Violazione del dovere di sinteticità - Margini del sindacato giurisdizionale sulla riedizione del potere dopo giudicato di annullamento

Violazione del dovere di sinteticità - Margini del sindacato giurisdizionale sulla riedizione del potere dopo giudicato di annullamento


Processo amministrativo – Principio di sinteticità – Ricorsi proposti prima dell’entrata in vigore l’art. 13 ter delle norme di attuazione al c.p.a. – Applicabilità.

Processo amministrativo – Sinteticità – Ambito di applicazione - Anche ai documenti depositati.

Processo amministrativo – Giudicato – Sentenza di annullamento – Oggetto del giudicato – Individuazione.

Processo amministrativo – Giudicato – Riedizione del potere - Sindacato giurisdizionale – Limiti.

 

        Il dovere di sinteticità nella redazione degli atti difensivi discende direttamente dalla norma primaria di cui all’art. 3, comma 2, c.p.a. e trova dunque applicazione anche prima che l’art. 13 ter delle norme di attuazione al c.p.a., aggiunto dall’art. 7-bis, d.l. 31 agosto 2016, n. 168, introducesse per tutti i tipi di contenzioso la sanzione della non esaminabilità delle pagine eccedenti (1).

         Il dovere di chiarezza e sinteticità è riferito dall’art. 3, comma 2, c.p.a. non agli “scritti” difensivi ma più genericamente agli “atti”: il che include anche i documenti depositati (2).

        Nelle azioni di annullamento ove sia accolta la domanda del ricorrente il dispositivo maxime va letto (e, quindi, interpretato) alla luce della motivazione e dei suoi singoli capi; un dispositivo che accoglie il ricorso implica necessariamente, in esito a tali azioni, l'annullamento dell'atto impugnato e l'effetto conformativo della successiva attività di riemanazione, quand'anche residuino potestà e valutazioni discrezionali in capo alla P.A. soccombente (3).

        Nella ipotesi di sentenza di annullamento passa in giudicato l’accertamento che è alla base dell’annullamento stesso.

 

(1) Ha ricordato il Tar che la sanzione della non esaminabilità delle pagine eccedenti è stata invece stabilita dapprima solo per le controversie di cui all’art. 119 c.p.a. dall’art. 120, comma 6, stesso codice, in relazione ai limiti dimensionali individuati con Decreto del Presidente del Consiglio di Stato 25 maggio 2015, recante Disciplina della dimensione dei ricorsi e degli altri atti difensivi nel rito appalti (in Gazz. Uff. 5 giugno 2015, n. 128); quindi è stata estesa all’intero contenzioso giurisdizionale amministrativo dall’art. 13-ter delle norme di attuazione al c.p.a., aggiunto dall’art. 7-bis, d.l. 31 agosto 2016, n. 168, recante Misure urgenti per la definizione del contenzioso presso la Corte di cassazione, per l’efficienza degli uffici giudiziari, nonché per la giustizia amministrativa (in Gazz. Uff. 31 agosto 2016, n. 203), aggiunto dalla legge di conversione 25 ottobre 2016, n. 197 (in Gazz. Uff. 29 ottobre 2016, n. 254), entrata in vigore il 30 ottobre 2016, ed attuato – quanto alla concreta individuazione dei limiti dimensionali - con decreto del Presidente del Consiglio di Stato n. 167 del 22 dicembre 2016.

All’epoca della introduzione di entrambi i giudizi, pertanto, era pienamente vigente la norma primaria che impone alle parti il dovere di sinteticità, ma non anche – per le materie cui afferiscono tali giudizi - la disposizione (art. 13-ter, cit., comma 5: “Il giudice è tenuto a esaminare tutte le questioni trattate nelle pagine rientranti nei suddetti limiti. L’omesso esame delle questioni contenute nelle pagine successive al limite massimo non è motivo di impugnazione”) che consente al giudice di non esaminare le censure contenute nelle pagine eccedenti i limiti dimensionali.

Pur in assenza della possibilità di applicare tale sanzione, il Tar ha affermato di non potersi tuttavia esimere dal rilevare la palese violazione - non giustificata dalla relativa complessità della vicenda - da parte della difesa ricorrente del dovere di sinteticità, posto a presidio di valori primari quali l’efficienza e la celerità del giudizio e, in ultima analisi, anche della stessa tutela effettiva ed efficace delle ragioni della parte medesima, che quando espresse con chiarezza e sinteticità riescono a devolvere all’organo giudicante una cognizione sicuramente funzionale ad una più precisa e consapevole intelligenza delle questioni dedotte.

 

(2) Ha affermato il Tar che il deposito di un documento costringe le controparti ed il Collegio alla lettura dello stesso, anche al solo scopo di valutarne la pertinenza e la rilevanza, con l’effetto di ostacolare fortemente nel processo la tutela di quei valori, poco sopra richiamati, ai quali il canone di chiarezza e sinteticità è funzionale..

(3) Cons. St., sez. III, 10 settembre 2014, n. 4604

Nel caso all’esame del Tar l’effetto conformativo del giudicato di annullamento concerne per un verso un profilo motivazionale, legato agli accertamenti propedeutici, e per altro verso un profilo decisorio (la ritenuta sproporzione fra illecito e sanzione): quest’ultimo dato indirettamente ed ulteriormente conferma che il giudicato di cui si discute non abbia escluso la sussistenza dei relativi illeciti disciplinari, rispetto ai quali ritiene soltanto “eccessiva” la sanzione, e conferma altresì l’estraneità all’effetto conformativo delle affermazioni iniziali sulla conoscenza della normativa interna violata (evocate ad adiuvandum per rimarcare il vizio valutativo-motivazionale ritenuto in concreto sussistente, e non per escludere l’astratta sussistenza di un illecito disciplinare).

Il profilo del vizio è peraltro logicamente e giuridicamente dipendente dal primo: l’amministrazione, in sede di primo esercizio del potere, ha irrogato sanzioni eccessive non di per sé, ma in quanto conseguenti a valutazioni inadeguate.

Il che consente di affermare che il vincolo posto alla futura attività dell’amministrazione consisteva nella necessità di valutare adeguatamente i fatti, non adeguatamente accertati in prima battuta, e nella necessità di irrogare per tali fatti sanzioni non eccessive: laddove il legame di proporzionalità dipende, nella stessa logica motivatoria della sentenza di appello, da un giudizio relazionale il cui primo termine (l’esatto accertamento del fatto) porta con sé il potere-dovere di commisurare la nuova sanzione non ad un parametro assoluto, ma alla indicazione - tendenziale e di metodo - di non risultare eccessiva rispetto a quanto nuovamente ed adeguatamente accertato.

In altre parole l’amministrazione non era vincolata, in sede di riedizione del potere, nella scelta della specifica sanzione, ma nel modo di accertare i fatti e di selezionare, in funzione (e a seguito) del nuovo accertamento, la scelta di una sanzione non eccessiva.

La superiore ricostruzione dell’effetto conformativo del giudicato di annullamento è inequivocamente suffragata dalla stessa sentenza d’appello, nella parte in cui rinvia espressamente agli “ulteriori provvedimenti eventualmente adottabili dall’amministrazione a seguito di possibile rivalutazione dei fatti”.

Il che certifica la natura emendabile dei vizi riscontrati, e la portata non preclusiva (e non satisfattiva) dell’effetto dell’annullamento; giacché delle due l’una: o il giudicato, come nella fattispecie di cui alla sentenza n. 2 del 2017 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, riconosce la fondatezza della pretesa sostanziale ed esclude la possibilità di un successivo segmento di attività amministrativa che non sia meramente adempitivo dell’obbligo di conformarsi ad un giudicato di spettanza; oppure, come nel caso di specie (per espressa e letterale affermazione contenuta nella sentenza d’appello, suffragata dall’iter logico-motivazionale della stessa), la statuizione caducatoria non determina un immediato effetto satisfattivo e ripristinatorio ma, in ragione della sua portata, lascia residuare una riedizione del potere che, depurata dai vizi riscontrati, gode di un residuo margine di discrezionalità circoscritto proprio dall’accertamento di tali vizi.


Anno di pubblicazione:

2019

Materia:

GIUSTIZIA amministrativa

Tipologia:

Focus di giurisprudenza e pareri