giorno utile, sia perfettamente valido, secondo quanto previsto dal primo periodo del novellato art. 4, comma 4, disp. att. c.p.a.
Il profilo più critico della tesi meno rigorosa (seguita da Cons. St., sez. IV, 1° giugno 2018, n. 3309) si coglie nel terzo periodo del più volte menzionato art. 4, comma 4, perché una volta che si intenda escludere che esso determini l'inammissibilità dei depositi pomeridiani scadenti nell'ultimo giorno utile, si è poi costretti a ritenere che il deposito pomeridiano comporti lo slittamento dei termini successivi con le immaginabili conseguenze sullo stimolo a comportamenti opportunistici e tattiche dilatorie lesivi del valore della ragionevole durata del processo.
Si può aggiungere che appare debole anche la tesi secondo la quale l'art. 4, comma 4, terzo periodo, cit. troverebbe applicazione solo nei rari casi in cui un deposito determinerebbe, già in base ad altre disposizioni del codice del processo amministrativo, la decorrenza di un termine a difesa. Infatti, l'art. 7, d.l. 31 agosto 2016 n. 168, nell'introdurre il nuovo testo dell'art. 4, comma 4, non pospone la decorrenza iniziale dei termini a difesa al giorno successivo, ma contiene un riferimento più vago ai termini a difesa, con espressione non del tutto univoca. Alla stregua della tesi più liberale l'intervento legislativo finirebbe col risultare stravagante, perché motivato dall'intento di regolare solo ipotesi particolarissime, come quella del termine per l'istanza di fissazione dell'udienza, o ipotesi almeno in parte controverse, come quella sulla decorrenza del termine per i motivi aggiunti. Se, dunque, deve assicurarsi alla disposizione che qui interessa un effetto «utile» e coerente con i principî processuali (a partire da quello di ragionevole durata, messo seriamente in crisi dalla interpretazione più liberale), la tesi rigorosa, dalla quale discende l'inammissibilità dei depositi pomeridiani, appare più plausibile e coerente con il valore costituzionale del giusto processo.

(2) L’art. 9, comma 4, della Convenzione di Aarhus del 25 giugno 1998 sull'accesso alle informazioni ambientali stabilisce che il procedimento giurisdizionale avverso le decisioni assunte in materia ambientale non deve essere mai “eccessivamente oneroso”.
I giudici nazionali, anche prima del recepimento della citata Convenzione, erano tenuti ad interpretare il diritto interno in modo tale che ai soggetti dell'ordinamento non venisse impedito di proporre o proseguire un ricorso giurisdizionale rientrante nell'ambito di applicazione dello stesso articolo a causa dell'onere finanziario che potrebbe derivarne (Corte di giustizia UE 14 ottobre 2018, C- 167/17).
Ad avviso della Sezione, tuttavia, tale giurisprudenza e la richiamata Convenzione non comportano  la deroga al principio della soccombenza di cui all’art. 26 c.p.a., a norma del quale, quando si emette una decisione, occorre provvedere anche sulle spese del giudizio, secondo gli articoli 91, 92, 93, 94, 96 e 97 del codice di procedura civile.
Sul punto, la stessa giurisprudenza comunitaria ha affermato che, per garantire una tutela giurisdizionale effettiva senza costi eccessivi nel settore ambientale (in applicazione della citata direttiva 2003/35), le spese del procedimento non devono superare le capacità finanziarie di un ricorrente «medio» né apparire oggettivamente irragionevoli; è tuttavia consentito ai giudici nazionali di condannare il soccombente a pagare le spese del giudizio, a condizione che l'importo delle stesse sia ragionevole e che esse non siano, nel loro complesso, onerose (Corte di giustizia UE, 13 febbraio 2014, C-530/11).
Del resto, già in precedenza, la Corte di giustizia aveva affermato che l'art. 10 bis, comma 5, della direttiva 27 giugno 1985, n. 85/337/Cee del Consiglio (concernente la valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati) e l'art. 15 bis, comma 5, della direttiva 24 settembre 1996 n. 96/61/Ce del Consiglio (sulla prevenzione e la riduzione integrate dell'inquinamento), come modificate dalla direttiva 26 maggio 2003, n. 2003/35/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio, implicano che alle persone ivi contemplate non venga impedito di proporre o di proseguire un ricorso giurisdizionale rientrante nell'ambito di applicazione di tali articoli a causa dell'onere finanziario che potrebbe risultarne (Corte di giustizia UE, 11 aprile 2013, C- 260/11).
Nella medesima occasione, la Corte giustizia aveva affermato che“qualora un giudice nazionale sia chiamato a pronunciarsi sulla condanna alle spese di un privato rimasto soccombente, in qualità di ricorrente, in una controversia in materia ambientale o, più in generale, qualora sia tenuto, come possono esserlo i giudici del Regno Unito, a prendere posizione, in una fase anteriore del procedimento, su un'eventuale limitazione dei costi che possono essere posti a carico della parte rimasta soccombente, egli deve assicurarsi del rispetto di tale requisito tenendo conto tanto dell'interesse della persona che desidera difendere i propri diritti quanto dell'interesse generale connesso alla tutela dell'ambiente; nell'ambito di tale valutazione, il giudice nazionale non può basarsi unicamente sulla situazione economica dell'interessato, ma deve altresì procedere ad un'analisi oggettiva dell'importo delle spese; peraltro, egli può tenere conto della situazione delle parti in causa, delle ragionevoli possibilità di successo del richiedente, dell'importanza della posta in gioco per il medesimo e per la tutela dell'ambiente, della complessità del diritto e della procedura applicabili, del carattere eventualmente temerario del ricorso nelle sue varie fasi nonché della sussistenza di un sistema nazionale di assistenza giurisdizionale o di un regime cautelare in materia di spese; per contro, la circostanza che l'interessato, in concreto, non sia stato dissuaso dall'esercitare la sua azione non è sufficiente, di per sé, per considerare che il procedimento non sia eccessivamente oneroso per il medesimo; infine, tale valutazione non può essere compiuta in base a criteri diversi a seconda che essa abbia luogo in esito ad un procedimento di primo grado, ad un appello o ad un'ulteriore impugnazione.”.


Anno di pubblicazione:

2020

Materia:

GIUSTIZIA amministrativa, SPESE giudiziali

Tipologia:

Focus di giurisprudenza e pareri