L’Adunanza plenaria pronuncia in tema di Tar competente a decidere sul decreto di inammissibilità dell’istanza di cittadinanza e sul c.d. criterio dell’efficacia, previsto dall’art. 13, comma 1, secondo periodo, c.p.a.

L’Adunanza plenaria pronuncia in tema di Tar competente a decidere sul decreto di inammissibilità dell’istanza di cittadinanza e sul c.d. criterio dell’efficacia, previsto dall’art. 13, comma 1, secondo periodo, c.p.a.


Processo amministrativo – Competenza – Criterio dell’efficacia – Ratio.  

 

Processo amministrativo – Competenza – Cittadinanza italiana – Istanza – Declaratoria di inammissibilità – Tar competente – Tribunale nella cui circoscrizione territoriale ha sede l’organo statale periferico emanante. 

 

    La ratio sottesa al c.d. criterio dell’efficacia, previsto dall’art. 13, comma 1, secondo periodo, c.p.a., è quella di temperare il c.d. criterio della sede, secondo un più generale principio di prossimità e secondo una logica di decentramento, e radica quindi la competenza territoriale del Tribunale “periferico” in ordine ad atti emanati da amministrazioni aventi sede in una circoscrizione di un diverso Tribunale o di un’autorità centrale, ma esplicanti effetti diretti limitati alla circoscrizione territoriale del Tribunale “periferico” medesimo; è del pari competente il Tribunale amministrativo “periferico” nel caso di impugnazione di un atto emesso da un’autorità statale periferica, ancorché l’atto esplichi la sua efficacia non limitatamente al territorio di quella regione (1).

       Il decreto di inammissibilità dell’istanza finalizzata ad ottenere il riconoscimento della cittadinanza italiana è emanato da autorità periferica dello Stato e ha effetti diretti limitati al solo ambito territoriale in cui ha sede il Tribunale, con la conseguenza che competente a decidere il ricorso proposto avverso tale decreto è il Tribunale nella cui circoscrizione territoriale ha sede l’organo statale periferico emanante, in conformità al precedente orientamento seguito da questo Consiglio di Stato  (2). 



La questione era stata sottoposta dalla sez. III con ord. 15 febbraio 2021, n. 1407.

(1) Ha ricordato l’Adunanza plenaria che nel diritto processuale la competenza attiene, in prima approssimazione, ai rapporti tra uffici giudiziari appartenenti alla medesima giurisdizione, ognuno investito di una certa “frazione di giurisdizione”, secondo il riparto stabilito dal legislatore.
La pedissequa applicazione delle norme sull’attribuzione della giurisdizione e della competenza permette, in tal modo, di individuare quel “giudice naturale precostituito per legge”, dal quale, ai sensi dell’art. 25 Cost., nessuno può essere distolto. 
Più in specifico, si deve rilevare che, a differenza del processo civile – che conosce, com’è noto, tre criteri di attribuzione della competenza –, il processo amministrativo fa riferimento, in generale, a due soli parametri: la competenza territoriale e quella funzionale, entrambi espressamente definiti “inderogabili”, pur residuando un’ulteriore ipotesi di competenza per materia, articolata territorialmente, disciplinata tra le ipotesi di competenza territoriale, inerente alle controversie riguardanti pubblici dipendenti (art. 13, comma 2, c.p.a.), le quali sono attribuite inderogabilmente al TAR nella cui circoscrizione vi è la sede di servizio. 
Il rapporto tra i due criteri di competenza territoriale previsti dall'art. 13, comma 1, c.p.a. segue, dunque, una logica di complementarietà e di reciproca integrazione: il criterio principale è quello della sede dell'autorità che ha adottato l'atto impugnato, ma nel caso in cui la potestà pubblicistica spieghi i propri effetti diretti esclusivamente nell'ambito territoriale di un Tribunale periferico, il criterio della sede cede il passo a quello dell'efficacia spaziale.
La conclusione si evince dalla parola «comunque» inserita nel secondo periodo della norma richiamata, atta ad indicare che si deve avere riguardo, per individuare il Tribunale amministrativo regionale competente per territorio, in primo luogo all'efficacia dell'atto: se questa è limitata ad una determinata Regione, sarà competente il Tribunale competente per tale Regione.
Naturalmente, se il criterio della sede e quello dell'efficacia spaziale dell'atto impugnato finiscano per coincidere, la controversia si radica nella competenza territoriale dello stesso TAR.
Ha aggiunto l’Adunanza plenaria che il criterio principale di riparto della competenza per territorio, fondato sulla sede dell’autorità che ha emesso l’atto impugnato, è suscettibile di essere sostituito da quello inerente agli effetti diretti dell’atto qualora detta efficacia si esplichi esclusivamente nel luogo compreso in una diversa circoscrizione di Tribunale amministrativo regionale (Cons. St., Ad. plen., 24 settembre 2012, n. 33; id. 19 novembre 2012, n. 34; id., sez. III, 24 marzo 2014, n. 1383).
La competenza territoriale è, dunque, determinata in via principale in base alla sede dell’ente che ha emesso l’atto; tale criterio viene integrato (rectius sostituito) da quello ulteriore e speciale correlato all’efficacia del provvedimento amministrativo impugnato e dunque agli effetti diretti dello stesso. 
In sostanza, il criterio della sede dell'Autorità che ha assunto l'atto impugnato è sostituito da quello dell'efficacia spaziale qualora questa si produca in un solo ambito territoriale.
Ne segue, in primo luogo, che, qualora un atto di un’autorità statale centrale, che ha sede in Roma, esplichi i propri effetti solo nell’ambito di una circoscrizione territoriale ben delimitata e diversa dalla circoscrizione territoriale del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, il criterio dell’efficacia opererà, con la devoluzione della controversia al Tribunale “periferico”.
In secondo luogo, e non diversamente dalla prima ipotesi, anche un provvedimento emanato da un’Autorità periferica avente sede nella circoscrizione di un TAR, se esplica i propri effetti in un solo ambito territoriale, radica la competenza in questo ambito territoriale, secondo il sopra citato criterio dell’efficacia spaziale del provvedimento impugnato.
E’ evidente che se l’ambito di efficacia spaziale del provvedimento è circoscritto alla Regione in cui ha sede l’Autorità periferica, sarà indifferente individuare la competenza del Tribunale Regionale secondo il criterio della sede dell’Autorità periferica medesima o quello dell’efficacia spaziale.
Viceversa, quando l’efficacia spaziale di un provvedimento è circoscritta ad una Regione diversa da quello in cui ha sede l’Autorità emanante, sarà il Tribunale nel cui ambito territoriale si esplicano gli effetti dell’atto ad essere investito della relativa competenza e non il Tribunale nella cui circoscrizione ha sede l’Autorità emanante.
Soltanto per gli atti emanati da un’Autorità periferica aventi efficacia non limitata ad un preciso ambito territoriale (e, dunque, aventi efficacia ultraregionale, intesa come non limitabile alla circoscrizione di una singola Regione) riprenderà vigore il criterio della sede dell’Autorità emanante per individuare il Tribunale competente, al pari degli atti statali non limitabili territorialmente quoad effectum, così come esplicita l’art. 13, comma 3, c.p.a.
Dunque, la ratio sottesa al c.d. criterio dell’efficacia, previsto dall’art. 13, comma 1, secondo periodo, c.p.a., è indubbiamente quella di temperare il c.d. criterio della sede, radicando, secondo un più generale principio di prossimità, che costituisce corollario del principio di difesa ex art. 24 Cost., e secondo una logica di decentramento della giurisdizione amministrativa, che è accolto dal legislatore costituzionale all’art. 125 Cost., la competenza territoriale del Tribunale “periferico” in ordine ad atti emanati da amministrazioni aventi sede in una circoscrizione di un Tribunale, ma esplicanti effetti diretti limitati alla circoscrizione territoriale di un altro Tribunale.  

 

(2) Ha ricordato l’Adunanza plenaria che non si è al cospetto di un provvedimento di diniego della cittadinanza, ma di una decisione prefettizia di inammissibilità, che si esaurisce sul piano procedimentale e non attribuisce né nega lo status di cittadino valido erga omnes, sicché, anche sotto tale profilo, non sussiste alcuna ragione per giustificare la deroga alla competenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sede di Milano, competente ai sensi dell’art. 13, comma 1, c.p.a..
Trattasi, infatti, di atto emanato da un organo periferico dello Stato con efficacia non esorbitante la circoscrizione territoriale della regione in cui ha sede il detto organo. Esso non è in alcun modo equiparabile al diniego di cittadinanza, provvedimento emanato da un organo centrale dello Stato, idoneo ad incidere sullo status del soggetto interessato con efficacia erga omnes e, quindi, con efficacia su tutto il territorio nazionale.
Va al riguardo considerato, in primo luogo, che il decreto di inammissibilità non preclude la possibilità, per l’interessato, di ripresentare la domanda anche il giorno successivo all’adozione del decreto prefettizio, mentre il decreto di rigetto, adottato centralmente dal Ministero dell’Interno, preclude allo straniero la riproposizione della domanda per cinque anni.
Anche sotto il profilo del procedimento amministrativo, peraltro, il trasferimento delle competenze in capo all’amministrazione centrale è solo eventuale e subordinato, appunto, alla previa verifica di ammissibilità della domanda, svolta dalla prefettura, che ha il compito in una fase preliminare di verificare la regolarità e la completezza della domanda, ma non ha il potere di entrare nel merito della sussistenza dei presupposti per l’accoglimento della domanda di concessione della cittadinanza, la cui valutazione spetta, in una fase successiva e in via esclusiva, all’amministrazione centrale.
Pertanto, la valutazione compiuta dalla prefettura nel caso di specie non incide sulla pretesa sostanziale dello straniero e, dunque, sul suo status, ma solo sul profilo preliminare, inerente alla regolarità della domanda, con la conseguenza che al relativo provvedimento di inammissibilità non può connettersi un’efficacia erga omnes, e quindi ultraregionale, propria, invece, di un provvedimento che, entrando nel merito, presuppone un giudizio circa la spettanza del bene della vita, peraltro riconoscibile, nel caso di specie, solo dall’autorità centrale.
In altre parole, il provvedimento di inammissibilità non è un atto di diniego della cittadinanza, ma un atto di un organo periferico che si inserisce nell’iter amministrativo, determinandone l’arresto e, come tale, non è un atto idoneo ad incidere sullo status del soggetto interessato con efficacia erga omnes
Conseguentemente, nel caso di specie, il criterio per la determinazione della competenza, riguardato anche sotto il profilo dell’efficacia dell’atto, è quello stabilito dall’art. 13, comma 1, c.p.a. (c.d. criterio della sede), ai sensi del quale è competente il Tribunale nella cui circoscrizione territoriale ha sede l’organo statale periferico emanante, in conformità al precedente orientamento seguito da questo Consiglio di Stato. 


Anno di pubblicazione:

2021

Materia:

CITTADINANZA

Tipologia:

Focus di giurisprudenza e pareri