Alla Corte di Giustizia Ue le condotte che si sostanziano in abusi di posizione dominante

Alla Corte di Giustizia Ue le condotte che si sostanziano in abusi di posizione dominante


Concorrenza – Abusi posizione dominante – Condotte lecite ma inveranti abusi di posizione dominante – Individuazione – Rimessione alla Corte di Giustizia Ue.

         Sono rimessi alla Corte di Giustizia i seguenti quesiti: a) se le condotte che inverano lo sfruttamento abusivo di posizione dominate possano essere di per sé del tutto lecite ed essere qualificate “abusive” unicamente in ragione dell’effetto (potenzialmente) restrittivo ingenerato nel mercato di riferimento; oppure se le stesse debbano essere contrassegnate anche da una specifica componente di antigiuridicità, costituita dal ricorso a «metodi (o mezzi) concorrenziali diversi» da quelli «normali»; in quest’ultimo caso, sulla base di quali criteri si possa stabilire il confine tra la concorrenza «normale» e quella «falsata»; b) se la funzione dell’abuso sia di massimizzare il benessere dei consumatori, di cui il giudice debba misurare l’avvenuta (o il pericolo di) diminuzione; oppure se l’illecito concorrenziale abbia il compito di preservare di per sé la struttura concorrenziale del mercato, al fine di scongiurare la creazione di aggregazioni di potere economico ritenute comunque dannose per la collettività; c) se, in caso di abuso di posizione dominante consistito nel tentare di impedire che permanga il livello di concorrenza ancora esistente o il suo sviluppo, l’impresa dominante sia comunque ammessa a provare che – nonostante l’astratta idoneità dell’effetto restrittivo – la condotta è risultata priva di concreta offensività; se, in caso di risposta positiva, ai fini della valutazione in ordine alla sussistenza di un abuso escludente atipico, l’articolo 102 TFUE vada interpretato nel senso di ritenere sussistente in capo all’Autorità l’obbligo di esaminare in maniera puntuale le analisi economiche prodotte dalla parte sulla concreta capacità della condotta oggetto di istruttoria di escludere dal mercato i propri concorrenti; d) se l’abuso di posizione dominante debba valutarsi soltanto per i suoi effetti (anche soltanto potenziali) sul mercato, senza alcun riguardo al movente soggettivo dell’agente; oppure se la dimostrazione dell’intento restrittivo costituisca un parametro utilizzabile (anche in via esclusiva) per valutare l’abusività del comportamento dell’impresa dominante; oppure ancora se tale dimostrazione dell’elemento soggettivo valga soltanto a ribaltare l’onere della prova in capo all’impresa dominante (la quale sarebbe onerata, a questo punto, di fornire la prova che l’effetto escludente è mancato); e) se, in ipotesi di posizione dominante riferita una pluralità di imprese appartenenti al medesimo gruppo societario, l’appartenenza al predetto gruppo sia sufficiente per presumere che anche le imprese che non abbiano posto in essere la condotta abusiva abbiano concorso nell’illecito – cosicché all’Autorità di vigilanza sarebbe sufficiente dimostrare un parallelismo cosciente, sia pure non collusivo, delle imprese operanti all’interno del gruppo collettivamente dominante – oppure se (al pari di quanto accade per il divieto di intese) occorra comunque fornire la prova, anche indiretta, di una situazione concreta di coordinamento e strumentalità tra le varie imprese del gruppo in posizione dominante, in particolare al fine dimostrare il coinvolgimento della casa madre (1).

 

(1) Ha chiarito la Sezione che la disposizione del Trattato (come quella nazionale che la recepisce) lascia del tutto imprecisato il concetto di «sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercato». Tale difficoltà ermeneutica è solo in parte agevolata dall’esemplificazione, contenuta nello stesso testo dell’art. 102 del TFUE, di alcune delle principali pratiche abusive (frutto per lo più della stratificata elaborazione giurisprudenziale), e in particolare: l’abuso da prezzi o condizioni gravose; l’abuso da preclusione; l’abuso da discriminazione; le pratiche leganti.

Tale elencazione casistica non esaurisce, infatti, le modalità di sfruttamento abusivo di posizione dominante vietate dal diritto dell’Unione europea, cosicché l’incertezza definitoria emerge in tutta la sua complessità in presenza di abusi “atipici”, rispetto ai quali la disposizione non offre parametri di definizione esauriente. Per gli stessi motivi non è di aiuto la distinzione classificatoria tra abuso di sfruttamento (le condotte finalizzate all’estrazione del profitto monopolistico) e di impedimento (le condotte volte a impedire o ostacolare iniziative altrui).

Il primo dubbio riguarda la nozione stessa di «sfruttamento abusivo»: se cioè le condotte che lo inverano possano essere di per sé del tutto lecite ed essere qualificate “abusive” unicamente in ragione dell’effetto (potenzialmente) restrittivo ingenerato nel mercato di riferimento; oppure se le stesse condotte debbano essere necessariamente contrassegnate anche da una specifica componente di antigiuridicità oggettiva.

Alla luce della prima opzione ermeneutica – incentrato sull’uso “disfunzionale” di diritti e facoltà, e quindi similmente alla categoria dell’abuso del diritto – sarebbe dirimente, al fine di configurare l’abuso di posizione dominante, il mero discostamento rispetto al comportamento normalmente tenuto dai soggetti sottoposto a pressione concorrenziale: in concreto, una serie di comportamenti, perfettamente leciti se attuati da un’impresa in posizione concorrenziale, diverrebbero abusivi se posti in essere da un’impresa dominante allo scopo di rafforzare la sua posizione.

Nella seconda direzione – che avvicinerebbe l’abuso di posizione dominante al concetto di concorrenza sleale – sembrerebbero invece deporre le sentenze della Corte di Giustizia dove viene censurato il ricorso a «metodi (o mezzi) concorrenziali diversi» da quelli «normali», e dove la concorrenza «falsata» viene contrapposta a quella «fondata sulle prestazioni», in cui cioè i clienti sarebbero portati a scegliere liberamente l’impresa dominante in ragione della superiorità delle sue prestazioni (ex plurimis: Corte di Giustizia dell’Unione Europea, 6 dicembre 2012 in C-457/10; 27 marzo 2012, in C-209/10).

Una seconda notazione riguarda poi il bene giuridico protetto.

Pare di potersi affermare che, mentre l’intesa restrittiva «per oggetto», concretandosi in un’illecita ripartizione del mercato, sia di per sé illecita, senza che sia necessario l’esame dei suoi effetti (ex plurimis, Corte di Giustizia, sentenza del 20 novembre 2008, Beef Industry Development Society e Barry Brothers, C 209/07), per l’abuso di posizione dominante non operi analoga presunzione di abusività delle iniziative di mercato assunte dall’impresa dominante (ed infatti: mentre l’intesa per oggetto è di per sé illecita anche se i prezzi sono equi, nel caso dell’abuso occorre che i prezzi siano iniqui).

Si pone tuttavia il problema di comprendere quale sia l’effetto economico censurato dal divieto di sfruttamento abusivo. Dal fondamento dell’illecito dipendono infatti significative ricadute applicative, e segnatamente:

1) assegnando alla nozione di abuso la funzione di massimizzare il benessere totale e, in particolare, quello dei consumatori, il giudice dovrebbe in qualche modo misurarne la diminuzione in conseguenza del comportamento illecito (in via diretta, comparando il benessere ex ante ed ex post, ovvero utilizzando criteri alternativi quali quello dell’impresa altrettanto efficiente e del sacrificio del profitto);

2) assegnando invece all’illecito concorrenziale il compito soltanto di preservare la struttura concorrenziale del mercato, il giudice dovrebbe astenersi dall’accertare se il comportamento della impresa dominante abbia causato un danno ai consumatori, limitandosi più semplicemente a verificare se il comportamento possa avere conseguenze sulla struttura, sulla varietà, la qualità o l’innovazione.

Sul punto, si registrano prese di posizioni non univoche: la Commissione, con riguardo proprio agli abusi da «preclusione anticoncorrenziale», ha affermato che: «[…] l’attuazione coercitiva delle norme ha lo scopo di garantire che le imprese dominanti non ostacolino lo svolgimento della concorrenza effettiva precludendo il mercato ai loro concorrenti in modo anticoncorrenziale con conseguenti effetti negativi per il benessere dei consumatori, sia in forma di prezzi più elevati di quelli altrimenti vigenti sia in altra forma, ad esempio limitando la qualità o riducendo la scelta dei consumatori» (cfr. Comunicazione 2009/C 45/02); nel senso invece che l’illecito in esame sia orientato alla preservazione della struttura concorrenziale indipendentemente dal danno cagionato ai consumatori, sembrano deporre alcune pronunce della Corte di Giustizia (in particolare i casi 15 marzo 2007, causa C-95/04, “British Airways”; 6 ottobre 2009, cause riunite C-501/06 P, C-513/06 P, C-515/06 P e C-519/06, in “GlaxoSmithKline”; 2 aprile 2009, causa C-202/07, “France Télécom”).

Secondo un orientamento che appare consolidato in giurisprudenza, l’illecito dell’abuso di posizione dominante può essere accertato anche in fase preparatoria, prima che abbia prodotto effetti restrittivi (ex plurimis: Tribunale di primo grado, 29 marzo 2012, in C-498/07). A questa stregua, non è necessaria la prova attuale degli effetti dell’abuso, essendo sufficiente la dimostrazione della mera potenzialità dell’effetto restrittivo (ex plurimis: Corte di Giustizia dell’Unione Europea 17 febbraio 2011, causa C-52/09).

Se costituisce un abuso di posizione dominante qualsiasi comportamento consistente, non solo nell’impedire effettivamente, ma anche soltanto nel tentare di impedire che permanga il livello di concorrenza ancora esistente o il suo sviluppo, ciò significa che l’atto idoneo a pregiudicare i concorrenti per un operatore in posizione dominante è di per sé sufficiente a permettere l’accertamento della violazione e l’applicazione dell’apparato sanzionatorio.

Non è tuttavia chiaro se – pur in presenza di un comportamento astrattamente idoneo alla produzione di effetti restrittivi – sia comunque ammessa la prova da parte dell’impresa sanzionata che nessun effetto restrittivo si è “storicamente” realizzato, che cioè la condotta contestata è risultata priva di offensività in concreto. In caso di risposta positiva, se sussista in capo all’Autorità antitrust l’obbligo di riscontrare in maniera puntuale le analisi economiche eventualmente prodotte dalla parte sanzionata per dimostrare la concreta incapacità della condotta oggetto di istruttoria di escludere dal mercato i propri concorrenti.

Sotto altro profilo, si tratta di capire se l’abuso di posizione dominante sia illecito rilevante esclusivamente sul terreno “oggettivo”, da valutarsi cioè soltanto per i suoi effetti (anche solo potenziali) sul mercato, senza alcun riguardo al movente soggettivo dell’agente; oppure se la prova dell’intento restrittivo costituisca un parametro utilizzabile per valutare l’abusività del comportamento dell’impresa dominante (in tal senso appare orientata la sentenza del Tribunale di primo grado, 30 settembre 2003, causa T-203/01, Manufacture française des pneumatiques Michelin c. Commissione, secondo cui, ai fini dell’applicazione dell’art. 102 TFUE, «la prova in merito all’oggetto e quella relativa all’effetto anticoncorrenziale si confondono. Infatti, se si dimostra che lo scopo perseguito dal comportamento di un’impresa in posizione dominante è di restringere la concorrenza, detto comportamento potrà anche avere tale effetto»; nello stesso senso lo stesso Tribunale di primo grado 30 gennaio 2007, causa T-340/03, France Télécom SA c. Commissione).

Adottando questa seconda opzione interpretativa, occorre capire se la prova dell’intento abusivo debba essere considerata sufficiente a ricondurre al comportamento gli effetti anticoncorrenziali contestati, oppure se essa valga soltanto a ribaltare l’onere della prova in capo all’impresa dominante (la quale sarebbe onerata a questo punto, di fornire la prova che l’effetto escludente è invece mancato).

Come si è visto sopra, la posizione dominante presupposta nel presente giudizio riguarda una pluralità di imprese appartenenti al medesimo gruppo societario che, per quanto giuridicamente indipendenti l’una dall’altra, dal punto di vista economico si presentano nel mercato di riferimento come un’entità collettiva. È l’art. 102 del TFUE, del resto, a prevedere espressamente che una posizione dominante possa essere detenuta collettivamente (o congiuntamente) da più imprese.

L’abuso di posizione dominante collettiva realizzato da un gruppo societario suscita il seguente ulteriore quesito probatorio.

In particolare, si tratta di capire se l’appartenenza al medesimo gruppo sia sufficiente per presumere che anche le imprese che non abbiano posto in essere la condotta abusiva abbiano concorso nell’illecito – cosicché all’Autorità di vigilanza sarebbe sufficiente dimostrare un parallelismo cosciente sia pure non collusivo delle imprese operanti all’interno del gruppo collettivamente dominante – oppure se (al pari di quanto accade per il divieto di intese) occorra comunque fornire la prova, anche indiretta, di una situazione concreta di coordinamento e strumentalità tra le varie imprese del gruppo in posizione dominante, in particolare al fine di dimostrare il coinvolgimento della casa madre.


Anno di pubblicazione:

2020

Materia:

CONCORRENZA, ABUSO di posizione dominante

CONCORRENZA

Tipologia:

Focus di giurisprudenza e pareri