Alla Corte costituzionale la determinazione, nella Regione Lazio, della tariffa per conferire rifiuti agli impianti di smaltimento e alle discariche

Alla Corte costituzionale la determinazione, nella Regione Lazio, della tariffa per conferire rifiuti agli impianti di smaltimento e alle discariche


Rifiuti – Smaltimento – Impianti – Tariffa – Regione Lazio – Determinazione – Art. 29, comma 2, l. reg. nm. 27 del 1998 – Introduzione di fatto di un tributo regionale non autorizzato dalla legge statale – Violazione artt. 117, comma 2, lett. s) e 119 Cost. – Rilevanza e non manifesta infondatezza.

    E’ rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 29 comma 2, l. reg. Lazio 9 luglio 1998, n. 27, nella parte in cui dispone che la tariffa per conferire rifiuti agli impianti di smaltimento e alle discariche va determinata prevedendo la “quota percentuale della tariffa” in questione “dovuta dagli eventuali comuni utenti al soggetto gestore dell'impianto o della discarica a favore del comune sede dell'impianto o della discarica stessi, che deve essere compresa tra il dieci ed il venti per cento della tariffa”, perchè in tal modo introduce un tributo regionale non autorizzato dalla legge statale, necessaria in base agli artt. 117, comma 2, lett. s), e 119 Cost.  (1).
 

(1) La Sezione dubita anzitutto della conformità della norma denunciata all’art. 119 comma 2 seconda parte della Costituzione, per cui le Regioni “stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i princìpi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario”. La norma stessa infatti, ad avviso della Sezione, istituisce un tributo regionale in modo non conforme ai “principi di coordinamento della finanza pubblica” nell’interpretazione che la Corte costituzione ha dato di questa formula con la sentenza 26 gennaio 2004, n. 37, ovvero in sintesi istituisce un tributo regionale senza che la legge dello Stato lo abbia consentito.

In primo luogo, la Sezione ritiene che il benefit ambientale abbia la natura di tributo sulla base dei criteri fissati da codesta Corte per definirlo, in particolare nelle sentenze 280/2011 e 58/2015 sopra citate, nonché più in generale, nelle sentenze 8 maggio 2009, n. 141 e 11 febbraio 2005, n. 73 che si citano per tutte. Ritiene quindi che si tratti di una prestazione: a) doverosa, perché non dipendente da un qualche rapporto sinallagmatico fra le parti; b) collegata alla spesa pubblica in relazione ad un presupposto economicamente rilevante.

Sotto il primo profilo, si osserva che il benefit in questione è dovuto esclusivamente in base alla legge regionale e non trova la sua fonte in un rapporto sinallagmatico tra parti, derivante da un contratto, da una convenzione o da atti negoziali simili, in modo del tutto analogo a quanto prevedeva la norma dichiarata incostituzionale dalla sentenza 280/2011.

Sotto il secondo profilo, il contributo è certamente collegato alla spesa pubblica: sebbene la norma nulla dica al riguardo, è evidente che il Comune che lo incassa deve destinarlo al finanziamento delle attività di propria competenza, alle quali appunto corrisponde la spesa pubblica.

Si tratta poi di un contributo collegato alla spesa pubblica in ragione di un presupposto economicamente rilevante, ovvero la capacità economica del gestore dell’impianto, come si ricava ad interpretazione della norma che lo prevede, nei termini che seguono.

Il soggetto passivo del benefit, in primo luogo, è il gestore dell’impianto, che incassa la tariffa e deve riversare la percentuale corrispondente al benefit. Si potrebbe ritenere il contrario obiettando che secondo la norma il benefit è dovuto “dagli eventuali comuni utenti”, e quindi, sembrerebbe, non dal gestore, ma l’obiezione non è fondata. Il fatto che il benefit in questione sia una percentuale della tariffa significa che è commisurato ad essa chiunque sia il soggetto che la tariffa corrisponde, e che il gestore lo deve riversare per ogni somma che a titolo di tariffa egli incassi, sia o no corrisposta da un Comune.

Questo Giudice dubita poi anche della conformità della norma denunciata all’art. 117, comma 2, lett. s), Cost., in quanto interviene in una materia, la “tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali” la cui disciplina è riservata alla legge dello Stato.

Anche ritenendo che essa le spettasse in via generale, la Regione non potrebbe esercitare in materia la propria potestà istitutiva di tributi propri. Infatti, in casi come il presente, in cui interferiscono competenze ed interessi di tipo diverso, si applica il principio di prevalenza, ovvero prevale l’esigenza di garantire l’azione unitaria dello Stato che assicuri livelli adeguati e non riducibili di tutela, in questo caso di tutela ambientale, su tutto il territorio nazionale, In particolare, si garantisce che il bene giuridico «ambiente» sia protetto dai possibili effetti distorsivi derivanti da incentivi o disincentivi imposti in modo differenziato in ciascuna Regione, tenuto conto che ognuno di essi influisce sulle decisioni di investimento delle imprese del settore dei rifiuti, scelte che si ripercuotono sugli equilibri ambientali.

La norma denunciata contrasta quindi per la materia sulla quale incide con la riserva di potestà legislativa statale in materia, anche se, si noti, il benefit che essa prevede non andasse qualificato come tributo, ma semplicemente come corrispettivo aggiuntivo, che si paga nel Lazio e non altrove.


Anno di pubblicazione:

2020

Materia:

RIFIUTI, IMPIANTI di smaltimento

RIFIUTI

Tipologia:

Focus di giurisprudenza e pareri