Lo standard probatorio (ovvero il quantum di prova) nei giudizi in materia di sanzioni a carattere punitivo-afflittivo

Lo standard probatorio (ovvero il quantum di prova) nei giudizi in materia di sanzioni a carattere punitivo-afflittivo


Concorrenza – Intese – Sanzioni. 

Concorrenza – Intese – Pratica concordata – Individuazione. 

Concorrenza – Intese – Prova. 

 

 

       Il principio della presunzione d’innocenza, sancito dall’articolo 48, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, si applica alle procedure che possono concludersi con pesanti sanzioni afflittive; la presunzione comporta che qualora sussista un dubbio nella mente del giudice, esso deve andare a beneficio dell’impresa destinataria della decisione che constata un’infrazione. Il principio della presunzione di innocenza non osta tuttavia all’applicazione di presunzioni relative, le quali consentono di trarre una determinata conclusione in base a massime di esperienza. Il ricorso alle presunzioni si coniuga con l’esigenza di garantire l’effetto utile del diritto europeo della concorrenza, dato che, senza di esse, la prova dell’infrazione potrebbe risultare estremamente difficile o praticamente impossibile. Per gli stessi motivi, la prova delle intese restrittive della concorrenza può essere sostenuta da un compendio probatorio di natura indiziaria, ovvero un complesso di prove esclusivamente indirette, purché queste possano essere significative al pari della prova rappresentativa (1). 

 

         In tema di intese restrittive della concorrenza, la nozione di pratica concordata per «oggetto» esige il soddisfacimento di tre condizioni: in primo luogo, una concertazione tra le imprese interessate; in secondo luogo, un comportamento sul mercato da parte di tali imprese che dia seguito a tale concertazione; in terzo luogo, un nesso causale tra concertazione e comportamento sul mercato, senza che tuttavia tale comportamento debba ripercuotersi in quanto tale in una concreta restrizione della concorrenza. Alla luce di quanto esposto: i) quando l’Autorità ha fornito la prova dell’esistenza di un accordo avente carattere manifestamente anticoncorrenziale, spetta alle imprese che vi hanno partecipato fornire la prova di essersene dissociate, prova che deve dimostrare una volontà inequivocabile, e portata a conoscenza delle altre imprese partecipanti, di sottrarsi a tale accordo; ii) qualora invece l’Autorità fornisca soltanto la dimostrazione di un comportamento economico ‘anomalo’ (quali l’uniformità ed il parallelismo dei comportamenti), è consentito presumere l’esistenza di una concertazione, ponendo a carico delle imprese l’onere di fornire una spiegazione alternativa e plausibile della condotta contestata (1). 

 

         In tema di intese restrittive della concorrenza, la valutazione della prova indiziaria va scomposta in due stadi. Il primo è diretto ad apprezzare la valenza qualitativa del singolo indizio, ovvero la forza di necessità logica con la quale esso è in grado di dimostrare il fatto rilevante, al fine di eliminare gli elementi che appaiono semplici illazioni o supposizioni arbitrarie, stante l’estrema varietà e molteplicità degli accadimenti che se ne possono desumere secondo le regole di esperienza, così come vanno espunte le presunzioni di secondo grado (non è consentito trarre da una presunzione una ulteriore presunzione). Il secondo è costituito dall’esame globale degli indizi così raccolti, al fine di accertare se gli stessi, una volta integrati gli uni con gli altri, siano in grado di dissolvere la loro intrinseca ambiguità. In questa fase, vanno utilizzati i canoni (codificati all’art. 2729 del c.c.) della gravità (la capacità dimostrativa e di resistenza agli argomenti contrapposti), precisione (l’univocità che rende assai inverosimili le interpretazioni alternative) e concordanza (la coerenza narrativa, dovuta alla circostanza che gli elementi raccolti non si pongono in contraddizione tra loro). All’esito della predetta attività conoscitiva, l’ipotesi accusatoria, attentamente verificata nel contraddittorio delle parti, può ritenersi avere attinto la ‘certezza processuale’ soltanto quando essa risulti l’unica in grado di giustificare i vari elementi probatori raccolti, ovvero la più attendibile rispetto alle altre ipotesi alternative, pure astrattamente prospettabili, ma la cui realizzazione storica, in quanto priva di riscontri significativi nelle emergenze istruttorie, appaia soltanto una eventualità remota  (1).

 

(1) V. anche Cons.St., sez. VI, 9 maggio 2022, nn. 3571 e 3572

Ha ricordato la Sezione che secondo la constante giurisprudenza europea, il principio della presunzione d’innocenza, sancito dall’articolo 48, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, si applica alle procedure che possono concludersi con pesanti sanzioni afflittive (Corte di Giustizia UE, 10 novembre 2017, T-180/15).  

La presunzione di innocenza risulta, del resto, anche dall’articolo 6, paragrafo 2, della CEDU che, come noto, costituiscono principi generali del diritto dell’Unione. La natura «penale» in senso convenzionale delle sanzioni irrogate dall’Autorità antitrust è indubbia, tenuto conto delle finalità repressive e preventive perseguite e del fatto che l’accertamento di antitrust infringement determina, oltre all’irrogazione di pesanti sanzioni amministrative pecuniarie e alla condanna al risarcimento del danno eventualmente cagionato, anche un significativo danno reputazionale (sulla natura sostanzialmente penale delle responsabilità per violazioni delle norme sulla concorrenza, Corte EDU, sentenza 27 settembre 2011, caso Menarini-Diagnostics s.r.l. c. Italia; in generale sulla nozione di pena in senso convenzionale: Corte EDU, Engel e altri contro Paesi Bassi, caso n. 5100/71, Grande Stevens e altri contro Italia, Casi 18640/10, 18647/10, 18663/10, 18668/10 e 18698/10). 

In coerenza con l’anzidetto quadro ‘costituzionale’ (del Trattato e della CEDU), l’art. 2 del Regolamento n. 1 del 2003 precisa che, in tutti i procedimenti nazionali o comunitari relativi all’applicazione all’art. 101 del TFUE, l’onere della prova dell’infrazione incombe alla parte o all’autorità che asserisce tale infrazione. Spetta dunque all’Autorità fornire la prova delle infrazioni che essa constata e produrre gli elementi idonei a dimostrare l’esistenza degli elementi costituitivi che integrano l’infrazione (Corte di Giustizia 8 luglio 1999, causa C 49/92 P, punto 86), ivi compresa la sua durata (Tribunale 29 novembre 2005, causa T‑62/02, punto 36).  

La presunzione comporta che «qualora sussista un dubbio nella mente del giudice, esso deve andare a beneficio dell’impresa destinataria della decisione che constata un’infrazione» (Corte di Giustizia, sentenza 22 novembre 2012, C-89/11 P, punto 72). 

Il principio della presunzione di innocenza non osta tuttavia all’applicazione di presunzioni relative, le quali consentono di trarre una determinata conclusione in base a massime di esperienza. 

Al riguardo, la Corte di giustizia ha avuto più volte modo di osservare che «di norma le attività derivanti da tali pratiche e accordi si svolgono in modo clandestino, le riunioni sono segrete, spesso in un paese terzo, e la documentazione ad esse relativa è ridotta al minimo. Anche se la Commissione scoprisse documenti attestanti in modo esplicito un contatto illegittimo tra operatori, come i resoconti di una riunione, questi sarebbero di regola solo frammentari e sporadici, di modo che si rivela spesso necessario ricostituire taluni dettagli per via di deduzioni. Nella maggior parte dei casi, l’esistenza di una pratica o di un accordo anticoncorrenziale dev’essere dedotta da un certo numero di coincidenze e di indizi i quali, considerati nel loro insieme, possono rappresentare, in mancanza di un’altra spiegazione coerente, la prova di una violazione delle regole sulla concorrenza» (cfr. sentenze 1 luglio 2010, in C-407/08, punto 49; sentenza 7 gennaio 2004, cause riunite C-204/00 P, C-205/00 P, C-211/00 P, C-213/00 P, C-217/00 P e C-219/00 P, punti 55-57). 

Il ricorso alle presunzioni si coniuga con l’esigenza di garantire l’effetto utile del diritto europeo della concorrenza, dato che, senza di esse, la prova dell’infrazione potrebbe risultare estremamente difficile o praticamente impossibile. 

Per gli stessi motivi, la prova delle intese restrittive della concorrenza può essere sostenuta da un compendio probatorio di natura indiziaria, ovvero un complesso di prove esclusivamente indirette, purché queste possano essere significative al pari della prova rappresentativa (anche il processo penale consente il ricorso alla prova indiziaria ed ai principi fondati sull’esperienza). 

La nozione di pratica concordata per «oggetto» esige il soddisfacimento di tre condizioni: in primo luogo, una concertazione tra le imprese interessate; in secondo luogo, un comportamento sul mercato da parte di tali imprese che dia seguito a tale concertazione; in terzo luogo, un nesso causale tra concertazione e comportamento sul mercato, senza che tuttavia tale comportamento debba ripercuotersi in quanto tale in una concreta restrizione della concorrenza. 

Alla luce di quanto sopra esposto: 

i) quando l’Autorità ha fornito la prova dell’esistenza di un accordo avente carattere manifestamente anticoncorrenziale, spetta alle imprese che vi hanno partecipato fornire la prova di essersene dissociate, prova che deve dimostrare una volontà inequivocabile, e portata a conoscenza delle altre imprese partecipanti, di sottrarsi a tale accordo (Tribunale 27 settembre 2006, causa T‑168/01, punto 86; Corte di Giustizia UE, 6 gennaio 2004, cause riunite C‑2/01 P e C‑3/01 P, punto 63); 

ii) qualora invece l’Autorità fornisca soltanto la dimostrazione di un comportamento economico ‘anomalo’ (quali l’uniformità ed il parallelismo dei comportamenti), è consentito presumere l’esistenza di una concertazione, ponendo a carico delle imprese l’onere di fornire una spiegazione alternativa e plausibile della condotta contestata. 

Tra le semplificazioni probatorie, va richiamata, per le sue implicazioni nel presente giudizio, la nozione d’«infrazione unica e continuata», pure elaborata dalla giurisprudenza della Corte europea. 

Una violazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE può risultare non soltanto da un atto isolato, ma anche da una serie di atti o persino da un comportamento continuato, anche quando uno o più elementi di questa serie di atti o di questo comportamento continuato potrebbero altresì costituire, di per sé e considerati isolatamente, una violazione di detta disposizione. Qualora le diverse azioni facciano parte di un «piano d’insieme», a causa del loro identico oggetto di distorsione del gioco della concorrenza all’interno del mercato comune, la Commissione può imputare la responsabilità di tali azioni in funzione della partecipazione all’infrazione considerata nel suo insieme (v. la sentenza della Corte di Giustizia UE 24 giugno 2015, C‑293/13 P e C‑294/13 P, punto 156). 

La dottrina dell’«infrazione unica e continuata» intende ridurre l’onere che l’Autorità di enforcement nell’applicazione dell’articolo 101, paragrafo 1, del TFUE, dovrebbe altrimenti affrontare per stabilire il fatto della collusione, quando un cartello è durato per un lungo periodo, durante il quale la natura della collusione può essere variata tra diverse parti o in momenti diversi. 

In particolare, una volta dimostrata l’esistenza di un piano di insieme e di un comune obiettivo anticoncorrenziale, l’Autorità non è tenuta a dimostrare l’illiceità di ogni singola condotta. Sotto altro profilo, un’impresa che abbia partecipato a una tale infrazione unica e complessa può essere ritenuta responsabile anche dei comportamenti attuati da altre imprese nell’ambito della medesima infrazione per tutto il periodo della sua partecipazione alla stessa (sentenza della Corte di Giustizia UE 6 dicembre 2012, C‑441/11 P, punto 42). 

Va ora rimarcato che ‒ rispettato lo standard probatorio minimo sopra descritto ‒ il grado di ‘intensità’ della prova richiesto nei procedimenti nazionali è invece rimesso invece ai giudici nazionali (il quinto considerando del regolamento n. 1 del 2003 prevede espressamente che esso «non incide né sulle norme nazionali in materia di grado di intensità della prova né sugli obblighi delle autorità garanti della concorrenza e delle giurisdizioni nazionali degli Stati membri inerenti all'accertamento dei fatti pertinenti di un caso, purché dette norme e detti obblighi siano compatibili con i principi generali del diritto comunitario»). 

Il predetto assunto ‒ coerente con l’architettura normativa che ha disegnato, per le regole in materia di concorrenza, un sistema di tutela ‘decentrato’, dipendente dalla collaborazione delle autorità e dei giudici nazionali ‒ deve ovviamente rispettare il limite per cui i principi nazionali in materia di grado di intensità della prova non possono rendere impossibile o eccessivamente difficile l’attuazione delle disposizioni in materia di concorrenza previste dal Trattato.  

Il corredo probatorio posto a base del provvedimento oggetto della presente controversia rende opportuna una breve ricognizione della struttura del ragionamento indiziario (a partire dalla migliore elaborazione scientifica e giurisprudenza penale: cfr., ex plurimis, Sezioni Unite, n. 42979 del 2014, n. 33748 del 2005; n. 6682 del 1992).  

L’indizio ‒ ovvero il fatto noto da cui si parte per argomentare l’esistenza di un altro fatto ignoto ‒ fornisce, a differenza della prova diretta, solo una probabilità della sussistenza del fatto da provare. Il livello di conoscenza scaturente dalla sola valutazione del fatto noto indiziante è variabile, potendo risultare, a seconda dei casi, assai cospicuo ovvero trascurabile.  

La valutazione della prova indiziaria va scomposta in due stadi. 

Il primo è diretto ad apprezzare la valenza qualitativa del singolo indizio, ovvero la forza di necessità logica con la quale esso è in grado di dimostrare il fatto rilevante, al fine di eliminare gli elementi che appaiono semplici illazioni o supposizioni arbitrarie, stante l’estrema varietà e molteplicità degli accadimenti che se ne possono desumere secondo le regole di esperienza, così vanno espunte le presunzioni di secondo grado (non è consentito trarre da una presunzione una ulteriore presunzione). 

Il secondo è costituito dall’esame globale degli indizi così raccolti, al fine di accertare se gli stessi, una volta integrati gli uni con gli altri, siano in grado di dissolvere la loro intrinseca ambiguità. In questa fase, vanno utilizzati i canoni (codificati all’art. 2729 del c.c.) della gravità (la capacità dimostrativa e di resistenza agli argomenti contrapposti), precisione (l’univocità che rende assai inverosimili le interpretazioni alternativi) e concordanza (la coerenza narrativa, dovuta alla circostanza che gli elementi raccolti non si pongono in contraddizione tra loro). 

All’esito della predetta attività conoscitiva, l’ipotesi accusatoria, attentamente verificata nel contraddittorio delle parti, può ritenersi avere attinto la ‘certezza processuale’ soltanto quando essa risulti l’unica in grado di giustificare i vari elementi probatori raccolti, ovvero la più attendibile rispetto alle altre ipotesi alternative, pure astrattamente prospettabili, ma la cui realizzazione storica, in quanto priva di riscontri significativi nelle emergenze istruttorie, appaia soltanto una eventualità remota. 

Da ultimo, in punto di intensità del sindacato giurisdizionale, va ricordato che, anche quando la fattispecie punitiva contempla concetti giuridici indeterminati, il giudice non deve limitarsi a verificare se siffatta risposta rientri o meno nella ristretta gamma di risposte plausibili, ragionevoli e proporzionate, che possono essere date a quel problema alla luce della tecnica, delle scienze rilevanti e di tutti gli elementi di fatto, in quanto la sussunzione delle circostanze di fatto nel perimetro di estensione logica e semantica dei concetti giuridici indeterminati (ad esempio, quella del “mercato rilevante”) è una attività intellettiva ricompresa nell’interpretazione dei presupposti della fattispecie normativa. Ne consegue che la tutela giurisdizionale, per essere effettiva e rispettosa della garanzia della parità delle armi, deve consentire al giudice un controllo penetrante attraverso la piena e diretta verifica della quaestio facti sotto il profilo della sua intrinseca verità, per quanto, in senso epistemologico, controvertibile (Consiglio di Stato, Sez. VI, 15 luglio 2019, n. 4990).


Anno di pubblicazione:

2022

Materia:

CONCORRENZA, ABUSO di posizione dominante

Tipologia:

Focus di giurisprudenza e pareri