La cessione volontaria di beni immobili rientra nel genus dei cd. contratti ad oggetto pubblico

La cessione volontaria di beni immobili rientra nel genus dei cd. contratti ad oggetto pubblico


Espropriazione per pubblica utilità – Cessione volontaria – Individuazione.

 

          La cessione volontaria di beni immobili rientra nel più ampio genus dei cd. contratti ad oggetto pubblico, che si diversifica dai normali contratti di compravendita di diritto privato per una serie di imprescindibili elementi costitutivi, che vanno individuati nell’inserimento del negozio nell’ambito di un procedimento di espropriazione per pubblica utilità, nel cui contesto la cessione assolve alla peculiare funzione dell’acquisizione del bene da parte dell’espropriante, quale strumento alternativo all’ablazione d’autorità mediante decreto di esproprio; nella preesistenza non solo di una dichiarazione di pubblica utilità ancora efficace, ma anche di un subprocedimento di determinazione dell’indennità e delle relative offerte ed accettazione, con la sequenza e le modalità previste dall’art. 12, l. n. 865 del 1971; nel prezzo di trasferimento volontario correlato ai parametri di legge stabiliti, inderogabilmente, per la determinazione dell’indennità di espropriazione (1).

 

 

(1) Ha chiarito la Sezione che la peculiarità di tale tipologia di accordo ha comportato oscillazioni giurisprudenziali rivenienti dall’accentuato valore solo civilistico degli stessi (Cass., SS.UU. 6 dicembre 2010, n. 24687), ovvero, al contrario, sull’enfatizzato rilievo attribuito al potere autoritativo comunque sotteso alla relativa stipula, con conseguente assegnazione al giudice amministrativo della giurisdizione esclusiva anche per le controversie che attengono alla loro esecuzione (Cons. St. sez. V, 20 agosto 2013, n.4179). Il Giudice delle leggi (Corte cost. nn. 204 del 2004 e 191 del 2006), ha chiarito che l'utilizzo dello strumento degli accordi presuppone l'esistenza in capo alla p.a. di un potere autoritativo: l'accordo sostituisce l'atto unilaterale, ma non può essere utilizzato se non in sostituzione di un provvedimento espressione di potere autoritativo. Traendo spunto dalle coordinate offerte dalla Consulta in sede di valutazione della costituzionalità dell'art. 53, d.P.R. n. 327 del 2001, si è dunque affermato che, attratta la cessione volontaria sotto il più duttile ombrello dell’accordo sostitutivo o integrativo di provvedimento, sia pure nei limiti della tipicità dei provvedimenti autoritativi che va a sostituire, le controversie relative alla sua esecuzione, diverse da quelle in tema di indennità, devono essere conosciute dal giudice amministrativo (Cons. St., sez. VI. 14 settembre 2005, n. 4735).

L’inserimento della cessione nell’ambito di un accordo integrativo o sostitutivo di provvedimento ex art. 11, l. n. 241 del 1990 non si palesa dunque neutra rispetto all’individuazione del giudice chiamato a decidere le relative controversie, con ciò dequotando l’accordo a vuoto simulacro formale.

Gli accordi sostitutivi di provvedimento, disciplinati a livello generale nell’art. 11 della l. n. 241 del 1990, costituiscono la formale consacrazione della legittimazione negoziale delle pubbliche amministrazioni. Trattasi di un istituto che attinge egualmente alla natura di patto o convenzione, ma anche di fonte di situazioni giuridiche patrimoniali diverse dalle obbligazioni civilistiche, che non esaurisce, come ha evidenziato la dottrina più accorta, il previgente modello del contratto ad oggetto pubblico, proprio in ragione della molteplicità di funzioni cui può assolvere. Esso si connota per la sostanziale equivalenza o sovrapponibilità fra funzione economico sociale e cura dell’interesse pubblico e “sostituisce” il provvedimento anche in senso finalistico, consentendo cioè attraverso il modulo della negoziazione di ottenere un risultato più conveniente di quello ottenibile con il primo da parte dell’amministrazione. 

La previsione, all’interno della disciplina del procedimento amministrativo, di un istituto generale quale l’accordo integrativo o sostitutivo di provvedimento, quest’ultimo originariamente circoscritto ai soli casi previsti dalla legge (v. la novella apportata con la l. 11 febbraio 2005, n. 15, che ha eliminato il relativo inciso dalla norma), ha definitivamente sancito la legittimazione negoziale delle pubbliche amministrazioni. L’istituto, tuttavia, in quanto nel contempo patto o convenzione, ma anche fonte di situazioni giuridiche patrimoniali diverse dalle obbligazioni civilistiche, non esaurisce, come ha evidenziato la dottrina più accorta, il previgente modello del contratto ad oggetto pubblico, proprio in ragione della molteplicità di funzioni cui può assolvere, pur connotandosi per la sostanziale equivalenza o sovrapponibilità fra funzione economico sociale e cura dell’interesse pubblico. L’accordo, dunque, “sostituisce” il provvedimento anche in senso finalistico, consentendo cioè attraverso il modulo della negoziazione di ottenere un risultato più conveniente di quello ottenibile con il primo da parte dell’amministrazione. Laddove, cioè, il responsabile del procedimento valuti che esso costituisce lo strumento più idoneo per la composizione degli interessi coinvolti nell’azione amministrativa, può addivenire alla stipula di un contratto cui l’ordinamento giuridico ricollega determinati effetti, ciascuno dei quali a sua volta conseguibile anche con provvedimenti. La significatività dell’istituto sta pertanto proprio nel suo mutuare aspetti necessariamente civilistici mischiandoli a contenuti tipicamente autoritativi, con ciò realizzando un’efficace sintesi - rectius, la miglior sintesi possibile, secondo la valutazione del soggetto pubblico agente- tra l’interesse pubblico sotteso all’intervento, complessivamente inteso, e il necessario incontro tra le volontà, quale metodologia per il suo perseguimento.


Anno di pubblicazione:

2020

Materia:

ESPROPRIAZIONE per pubblico interesse, CESSIONE volontaria

ESPROPRIAZIONE per pubblico interesse

Tipologia:

Focus di giurisprudenza e pareri